Estratti del libro di M. Ageev "Romanzo con cocaina" (GOG).
Di M. Ageev.

Una terribile domanda gravava su di me durante tutto il tempo della cocaina. Era una domanda terribile perché la risposta era o un vicolo cieco o la via verso la più spaventosa delle concezioni del mondo. E questa concezione del mondo costituiva un insulto per quella cosa luminosa, delicata e pura che neanche l’ultima delle canaglie, in stato di calma e di sincerità, ha mai oltraggiato: l’anima umana.

La scintilla che fece nascere questo quesito, come spesso avviene, fu un’inezia. E, in verità, si poteva pensare, che cosa c’è di straordinario? Che cosa c’è di straordinario nel fatto che, sotto l’effetto della cocaina, un uomo prova sentimenti altamente umani, elevati (una cordialità isterica, una bontà fuori dal comune, e così via), mentre appena finisce l’effetto della cocaina quell’uomo diventa preda di sentimenti bestiali e bassi (esasperazione, rabbia, crudeltà)? Apparentemente non c’è nulla di straordinario in questa successione di sentimenti, eppure fu proprio questo che mi portò alla domanda fatale.

In effetti, che la cocaina provocasse in me i sentimenti migliori e più umani potevo spiegarmelo con il suo influsso narcotico. Ma come spiegare il resto? Come spiegare l’inevitabilità con la quale (dopo la cocaina) comparivano in me questi sentimenti bassi, bestiali? Come spiegare questo fenomeno, la cui costanza e irrevocabilità mi spingevano involontariamente a pensare che i miei sentimenti più umani fossero legati con un filo a quelli bestiali e che l’estrema tensione e dunque l’esaurimento degli uni si portasse, si tirasse dietro la comparsa degli altri, come succede in una clessidra, dove lo svuotamento di una sfera predetermina il riempimento dell’altra?

Ed ecco nascere la domanda: questo cambio di sentimenti è solo una caratteristica speciale della cocaina, che lo impone al mio organismo, oppure questa reazione è una caratteristica del mio organismo, che sotto l’effetto della cocaina affiora solo in modo più evidente? Una risposta affermativa alla prima parte della domanda significava un vicolo cieco. Una risposta affermativa alla seconda parte della domanda apriva una strada fin troppo ampia. Perché era evidente che imputando una reazione acuta dei sentimenti a una caratteristica del mio organismo (solo più bruscamente manifesta con l’azione della cocaina), ero obbligato ad ammettere che anche senza cocaina, in ogni sorta di condizione, l’eccitazione dei sentimenti umani della mia anima (come reazione) porta con sé gli stimoli della bestialità. In senso figurato, mi sono chiesto: l’anima non è una sorta di altalena che, ricevendo una spinta verso l’umanità, è per questo già propensa a oscillare di ritorno verso la brutalità? Ho provato a cercare un qualche esempio in vita per confermare questa ipotesi e mi pare di averlo trovato.

Ecco che il giovane, buono e sensibile Ivanov siede a teatro. Intorno a lui è buio. Va in scena il terzo atto di una commedia sentimentale. I cattivi già esultano, e perciò senza dubbio sono sull’orlo della distruzione. Gli eroi buoni sono vicini alla morte e perciò, come previsto, sono sulla soglia della felicità. Tutto si avvicina al giusto e lieto fine, così bramato dalla nobile anima di Ivanov e il suo cuore batte con emozione. In lui, in Ivanov, sotto la travolgente influenza dell’azione teatrale, sotto l’influsso dell’amore verso questi onesti, splendidi esemplari umani che vede sulla scena, che accettano umilmente le sofferenze, la cui felicità lo preoccupa, in lui si sforza e si rafforza sempre più la vibrazione cristallina della sua nobiltà d’animo, dei suoi sentimenti umani.

Lui non sente né il piccolo meschino calcolo, né la lussuria, né la cattiveria e non può sentirli ora, nella beatitudine di questi minuti, come sembra a lui, il giovane, il buon Ivanov. È seduto nell’inviolato silenzio della sala buia, ha il volto infiammato, sta seduto e sente con gioia la sua anima languire dolcemente per l’appassionato bisogno di sacrificare la propria vita – adesso, subito, qui, nel teatro – in nome dei più alti ideali umani. Ma ecco che nell’oscurità del teatro, tesa e satura con la vibrazione delle emozioni umane, il vicino di Ivanov comincia a tossire forte, come un cane.

