Perché anche questa volta i sondaggi delle elezioni americane non sono serviti a niente? Potrebbe avere a che fare con il fallimento della strategia della sinistra, estremizzata negli USA, che con la sottrazione di dignità dei suoi avversari, li spinge all'autocensura pubblica e allo sfogo protetto dal segreto dell'urna.
Dalla newsletter "Preferirei di no" di GOG Edizioni

Che i sondaggi siano lo strumento peggiore per capire le inclinazioni di voto di un Paese, quello che il politologo Alfonso Signorini chiama il sentiment, ormai si può dire. Ma perché gli analisti e i commentatori, i giornalisti e i giudici di XFactor li prendono ancora sul serio? Chi esultando prima del tempo, chi lanciandosi in sperticate sentenze, chi vendendo le sue cripto per poi mangiarsi le mani. Quando li ascoltiamo sembra che ci sia come una misconoscenza dell’antropologia di base, quell’infarinatura minima di consapevolezza delle meschinità umane su cui ci illuminano da bambini le favole, la Bibbia e Dragon Ball.

Tra tutte, il fatto che le persone mentono. Un’ovvietà che gli analisti troppo spesso sottovalutano, loro che lavorano solo sui dati, quindi solo su ciò che la gente dice esplicitamente. Ma le parole non sono un dato, nascondono sottotesti, sottointesi, in base al contesto mutano di significato. Pensiamo a un ragazzo americano qualsiasi, chiamiamolo Benjamin, che esce dall’Università a braccetto con la sua ragazza, anzi la sua crush – sono ancora nella fase del corteggiamento e non c’è la confidenza sufficiente per confessare l’indicibile. Lei della Virginia, una progressista convinta, lui del Missouri e la notte di nascosto guarda i video di Logan Paul che intervista gente assurda.

Una sondaggista donna, ispanica, incazzata nera dopo aver litigato con il marito causa stress pre-elettorale, li intercetta, e chiede loro che candidato voteranno alle prossime presidenziali. Lui è intenzionato a votare Trump, e tuttavia non può ammetterlo di fronte alla sondaggista incazzata ma soprattutto a Sarah, farebbe una figuraccia, complicherebbe la relazione, salterebbe la scopata a cui aveva pensato durante tutta la lezione di Bioetica dove gli hanno spiegato che il binarismo è una mistificazione teocratica. Opterà quindi per il virtue signalling, superficiale ma ostentata segnalazione di virtù: dirà di votare per Kamala Harris. È più facile, comporta meno rischi. Perché non accade il contrario? Perché non è Sarah a mentire, dichiarando che voterà Trump per compiacere il suo ragazzo? La risposta a questa domanda, probabilmente, contiene anche la risposta a un’altra incognita: perché la sinistra sta sulle palle a tutti? 

È una variazione sulla teoria delle minoranze intolleranti di Nassim Taleb, formulata in seguito ad un barbecue tra amici, quando si accorge che tutte le bevande disponibili sono «kosher», dicitura con cui vengono qualificati i cibi adatti agli ebrei in ossequio alle loro tradizioni. «La popolazione kosher rappresenta meno del tre per cento dei residenti degli Stati Uniti, eppure pare che quasi tutte le bevande siano kosher. Perché così il produttore, il negoziante e il ristorante non devono distinguere tra kosher e non. Niente reparti o inventari speciali. La semplice regola che detta tutto è: “Chi mangia kosher non mangerà mai cibo non-kosher, mentre a chi mangia non-kosher non è proibito il kosher”». «Basta che un certo tipo di minoranza intransigente raggiunga un livello minimo, come il 3 o il 4 per cento, perché l’intera popolazione finisca per sottomettersi alle sue preferenze».

