Recup natalizio del processo al Capitano, per digerire meglio il Capitone.

Era il 21 dicembre se non ricordo male. Sicuramente era sotto le feste, perché mi accorsi di quella strana lettera nella buchetta della posta mentre ero in giardino ad appendere luci intermittenti e festoni natalizi alla staccionata del giardino di casa. Raccolsi la busta, e mentre rientravo verso il porticato cercando di capire chi fosse il mittente, non potevo immaginarmi che una lettera identica a quella era apparsa anche a casa dei miei vicini, dei miei genitori, dei miei amici. Era apparsa su tutti i pianerottoli, in tutti i sottoscala, nelle buchette affianco alle auto parcheggiate, appoggiate sopra gli zerbini, nei cortili più o meno addobbati di tutti i cittadini italiani. Accertati da ius sanguinis, ben inteso.

La carta intestata ministeriale, una pagina dattiloscritta. 

Decreto Ministeriale n. 999

L’Italia diventa Paese delle Alte Teste, in omaggio al Ministro delle Alte Teste, condannato e deceduto per aver difeso l’Italia a Testa Alta.

N° Atto 999

Registrazione Corte dei conti n. 9999 del 20 Dicembre 2024

Un decreto via posta, un unicum nella storia repubblicana. Padri di famiglia lo leggono ai figli ad alta voce – voce rotta e roca – mentre fanno colazione. Camicia sbottonata, pane e burro nostrano, marmellata. Caffè in moka.

Tutti avevano seguito il processo in diretta il giorno prima. I talk show ne parlavano da mesi. Il countdown era stato scandito settimanalmente, di pari passo al calendario dell’Avvento: ogni giorno un cioccolatino, ogni giorno un video di avvicinamento al grande evento. Un conto alla rovescia a tratti religioso. Trovate pubblicitarie, invettive teatrali e puerili, effetti speciali che di certo non avevano mancato di raccogliere l’attenzione dei più. Sicuramente della mia. Nella confusione giuridica che si genera tra il grande pubblico ogni qualvolta c’è un processo confezionato pedissequamente dai media, il punto spesso si perde. Erano passati 4 anni e mezzo dai fatti, 3 anni di processo, 24 udienze, 45 testimonianze. Ci si ricordava vagamente delle immagini dell’estate 2019, questa barca a due passi da Lampedusa che non poteva sbarcare, e non era chiaro il perché, se fosse legale o meno. Nessuno ne era sicuro. Sicuramente era curioso, certamente ci metteva di cattivo umore – ognuno per motivi diversi. Ma alla fine era metà agosto, eravamo tutti al mare, 149 persone in più o in meno, a terra o in barca, affollati su giacigli di fortuna sul ponte di una nave o stipati tra i lettini delle spiagge attrezzate: pur sempre al mare eravamo tutti. Per Ferragosto sarebbe comunque stato tutto a posto, avevamo preso la casa in montagna, saremmo stati al fresco e fatto una braciolata.

A testa alta, insieme, da sempre e per sempre.

L’unica cosa chiara di quel processo, e questo trapelava ovunque, era che l’imputato – che peraltro era anche Ministro – sarebbe andato avanti a testa alta. Ma non solo il Ministro in questione, era una po’ una tendenza di tutte le cariche di spicco della maggioranza parlamentare di allora. Le cifre distintive dell’estrema destra italiana degli anni ’20 (del 2000) erano numerose. Era il governo dell’Italia agli italiani, del riscatto patriottico, della difesa della cittadinanza, della difesa della difesa, dell’attacco all’immigrazione (perché l’attacco è la miglior difesa), dei lunghi ponti sugli stretti, della prosopopea dell’orgoglio nazionale ritrovato, di Atreju e degli Hobbit, del ministero del made in Italy, del liceo del made in Italy, dei generali, dei prefetti, di Elon Musk che limona con la quarta carica dello stato, della tolleranza zero, dei ministri dalla cultura esilaranti, della lotta ai monopattini elettrici, della castrazione chimica, dei nostri amici a quattro zampe, del Giù le mani dai bambini!, del Giù le mani dagli uteri!, del codice della strada. Ma per me – sarà per deformazione iconografica – era sempre stato il Governo delle Alte Teste. Linguaggio del corpo e iconografia di menti asburgici, mandibole prominenti, profili saldamente orientati verso l’alto. L’estrema destra italiana degli anni ’20 (del 2000) non si capiva dove stesse andando, ma in ogni caso ci stava andando a testa alta. Il Governo delle Alte Testa, formazione a testuggine, non guardava dove metteva i piedi. Abbassando la testa non c’è altro che terra bruciata. I fascisti hanno sempre avuto ottimi motivi per far alzare la testa. O per non far vedere il sudiciume che stavano generando, o per dare l’impressione di sapere dove stavano andando. Hanno sempre finto di non sapere che le due cose – il sudiciume a terra e l’orizzonte ultimo – coincidessero. Far alzare la testa è illusionismo e procrastinazione. D’altronde, lo scemo non guarda l’orizzonte ma fissa il dito. Il Governo delle Alte Testa da questo punto di vista era ineccepibile: lo sguardo era talmente alto, talmente oltre, talmente avanti, che nessuno si soffermava a guardare il dito. Io, scemo, rimanevo invece a fissare le dita degli amici camerati del Generale delle Alte Teste, che si immortalavano indossando anelli incastonati con la X della Decima Mas, alternata da fasci littori.

