Dalla newsletter Il Tuffatore di Vittorio Ray
Se non avete mai avuto il coraggio di vedere l’ultimo, violentissimo film di Pasolini, Salò o le 120 giornate di Sodoma, ultimamente ne gira una versione più diluita, subdola, ammodernata. Si chiama Masterchef, lo passano in brevi pillole sulla tv a pagamento. Tecnicamente viene definito un “talent show culinario”, cioè in buona sostanza una recita brutale che ha al centro della scena, oltre ai più perversi meccanismi di potere, la pornografia del cibo.
Mi dispiace essere subito romantico, ma avete presente la differenza tra sesso e amore? Masterchef è il sadomaso della cucina. Ciò che è sempre stato – e sempre sarà, innanzitutto – nutrimento, sostentamento, attaccamento alla terra, unica fonte di energia per l’uomo, viene sradicato e deportato davanti ad una telecamera, per allietare un nuovo padrone. Anche il cibo viene inserito (“sussunto”, avrebbero detto alcuni) nel paradigma del lusso e della lussuria.
Questo è il cuore, ma come ogni trappola di massa che si rispetti c’è tutto un mondo intorno. Ci sono i giudici, i tiranni, arbitri assoluti e privi di ogni educazione. Spicca, tra questi, un giudice dall’accento straniero. Egli incarna il nazista, l’invasore, l’imposizione di un corpo estraneo all’ecosistema. Poi ci sono gli schiavi, cioè i concorrenti, aspiranti chef. Colpisce la loro piena mancanza di dignità, il servilismo più grigio, sia davanti ai rimproveri che ai complimenti. Sì chef, scusa chef, grazie chef. Se volessimo scavare senza paura nella mente perfetta degli sceneggiatori, diremmo che una società flaccida ama rivivere l’eccitazione militaresca davanti al nemico della pasta scotta. “Questo piatto è molto intelligente, Samir, ma la cottura non va proprio.” E allora Samir rabbrividisce, il viso gli si contorce in smorfiette da coniglio, gli occhi si riempiono di frustrazione, la consapevolezza di aver fallito un’esistenza, il desiderio di eutanasia.
Dispiace perché il cibo, prima della sua pornografia televisiva, era convivialità. Il pranzo pacificava, distendeva i nervosismi familiari, saziava, riempiva. L’arte culinaria era patrimonio del popolo, unico sovrano, giudice ultimo. Adesso è la guerra, la tensione, la paura. Masterchef fa – letteralmente – vomitare. È stucchevole e maleducato, come parlare di soldi o di cibo a tavola. Chiude lo stomaco, fomenta l’anoressia, fa venir voglia di assaggiare la carestia. Resistiamo allora, non pieghiamoci. Siamo orgogliosi della realtà e del nostro contesto, aspiriamo sempre al benessere e mai al lusso. Perché certamente non sarà un’astice in salsa di zenzero a salvarci; forse, un’ostia di pane spezzato.