Ivanov gli è seduto accanto, il vicino continua con questo fracasso, questo suono scatarrante penetra fastidiosamente nel suo orecchio, ed ecco che Ivanov sente come qualcosa di spaventoso, di bestiale, di torbido innalzarsi, crescere in lui, lo travolge. “Il diavolo prenda voi e la vostra tosse”, dice alla fine Ivanov, non resistendo più, con un sussurro velenoso e viperino. Dice queste parole come ubriaco, per la spaventosa pressione, del tutto insolita, dell’odio, e anche se continua a guardare al palco, tutto in Ivanov comincia a tremare dalla rabbia e dalla foga verso il signore che aveva cominciato a tossire, tanto che in un primo momento lui non riesce ancora a predisporsi, a far tornare di nuovo l’umore precedente, ma sente ancora chiaramente, come solo un momento prima in lui, in Ivanov, c’era solo un desiderio, represso a fatica: distruggere, colpire questo fastidioso vicino che ha tossito a lungo.

E qui mi chiedo: qual è la causa di una così improvvisa, predatoria ira dell’anima del giovane Ivanov? La risposta è solo una: l’eccessiva eccitazione nella sua anima dei migliori e più umani sentimenti di abnegazione. Ma può essere che non sia così, dico io, può essere che la causa del suo imbestialirsi sia la tosse del vicino. Ma, ahimè, questo non può essere. La tosse non può essere la causa, perché se il vicino che comincia a tossire fosse in tram, o ancora da qualche altra parte – dove Ivanov si sarebbe trovato in uno stato d’animo un po’ diverso –, in nessun caso il buon Ivanov si sarebbe incattivito così. In questo modo, la tosse, nel caso specifico, è solo la giustificazione per lo scarico di questo sentimento, verso cui era costretto Ivanov dal suo stato interiore, spirituale. Ma lo stato interiore, lo stato spirituale di Ivanov, quale poteva essere?

Supponiamo che noi ci sbagliassimo, dicendo che lui sperimentava sentimenti umani e sublimi. Quindi mettiamoli da parte e proviamo a conferire a lui, a Ivanov, tutti i restanti sentimenti per un uomo a teatro, confrontando contemporaneamente quanto questi altri sentimenti possono aver piegato Ivanov verso questo scoppio bestiale d’odio. Fare questa esperienza è più facile perché l’elenco di questi sentimenti – se tralasciamo le loro sfumature – è molto esiguo: ci rimane solo da supporre che Ivanov, sedendo a teatro, o 1) era costantemente divorato dalla rabbia o 2) si trovava in uno stato di indifferenza e noia. Ma se Ivanov fosse stato divorato dalla rabbia anche prima che il suo vicino cominciasse a tossire, se Ivanov fosse stato irritato con gli attori per la loro pessima recitazione, oppure con l’autore per la sua opera immorale, o con se stesso, per avere buttato via i suoi ultimi soldi in un così brutto spettacolo, avrebbe sentito un così selvaggio e bestiale attacco di odio verso il vicino che tossiva? Certamente no. Nel caso peggiore avrebbe sentito stizza per il vicino che tossiva, può darsi, avrebbe persino borbottato “E adesso ti ci metti anche tu con la tosse?”, ma questa stizza è terribilmente lontana dal desiderio di colpire, di distruggere un uomo, di odiarlo.

Così, questa ipotesi che Ivanov fosse divorato dalla rabbia prima della tosse, e che una esasperazione generale lo ha portato a un tale acuto scoppio d’odio, dobbiamo metterla via perché è sbagliata. Mettiamola via, quindi, e proviamo a fare un’altra ipotesi. Proviamo a supporre che Ivanov fosse annoiato, che provasse indifferenza. Può essere che questi sentimenti lo abbiano portato ad avere un tale selvaggio scoppio di rabbia verso il vicino che tossisce. Ma non può essere. In realtà, se l’anima di Ivanov fosse in uno stato di fredda apatia, se Ivanov, guardando il palco, fosse stato annoiato, avrebbe davvero sentito l’esigenza di colpire il vicino, di colpirlo perché tossiva? Non solo in questo caso non avrebbe sentito un tale desiderio, ma molto probabilmente avrebbe persino compatito quest’uomo malato che tossiva.