Difenderemo l’interesse Nazionale e cammineremo a testa alta.

I leader del Governo delle Alte Teste scrivevano, intimavano, invocavano Avanti tutta! Avanti tutti a testa alta! Gridavano. Sui social, nei salotti televisivi e radiofonici, sui palchi, per le strade. A gridare più forte – forse era quello con la testa più dura? – era sempre stato quel Ministro che poi, a ridosso di quel Natale, doveva andare a giudizio per un reato non chiaro, di cui nessuno ricordava più i dettagli specifici. C’entrava una barca, batteva bandiera spagnola dicevano, c’era qualcuno su quella barca – non chiaro da dove venisse né dove andasse, a pochi importava, non sembrava quello il punto – e c’era un tema di diritto internazionale e sovranità. L’unica cosa chiara era che il Ministro, a quel processo, ci sarebbe andato a testa alta, anzi altissima. E la fierezza, negli anni ’20 (del 2000), non era seconda a niente e nessuno.

Mi dichiaro COLPEVOLE di aver difeso l’Italia. Avanti, a testa alta

Ricordo nitidamente la diretta del processo.

Seduto nella casa circondariale Pagliarelli di Palermo, che l’imputato adorava definire bunker, il Ministro delle Alte Teste si alza. Cammina per il corridoio, scorge una luce alla fine, la segue. I flash dei fotografi, il vociare, un’eco non lontana. Sarà il caldo, l’arancino che ha mangiato a colazione, forse il nome dell’aeroporto dove è atterrato qualche ora prima, ma per un momento si sente Giovanni Falcone. Ne è convinto, è Falcone: d’altronde, sta andando in un tribunale, si dice. Camminando si ripete la sua citazione preferita del magistrato: Chi parla ad alta voce e cammina a testa alta muore una sola volta. Se la ripete alzando ulteriormente il capo. 

La violenza di certi delinquenti non ci spaventa e non ci fermerà. Avanti a testa alta!  

Cammina per il corridoio a testa alta il Ministro, e si accorge di aver sbagliato. Non è Falcone in quel momento. La mafia non c’entra un cazzo, lui non è un magistrato, è l’imputato, non deve dimenticarselo. Non è Falcone, è Marco van Basten. 1987, scudetto del Milan. Quel corridoio altro non è che il tunnel di San Siro. Si sente come quando da ragazzo sognava di essere il capocannoniere della sua squadra del cuore, entrando nello stadio. Fuori ci sono gli striscioni, c’è la sua famiglia, i cronisti, i suoi più cari amici. Ma anche gli avversari, pronti a sfottò senza mezze misure, pronti alle peggiori ingiurie e a minacce. Ora entra in campo, fa una doppietta e zittisce tutti. Ma se dovesse andare male? Testa alta, non ci vuole pensare.

Questi accoltellano, ma a rischiare il carcere per aver bloccato gli sbarchi dei clandestini sono io… Avanti, a testa alta.

Avanti tutta. L’ha ribadito per settimane, mesi, anni, il Ministro. E ora tutti glielo ripetono mentre attraversa il corridoio e inizia a distinguere i cori dell’arena tributaria. Glielo dicono i secondini, gli inservienti, i carabinieri, i giornalisti, i fotografi. Lo guardano, sorridono, ammiccano, distribuiscono pacche sulle spalle e gli dicono “Avanti tutta!”. Strabuzzando gli occhi il Ministro va avanti, supponendo sia un’indicazione stradale per arrivare in aula. Cammina sempre più veloce, si srotola come un centometrista, è al giro d’Italia, inizia a sudare, un ragazzino gli lancia una bottiglietta d’acqua mentre gli sussurra Sempre avanti, avanti tutta. Sta ormai correndo il Ministro. Sta scappando? Avanti tutta. Che avanti sia.

