L’Italia va pazza per il True Crime, nessuno sa ancora bene perché. I tassi di consumo sono in ascesa verticale, tutti ascoltano i podcast di storie vere di crimine, guardano le serie tv, i programmi sulla Rai, ne parlano al bar; alcuni addirittura leggono i libri. Stefano Nazzi ha più follower di Sfera Ebbasta, cosa del tutto innaturale se si tiene conto dello shock che provoca guardarlo in faccia la prima volta.

Il successo è tale da generare un effetto di riconversione a posteriori. Belve diventa Belve Crime a conduzione sempre dell’intoccabile Fagnani, Nicola La Gioia s’improvvisa sociologo di una Roma che ha a malapena sfiorato, fatta di vite squallida e in penombra perenne, per battere cassa con La città dei vivi, la storia intera d’Italia viene setacciata alla ricerca dei suoi omicidi più efferati. Gli anni ’60 diventano quelli della morte di Enrico Mattei, i ’70 del delitto Moro e della strage del Circeo, gli ’80 sono il decennio del mostro di Firenze. Nuove coordinate stragiste, che ci orientano lungo percorsi intrisi di sangue, mentre tutto intorno a noi è sempre più monotono e quotidiano.
Perché è questo il segreto del True Crime, che tira quanto le cronache di guerre lontane, ma neanche troppo, quando il fronte è abbastanza vicino da riuscire a immaginarselo, ma abbastanza lontano da non preoccuparsene realmente.