Per finire con Ivanov ci rimane solo da colmare la spiacevole lacuna che abbiamo supposto nell’elenco delle emozioni disponibili per un uomo a teatro. Il fatto è che non abbiamo ricordato – cosa che si verifica spesso sotto l’influenza dell’azione teatrale – il sentimento di ilarità, che è un sentimento molto importante per il nostro esempio. È importante perché fa cadere completamente il possibile motivo che poteva giustificare la cattiveria di Ivanov verso il vicino che tossiva: la tosse, presumibilmente, gli ha impedito di ascoltare lo scambio di battute degli attori. Ma è possibile che per Ivanov (che si trovava in uno stato di ilarità) le divertenti battute degli attori, che hanno provocato questa ilarità, fossero per lui meno interessanti e importanti della tosse del vicino, è possibile che non le stesse a sentire con la stessa attenzione delle parole di un dramma? In questo caso, nessuna tosse, nessuno starnuto o altri simili rumori del vicino, anche se lo avessero infastidito, avrebbero risvegliato in lui il desiderio di picchiarlo.

Così, dunque, per la forza delle cose, dobbiamo tornare all’ipotesi prima esposta. Siamo costretti a riconoscere con rassegnazione che solo la fortissima commozione dell’anima e, dunque, il fremito dei sentimenti più umani e sacrificali risvegliati in Ivanov siano la causa scatenante di questa sua incontrollabile, rapace, bestiale rabbia.

Ovviamente l’incidente teatrale qui descritto non può in alcun modo pretendere di convincere anche il più ingenuo di noi. Giacché, in effetti, è forse giusto parlare della natura dell’anima in generale prendendo come esempio la rabbia del singolo Ivanov contro il suo vicino raffreddato, scegliere un esempio chiaramente eccezionale mentre lì, nella sala del teatro, ci sono un migliaio di persone che, esattamente come Ivanov, sotto l’effetto dell’azione drammatica hanno trascorso alcune ore in uno stato di estrema tensione delle loro migliori forze spirituali (nella misura in cui, naturalmente, questa azione teatrale ha provocato non riso, non allegria, non un’ammirazione della bellezza, ma un turbamento spirituale). Ci basterà dare un’occhiata a queste persone, alle loro facce, durante gli intervalli e dopo la fine dello spettacolo, per convincerci che esse non sono assolutamente furibonde, non si arrabbiano contro nessuno, non vogliono picchiare nessuno.

A un primo sguardo, questo fatto sembra scuota con forza le nostre ipotesi. Dopotutto, abbiamo formulato l’ipotesi che lo stimolo dei sentimenti di umanità e abnegazione provoca nelle persone una predisposizione alla rabbia predatoria, l’insorgere degli istinti più ignobili. Ed ecco davanti a noi la folla degli spettatori del teatro, persone che sotto l’influenza dell’azione teatrale hanno vissuto l’agitazione di questi sentimenti umani, e noi vediamo, noi osserviamo i loro volti e il loro comportamento, nel momento in cui si accende la luce, quando escono fuori dal teatro, e nel frattempo non troviamo nessuna ombra, non solo, neanche un accenno di rabbia. Questa è la nostra impressione esterna: tuttavia, proviamo a non accontentarcene, proviamo ad andare ancora più a fondo. Proviamo a porre la domanda in modo diverso e stabilire che non si spiega forse questa mancanza negli spettatori di un qualsiasi istinto predatorio non tanto perché non c’è stato, ma quanto perché questo istinto bestiale è appagato in loro, è appagato completamente, come sarebbe accaduto a Ivanov, se avesse colpito il suo vicino, se non avesse opposto resistenza?

Perché è del tutto evidente che un’azione drammatica provoca nello spettatore la commozione e l’eccitazione dei sentimenti più elevati dell’anima solo quando a tale azione prendono parte personaggi di buon cuore, onesti e, nonostante la sofferenza provata, umili. (O almeno così viene percepita la presenza di questi personaggi dagli spettatori più spontanei e sensibili sui quali si può osservare con maggior chiarezza la vera natura dei movimenti dell’anima). Evidentemente sul palco, insieme ad angeli e personaggi umili, vengono rappresentati tipi di perfidi cattivi. Ed ecco che ci si chiede: questa sanguinosa e crudele punizione, costantemente messa alla fine dello spettacolo, verso i cattivi, in nome del trionfo della virtù, non consuma gli istinti bestiali appena sorti in noi, e non usciamo dal teatro umili e soddisfatti non perché nelle nostre anime non sono nati sentimenti ignobili, ma perché questi sentimenti hanno ricevuto appagamento? Dopotutto, chi di noi non confesserebbe con quale godimento ha schiamazzato, quando nel quarto atto un certo virtuoso eroe ha piantato un coltello nel cuore del malvagio?

