Immagina di fotografare due arance, rotonde come due palle, una accanto all’altra, su sfondo azzurro, per farne risaltare la purezza squillante del colore. La fotografia di due arance perfettamente rotonde è immorale, perché contro la natura della realtà. Vedi palle dove ci sono arance.
Strofina i polpastrelli e annota sul foglio di carta:
ARANCE NAVEL Kg 1. PREZZO: 2,19€
Quale relazione tra prezzo e utilità? A cosa serve un’opera d’arte? Quando si vende? E quando si compra? La foto delle tue palle costa quanto una spremuta d’arance.
Anna Visca, curatrice artistica, somiglia a Anna Maria Ortese da giovane: il labbro superiore appena sporgente, la fronte disegnata dalle due curve asimmetriche dell’attaccatura dei capelli tirati indietro, lo sguardo vitreo della lente fotografica attraversata dalla luce. Nonostante la sua tesi di laurea contenga un numero adeguato di virgolettati da Deleuze e Guattari, Anna Visca costruisce una personale idea di arte su due letture intime, per non dire confidenziali, da condividere solo in caso di estrema necessità: Capri e non più Capri di Raffaele La Capria e un racconto di Henri James intitolato Madonna del Futuro.
Da La Capria, Anna apprende che l’eterno destino della bellezza è la sua profanazione. In Henri James trova invece il senso di un concetto abbastanza radicale che chiama “il rischio della produzione”.
Secondo Anna, non esiste arte senza rischio di produzione, e tale rischio appartiene in misura uguale all’artista e allo spettatore, motivo per cui si verrebbe a escludere, nell’esperienza dell’arte, la contemplazione estetica del bello.
Chiunque almeno una volta è stato sopraffatto dal non capire un’opera d’arte. È irrilevante. Conta solo il potere d’acquisto. Per questo Anna propone una radicale distinzione tra opera d’arte e fatto artistico. Un fatto artistico può non essere un’opera d’arte e spesso capita che un’opera d’arte non sia un fatto artistico. Un teschio di diamanti, cinque fendenti di taglierino su una tela bianca e trentadue barattoli di zuppa Campbell sono notoriamente un’opera d’arte.
Un fatto artistico assomiglia di più a una borsa Vuitton con l’iconico logo disegnato a penna da un irregolare senegalese di nome Bamba Dieng. Nessuno la compra perché si vede che è falsa, mentre la sua perfetta autenticità sta appunto nel rifiuto di postulare il vero come copertura del falso. Almeno così sostiene la Digos in un sommario verbale di sequestro della merce contraffatta.
In base a queste considerazioni, Anna si convince che il Movimento 5 stelle non solo è un fatto artistico, ma anche l’opera d’arte più importante del primo quarto del ventunesimo secolo. Se diamo per scontato che senza il situazionismo del contemporaneo il Movimento non sarebbe potuto esistere, è altrettanto evidente il contrario. Non sarebbe possibile comprendere il situazionismo contemporaneo senza il dispositivo del Movimento 5 stelle.
Immaginando, in prospettiva storica, la tassonomia di un linguaggio che parte dall’orinatoio di Duchamp e arriva ai pupazzi di Cattelan, il Movimento 5 stelle rappresenta la più accurata lettura mai vista del suo codice genetico. Scioglie il dilemma biologico della fissità inerte di una performance relazionale di Marina Abramovic.
Nella sua brutale epitome, il Movimento pianta deputati alla Camera dalla stessa astrazione simbolica di Joseph Beuys che pianta querce alla documenta 7 di Kassel. Tiene insieme la squadrata purezza ascetica di una mensola di Donald Judd e la contorsione espressionista di un pezzo di Schifano o di Rauschenberg.
E se qualcuno ha la pretesa di spiegarsi quello che è stato appena detto, allora Deo gratias non sa ancora niente né dell’arte contemporanea, né del Movimento 5 stelle. Sono ipnosi e allucinazione. Parlano di cose che non si conoscono e che non si possono fare, o possedere, ammesso che si conoscano.
Il ragionamento funziona a livello controintuitivo. Viene sempre facile fare politica con l’arte, quasi mai fare arte con la politica. In questi termini il Movimento 5 stelle da movimento politico diventa monumento artistico. Nuovo Edipo che impone il suicidio della Sfinge, Il Monumento 5 stelle entra di diritto nella storia dell’arte. I curatori e i critici, o chiunque scriva venti parole con un virgolettato di Deleuze e Guattari, devono soltanto stendere il tappeto rosso della sua solenne passerella.
La conclusione di Anna Visca è semplice. Il posto del Monumento 5 stelle è in un museo, tra una Venere di gesso e un estintore. A livello contrattuale, bisogna trovare un accordo. Il Monumento non fa niente gratis, al massimo anticipa. Come ogni vera opera d’arte, il prezzo del Monumento non è reale, ma esponenziale. Rappresenta il numero infinito di tutti i prezzi possibili. Il suo valore d’uso è una quotazione di borsa. Il valore di scambio potrebbe invece limitarsi a una mera cifra assicurativa, quanto basta per garantire l’integrità fisica delle distinte parti che lo tengono insieme.
Pazienza se i bilanci della cultura pubblica non se lo possono permettere. Le fondazioni e i grandi mecenati hanno già fiutato la rilevanza dell’acquisizione. Non resta che inserire la delibera all’ordine del giorno della nuova Assemblea Costituente. Il Monumento 5 stelle è pronto a essere impacchettato, sottovuoto e in formaldeide, da esporre per intero a beneficio degli spettatori paganti nella grande camera bianca di una torre d’oro progettata da Rem Koolhas. Al garante, il vitalizio di una percentuale fissa sulla bigliettazione netta.