Io varcherei le porte di quel carcere a testa alta.

Il Ministro varca effettivamente le porte del tribunale a testa alta, è in aula. Vengono esposti i capi di imputazione. È il fischio di inizio. Palla al centro: inizia il processo. Il dibattimento, le voci che si accavallano, il pubblico ministero, le mani che sbattono, lo show. Gli sguardi inquisitori dei presenti, tutti seduti a testa alta a fissare l’epicentro della scena: il banco degli imputati, e – più nello specifico – la nuca impassibile del Ministro. Pause, sigarette. Ammonizioni. Risate ironiche, ammiccamenti alle parti civili, gesti sarcastici, camicie che iniziano a pezzarsi, bottoni che saltano, cravatte che si allargano. E infine, le arringhe finali, l’ultima celebrazione del rito processuale, prima del verdetto.

L’ho fatto e lo rifarei, per il bene dell’Italia e degli italiani. Andiamo avanti, a testa alta e senza paura.

Parola alla difesa.

“Lei capisce, Ministro, che io, per rispetto delle istituzioni, vorrei ascoltarla, ma non posso camminare a testa alta? E poi, se cado, se Lei cade, chi La raccoglie se tutti vanno avanti guardando in su? Il rischio di tamponamento sarebbe altissimo, e sarebbe sicuramente un problema anche per i soccorsi. Le ricordo che siamo un popolo dalla testa assai dura, poco incline alle testimonianze e dal clacson facile. Per non parlare dei torcicolli, in un paese in piena emergenza sanitaria. Come non citare poi il tema della sovraesposizione dei pomi d’Adamo e dei nauseanti dopobarba da discount? Non vorrei poi che tutto questo slancio cranico, non risultasse in una generazione con la testa tra le nuvole. O peggio, Ministro, non pensa ci sia il contrario rischio di montarsi un po’ troppo la testa? Lei mi dirà che basta una bella lavata di testa di tanto in tanto per rimettere le cose a posto, e io non voglio mettere in discussione il Suo approccio pedagogico: voglio solo sottolineare che il rischio esiste. Lei è un tipo tosto, lo vedo. Lo siete tutti. Presidente, Ministro, Generale. Gente con la schiena dritta, le spalle grosse, testosterone e teste alte, forse un po’ calde, ma sicuramente saldamente sulle spalle.

Ora, non vorrei starmi fasciandomi la testa prima di essermela rotta, ma tutti questi inviti ad alzare il capo mi stanno facendo venire dei pericolosi giramenti di testa. Non è che io voglia la Sua testa, Ministro, per carità, è che semplicemente la Sua linea difensiva a capo alto non ha ne capo né coda. A furia di camminare a testa alta in un tribunale, non vorrei che un giudice illuminato – in odor di illuminismo – non cadesse, a furia di vedere quel collo sporgersi, a delle tentazioni da ghigliottina. La vedo, c’è brusio in aula e Lei scuote la testa: proprio non mi entra in testa questa sua testardaggine. Certo, il Suo non è un testamento politico che mi faccia perdere la testa, ma non è questo il punto, dal momento che – mi consenta Ministro – è anche vero che in questo paese per tagliare la testa al toro e finalmente esprimere una chiara preferenza, è spesso come giocare a testa o croce, Piantedosi o Minniti, e ci si mette la testa e l’anima in pace.

Concludendo Ministro, poi lasceremo ai giudici giudicare e alla politica polemizzare, guardandola lì, impettito, teneramente paffuto, con il bell’abito e l’occhiale da lettura, mi ricorda un giovane Churchill. Ne sarà felice, e sicuramente saprà che anche il collega britannico asseriva che, se costretti ad attraversare l’Inferno, di farlo a testa alta. La volevo rassicurare, Ministro delle Alte Teste, che ad attraversare l’Inferno in questa triste vicenda non è di certo stato Lei. E in assoluto, mi permetta di salutarla con un consiglio: potendo, io cercherei di evitarlo l’Inferno, ma – una volta che ci dovessi capitare dentro – mi creda, mi guarderei ben intorno, saluterei chi di dovere e, specialmente, starei attento a dove metto i piedi. Magari finisce che si diverte pure.

Parola all’imputato.

C’è silenzio in aula. Il discorso del pubblico ministero è stato così coerente con la sua linea comunicativa che il Ministro non sa dove sbattere la testa.

Parola all’imputato!