Tuttavia, permettetemi, qui si può dire, questo è il sentimento di giustizia. Non si può negare. Ma sì, certo, è il sentimento di giustizia. Proprio lui: il divino sentimento di giustizia elevatore dell’uomo. Ma fino a cosa ci ha portato questa eccitazione di elevati sentimenti umani? Al godimento per un omicidio, a una rabbia bestiale. “Sì, ma contro i malvagi”, ci obiettano qui. “Non importa”, rispondiamo noi, “ciò che importa è che schiamazzare dal godimento per lo spargimento di sangue umano è possibile solo quando tu senti ferocia, cattiveria, odio e se questi ignobili, questi disgustosi sentimenti nascono nella nostra anima solo perché provocano in noi sentimenti umani, l’amore per le sofferenze e per gli umili eroi, e se questa nostra feroce bestialità silenziosamente e furtivamente è uscita dal turbamento dei nostri più nobili sentimenti che il teatro ha mosso in noi, non dimostra già con una certa chiarezza la spaventosa e ambigua natura delle nostre anime?”.

In effetti, basterebbe che a teatro ci venissero mostrate opere in cui i malfattori non soltanto non vengono puniti, non soltanto non periscono, ma, al contrario, trionfano: sì, cominciate a mostrarci opere dove trionfano le persone peggiori e le migliori vengono uccise, e vi assicurerete del fatto che un simile spettacolo alla fin fine ci porterebbe per le strade, ci porterebbe alla rivolta, alla ribellione, alla sommossa. Potete anche stavolta dire che ci ribelliamo nel nome della giustizia, che ci guida l’agitarsi, nelle nostre anime, dei più elevati e più umani sentimenti. Beh, avete ragione, avete ragione, avete perfettamente ragione. Ma guardateci quando ci ribelleremo, osservateci, quando, sopraffatti dai migliori sentimenti umani delle nostre anime, questi ci guideranno: osservate con attenzione i nostri volti, le nostre labbra, il comportamento dei nostri occhi, e, se non volete riconoscere che davanti a voi ci sono furiose bestie feroci, andate via dalla nostra strada al più presto, perché la vostra incapacità di distinguere l’uomo dalla bestia potrebbe costarvi la vita.

Ed ecco che già dentro di sé matura una domanda: perché queste opere teatrali, opere nelle quali vince il vizio e muore la virtù, insomma se queste opere sono veritiere, raffigurano la nostra vita reale, appunto perché nella vita succede proprio così, che vincono le persone malvagie, perché nella vita, osservando tutto questo, rimaniamo sereni e viviamo e lavoriamo, e quando questo quadro della vita circostante ci è mostrato a teatro, noi ci indigniamo, ci arrabbiamo, tutto ciò ci imbestialisce? Non è strano che lo stesso quadro, passando sotto gli occhi della stessa persona, lasci quest’uomo in un caso (nella vita) sereno e indifferente, e provoca in lui nell’altro caso (a teatro) indignazione, sdegno, rabbia? E non dimostra chiaramente che la causa in noi dell’insorgenza di questi o altri sentimenti, a cui reagiamo con un’azione esterna, bisogna cercarla non nella natura di questo evento, ma internamente, nello stato della nostra anima? Questa domanda è molto significativa e richiede una risposta precisa.

Il fatto è che, evidentemente, nella vita noi siamo ignobili e ipocriti, nella nostra vita prima di tutto siamo preoccupati per il nostro tornaconto personale, perciò nella vita noi lusinghiamo e aiutiamo e talvolta impersoniamo quegli stessi prepotenti e malvagi le cui azioni suscitano in noi una terrificante indignazione a teatro. A teatro, tuttavia, questo personale interessamento, questa bassa aspirazione ad accumulare benessere materiale, si placa nelle nostre anime, a teatro niente di personale abusa della nobiltà e dell’onestà dei nostri sentimenti: a teatro noi diventiamo spiritualmente puliti e migliori, e perciò a noi, con le nostre aspirazioni e simpatie, mentre ci sediamo a teatro, ci guidano interamente i nostri migliori sentimenti di giustizia, nobiltà, umanità.