Ora qui non si tratta di demografia, di un rapporto tra maggioranza e minoranza in termini numerici, quello tra Sarah e il nostro giovane Benjamin, ma rimane comunque un fatto: Sarah non potrebbe tollerare la scelta di Ben, mentre Ben tollererà senza fare troppe storie la scelta di Sarah (il patriarcato tra i ventenni è finito da un pezzo). Sarah è in qualche modo una minoranza auto-percepita, in quanto donna, in quanto progressista, di sinistra, illuminata, buona, giusta, queerfriendly, a differenza del popolo reazionario, infame, pancia del paese, composto da quelle che Eco chiamava “legioni di imbecilli” che hanno trovato voce sui social, senza capire che imbecilli con un telefono in mano lo diventiamo un po’ tutti, anche Eco. Così Sarah si sente depositaria di una legittimità superiore a quella di Ben e può far valere la sua intolleranza, costringendolo a fare pippa. «Voto Kamala Harris! Claro que sì», dirà il nostro sorridendo in favore di foglio Excel e abbracciando ancora più forte a sé Sarah.

Ecco che salta il banco, il sondaggio mente perché gli uomini mentono – per quieto vivere o per chissà quante altre ragioni. Quanto spazio di ripensamento corre tra ciò che diciamo, la nostra reale intenzione e l’azione concreta? Tutto questo spettro di incertezza non è contabilizzato nelle statistiche. Un vuoto in cui si muovono masse di elettori. È come pensare di vincere le elezioni sulla base dei «mi piace» ai propri post, strategia che in qualche modo la Harris ha utilizzato incentivando gli endorsement da parte di tutto lo Star System, da Taylor Swift a Bruce Springsteen. I social ci dicono che piacciono. Gli stadi pieni ci dicono che piacciono, certo. Ma a quanti altri stanno sulle palle e questa avversione non viene conteggiata? Su quanti, tra gli elettori afro e ispanici, ha prevalso una tendenza patriarcale che gli ha fatto preferire Trump a una donna, senza che ciò potesse essere previsto? 

Non c’è il tasto «non mi piace» sui social, non esistono gli indici di sgradimento, le minoranze non coincidono sempre con i pregiudizi statistici che abbiamo su di loro. La frustrazione o il rancore hanno questa differenza con le passioni positive, che spesso sono mute. Nessuno può ammettere di provare risentimento. Nessuno si alzerà e dirà di averne abbastanza di mangiare cibo Kosher, non davanti a tutti almeno. Nessuno dirà alla sua ragazza che è contrario all’aborto o che gli rode solo l’idea di avere uno stipendio inferiore a quello di una donna (è sbagliato questo rodimento? Però esiste e incide sul voto). Da qualche altra parte quel rancore, aggravato dalla sua inconfessabilità e divenuto umiliazione, sopraggiungerà ben oltre l’odio che vediamo sui social – la parte visibile di un’insofferenza molto più grande che è il vero ago della bilancia in un vecchio Occidente con un discreto tenore di vita dove la politica si gioca sempre più sulla manutenzione o la sostituzione dei simboli (che tanto sull’economia domina il realismo capitalista).

Ecco perché una strategia basata solo o principalmente sull’analisi dei dati è destinata a fallire. La politica è l’arte di interpretare il non detto, l’inconfessabile, tutto ciò che la gente omette – e dargli una voce, quindi una dignità. La destra ci sguazza in questa roba, originando mostri come Trump e affini. Mentre la sinistra si sforza di fare il contrario – il suo sembra un perenne esercizio di sottrazione di dignità alla maggioranza delle persone comuni, invitando all’autocensura, alla colpevolizzazione di sé. Possibile che non ci sia un’alternativa a queste due modalità di fare politica? Il disprezzo del basso da un lato e l’esaltazione della bassezza dall’altro? Deve esserci una via di uscita, e sicuramente non è quella di gridare che Trump ha ucciso la democrazia, sono arrivati quelli di Qanon al potere (anzi i veri complottisti sono proprio quanti credono che i complottisti abbiano portato Trump alla Casa Bianca).

È che l’America sembra proprio aver completato tutto l’arco delle possibilità democratiche, facendo il giro e portando all’estremo il paradosso che la democrazia contiene al suo interno, quello per cui si può pretendere la libertà di scegliere per l’illibertà. Anche perché dall’altra parte non si è proposta una vera libertà, ma un’illibertà uguale e contraria, con l’aggravante di dover sopportare una tipa come Sarah.