Promemoria: «Bambini figli di #novax che a scuola contagiano compagni che poi a loro volta mandano in terapia intensiva le nonne fragili e per fortuna vaccinate. È una dolorosa storia vera di cari amici e mi chiedo: fin quando tollereremo questi pericolosi intolleranti?» [Gianni Riotta]
Difficile applicare un criterio convenzionale di giudizio al sillogismo di Riotta. Non è questione di verità, o di fede. Tantomeno di scienza. Il messaggio è mondato dalla qualità del razionale. Siamo nel campo della logica di Lewis Carroll:
Tutti i gatti capiscono il francese.
Alcuni polli sono gatti.
Alcuni polli capiscono il francese.
Gianni Riotta, da sempre, incarna se stesso in una manifestazione puramente estetica. Per questo non riesce a distinguersi dalla sua imitazione. Non è importante che Riotta sia realmente Riotta. Conta di più che abbia quel tipo di occhiali, quella certa pettinatura, quel particolare genere di camicia: la serie intera dei complementi materiali che servono a simbolizzare oggettivamente un determinato status dell’essere.
È probabile che la massima ambizione di un Riotta sia quella di diventare i Riotta, riproducendosi industrialmente in un numero indefinito di repliche di se stesso. Con uno sforzo minimo d’immaginazione, nel taschino della camicia dei Riotta, siamo quasi sicuri di trovare uno scattante portabiglietti metallico, e, al suo interno, una carta da visita, bianco osso, con sopra impresso, a caratteri in rilievo, il nome Gianni Riotta, nella medesima sfumatura di verde della baia di Newport a settembre.
A quel punto si palesa un’improvvisa consapevolezza, quasi come un senso di segreta partecipazione dei rapporti intimi tra le cose: se Patrick Bateman fosse un giornalista italiano, sarebbe vestito esattamente come i Riotta. Non si può scrivere che i bambini non vaccinati sono gli untori, ed eventualmente gli assassini, dei propri nonni, senza una piena partecipazione dell’ontologia di American Psycho.
Il sistema di linguaggio eteronomo in cui agisce, e che agisce, il cervello dei Riotta è il medesimo che qualifica la proiezione esistenziale di Bateman. Cinematograficamente parlando, i Riotta si esprimono alla stessa maniera in cui Bateman discute Huey Lewis and the News: depersonalizzato nel pensiero e nell’azione, con l’impermeabile di plastica bianca per non lordarsi di sangue il doppiopetto gessato.
Il fuoco su Bateman non sta al livello dell’equazione tra violenza e follia. Sarebbe troppo semplice risolvere la questione nell’eccezionale singolarità di una psicosi. È irrilevante, in un certo senso, che uccidere a colpi d’ascia il proprio rivale nelle prenotazioni al Dorsia sia imputabile, o meno, a una deviazione mentale, perché, nella rappresentazione sociale di American Psycho, diventa non imputabile in senso assoluto. Il Bateman che è nei Riotta va seguito lungo questo margine di impunibilità, di innocenza primigenia.
Ovvio il riferimento a Delitto e Castigo. Se Dostoevskij individua l’elemento genetico dell’essere umano in una progressiva acquisizione ed espiazione del senso di colpa, Bateman è il rovescio impensato di Raskolnikov: la costituzione del suo essere coincide con l’alienazione totale della responsabilità di se stesso. Il paradosso di Bateman non è la sua follia, ma la sua impunità, cioè l’alibi che uno specifico sistema sociale fornisce alla disutilità marginale dei suoi prodotti. Per questo l’omicidio in American Psycho è non-umano fino all’irrealtà, perché ha un funzionamento solo meccanico, quasi tracciando una linea evolutiva che darwinianamente conduce l’uomo alla macchina, in maniera del tutto naturale e spontanea. Un computer non potrà mai essere processato per omicidio, così come, in Edgar Allan Poe, Auguste Dupin avrebbe fatto meglio a non scoprire che il colpevole dei delitti della Rue Morgue era “soltanto” un orango del Borneo.
L’orango, il computer, Bateman e i Riotta hanno dunque in comune l’incapacità di essere individualmente responsabili rispetto all’ambiente sociale che li produce e contiene. Il rapporto che instaurano con la realtà è una specie di riflesso condizionato, la risposta automatica a una serie di input esterni che non possono essere indagati né compresi. L’orango è pensato dalla foresta pluviale, Bateman da una crema idratante e i Riotta da uno schema QWERTY.
L’intelligenza artificiale non ha affatto lo scopo di riprodurre l’intelligenza umana. Tende piuttosto al contrario, cioè a fare in modo che l’intelligenza umana riproduca sempre meglio quella artificiale. I tweet dei Riotta sono scritti dalla tastiera e basta, e gli omicidi di Bateman possono essere stati commessi tutt’al più da una motosega o da una sparachiodi. Il senso di un messaggio dei Riotta si misura in funzione algoritmica: traffico dati e polvere di biscottini digitali. La tastiera lo elabora per determinare il maggior numero di interazioni possibili, polarizzando il sistema di clickbait e camere dell’eco su cui si basa il profitto delle reti di socialità digitale. I Riotta sono insterscambiabili. Possiamo sostituirli l’uno con l’altro, purché vadano tutti dallo stesso barbiere, ma a quel punto sarebbe troppo tardi, vuol dire che siamo già diventati come loro.