Il Ministro ha il petto in fuori e guarda in su. Pensa che se fosse stato titolare nel Milan dell’87 avrebbe segnato sicuramente di testa. Però ora deve parlare. L’avvocato allunga un foglio sul tavolo. Il Ministro è in piedi, la testa non è mai stata così alta. La alza ulteriormente, si guarda riflesso sull’ebano lucido degli scranni del tribunale. È elegantissimo, ha lo stesso completo del video che ha girato il giorno in cui aveva scoperto di rischiare 6 anni di carcere. Gli è piaciuto girare quel video: il cameramen gentile, il direttore della fotografia silenzioso, la camicia bianca, la giacca confezionata per tempo in sartoria, su misura, il fazzoletto che esce appena dal taschino. Si ricorda di quella sensazione, e si sente improvvisamente così a suo agio da non poter fare altro che ripetere il copione – ciak, si gira. Si dichiara semplicemente COLPEVOLE di aver difeso l’Italia. L’avvocato impallidisce. Il Ministro delle Alte Teste, non abbassando la testa, non aveva visto il biglietto in cui aveva ribaltato la linea difensiva e prontamente redatto una nuova dichiarazione. Preda del metodo Stanislavskij, il Ministro non era riuscito ad uscire dal suo personaggio mediatico. Il giudice ne prese atto, e lo dichiarò colpevole di aver difeso l’Itala. 6 anni di carcere.

L’imputato non ha parole: non doveva andare così. È un brutto finale di un film che non voleva vedere. Qualcuno ha cambiato il copione senza dirglielo. Ascoltata la sentenza, stramazza al suolo. Accorrono i soccorsi, grande subbuglio in aula, pianti, telefonate, sirene di ambulanza. Si suppone un colpo al cuore. Invece, si leggerà sul referto quella sera, “ischemia cerebrale acuta conseguente a insufficienza vertebro-basilare cronica, causata dalla compressione prolungata delle arterie vertebrali legata al mantenimento costante della testa in posizione iperestesa”. Ministro delle Alte Teste, scampato al carcere, deceduto a testa alta.

L’esito di quel referto era poi riportato interamente il giorno dopo, nel decreto ministeriale recapitato via posta a tutti i cittadini italiani, in cui si proclamava l’Italia – con effetto immediato – Repubblica delle Alta  Teste.

Dopo un primo momento di confusione, il messaggio venne recepito, e tutti uscirono di casa a testa alta. Iniziarono a guardare il cielo, e da allora nessuno si azzardò più ad abbassare lo sguardo. Le conseguenze furono inaspettate e degenerative. La prima e più diretta conseguenza fu che quel Natale le decorazioni furono senza precedenti. Non si badò a spese. Alberi di Natale altissimi, luci a non finire, festoni pomposi, neve finta sui tetti, stelle comete su tutti i possibili cornicioni. Bacche rosse, campanelle dorate e fiocchi elaborati ad adornare tutti i portici e i ponti. Passate le feste, ci fu un riadattamento di mestieri atti alle nuove regole, che – anno per anno – andò a rimodulare il tessuto sociale del paese. Ne risultò una generazione di astronomi, giocolieri, uomini e donne cannone, birdwatcher, astrologhi, saltatori con l’asta, scalatori incapaci poi di scendere dalle vette una volta raggiunte, sommozzatori che potevano solo risalire dalle oscurità del mare, astrofisici, equilibristi su funi sospese, piloti di razzi vettori. Un esercito di lucidatori di finestre (ma solo dal secondo piano in su, ignorando piani terra e seminterrati), lucidatori di semafori, insegne e cartelli stradali, saltimbanchi, tecnici delle antenne paraboliche, cacciatori di farfalle, curatori di giardini pensili, riparatori di fari, installatori di pannelli solari, raccoglitori di frutta d’albero, montatori di insegne pubblicitarie sui grattacieli, ballerini di Flamenco, suonatori di campane, esploratori di canyon verticali, vedette di professione, collezionisti di nidi. Intere classi di lampionai, elettricisti di alta quota, esperti di fuochi d’artificio, pittori di affreschi, restauratori di affreschi e osservatori di stelle cadenti. In sostanza, una progenie di gente con la testa tra le nuvole, tutti accumunati dalla solidità dei rispettivi colli taurini, così come quelli del Ministro, a cui il paese doveva questo stravolgimento di costumi.

Il 20 dicembre 2124, a celebrare il centenario della dipartita, il Ministro delle Alte Teste sarà fatto martire, e le nefandezze più bieche del ventennio – come quella volta in cui 149 migranti furono lasciati a marcire su una nave a due metri da terra per raccogliere quattro voti – vennero lentamente dimenticate, e definitivamente perdonate, e nella Repubblica delle Alte Teste si visse per sempre felici e contenti, con il naso saldamente rivolto all’insù.