E qui si pone un pensiero spaventoso. Si pone il pensiero che se non ci ribelliamo, se non diventiamo definitivamente bestie e non uccidiamo in nome della giustizia calpestata, è perché le persone sono ignobili, viziose, avide e profondamente cattive, e se nella vita, come a teatro, noi infiammassimo i nostri sentimenti umani, se nella vita diventassimo migliori, così noi, eccitati e con la vibrazione nelle nostre anime dei sentimenti di giustizia e amore verso gli offesi e i deboli, realizzeremmo, o proveremmo il desiderio di realizzare – che è la stessa cosa, poiché parliamo di movimenti spirituali – un tale numero di delitti, di spargimenti di sangue, di torture e di omicidi vendicativi, che nessuno ha mai realizzato e ha mai desiderato realizzare, neanche il più terribile dei malvagi, guidato interamente dall’arricchimento e dal profitto.

E involontariamente nasce in noi il desidero di rivolgersi a tutti i futuri Profeti dell’umanità e chiedergli: “Profeti buoni e gentili! Non commuoveteci, non accendete nelle nostre anime i sublimi sentimenti umani, e non sforzatevi di renderci migliori. Perché vedete: quando siamo i peggiori ci limitiamo a qualche minuscola nefandezza, quando siamo i migliori ci mettiamo a uccidere”. Cercate di capire, buoni Profeti, che proprio i sentimenti di Umanità e di Giustizia insiti nelle nostre anime ci obbligano a risentirci, a sdegnarci, a essere arrabbiati. Dovete rendervi conto che se fossimo privati dei sentimenti di Umanità, allora non saremmo risentiti, non ci indigneremmo.

Dovete rendervi conto che né la perfidia, né la malizia, né la viltà della mente, ma che l’Umanità, la Giustizia e la Nobiltà dell’Anima ci costringono a risentirci, a sdegnarci, a essere arrabbiati, a essere vendicativi. Dovete rendervi conto, Profeti, che il meccanismo delle nostre anime umane è il meccanismo dell’altalena, dove dal potente slancio dalla parte della Nobiltà dell’Anima corrisponde un potente rimbalzo dalla parte della Rabbia Bestiale. Questa ambizione a lanciare l’altalena spirituale dalla parte dell’Umanità e l’inevitabile conseguente rimbalzo verso la Bestialità è una linea meravigliosa e allo stesso tempo sanguinosa che attraversa tutta la storia umana, e noi vediamo che proprio le epoche particolarmente appassionate, quelle contraddistinte da forti slanci in direzione dello Spirito e della Giustizia ci appaiono particolarmente terribili per l’intermittenza, in loro, di incredibili crudeltà, di malefatte sataniche.

Simile a un orso con la testa sanguinante e sconquassata che spinge un tronco appeso a una corda e riceve un colpo tanto più terrificante quanto più è la forza con cui lo spinge, l’uomo langue e già si stanca di questa oscillazione della propria anima. Un uomo langue in questa lotta, qualunque sia la via d’uscita che sceglie: continuare a dar colpi a quella trave perché a un certo momento, dopo un’oscillazione particolarmente forte, quella gli spacchi definitivamente la testa, oppure fermare l’altalena dell’anima, vivere in una fredda ragionevolezza, nell’assenza di sentimenti e dunque di umanità, e in questo modo privarsi completamente del calore della propria immagine: entrambe le decisioni predeterminano il pieno compiersi di quella maledizione che ci appare sotto la forma di questa bizzarra, terribile caratteristica delle nostre anime umane.

Quando nella casa scese il silenzio, sulla scrivania era accesa la lampada verde e dietro la finestra era notte, nascevano dentro di me con ossessiva costanza questi pensieri, ed erano devastanti per la mia voglia di vivere esattamente quanto era distruttivo per il mio organismo quel bianco e amaro veleno che stava sul divano in piccole cartine ordinate, e che tremava con eccitazione nella mia testa.