Alla fine è tutto un teatro. Prima recitavi il gangster. Poi reciti l’eremita illuminato, o il guru maledetto. Domani, chissà: magari il politico alternativo.

Cari fan, preparatevi a una pioggia di trapper di mezza età tra una decina d’anni. Immaginate baby gang con i capelli ormai diradati, ma ancora col taglio sfumato dal barbiere di fiducia, occhiali da sole Balenciaga graffiati, tatuaggi sbiaditi… ma con la panza da birra artigianale, i figli alla Montessori e la dieta tisanoreica, a droppare la loro ultima traccia. I vostri idoli di un tempo, quelli che vi vendevano sogni di Lambo e montagne di coca, finiti tra tisane, psicologismi e meditazioni, con l’ansia da miglioramento personale.

Sì, insomma come Marracash e Salmo, un tempo rispettivamente il re del gangsta-rap e il cattivone sardo-criminale, oggi impegnatissimi in una nuova, entusiasmante carriera: quella dei quarantenni introspettivi che odiano il sistema, si sentono guariti, ma ci sguazzano ancora alla grande. Bipolarismo, ranch lontani dalla metropoli, suoni ammiccanti al cantautorato e al blues.

Il bello di questa fase esistenziale e artistica è che la svolta introspettiva arriva sempre, puntuale, dopo che il conto in banca ha raggiunto i sette zeri. Salmo ha pure rifiutato un milione di euro per un reality. Insomma: prima ostentavano, sbocciando bottiglie da mille euro; ora, dopo sei mesi di disintossicazione da social, postano il loro ultimo capolavoro… mentre ci spiano magari da profili fake.

Marracash, che fino a ieri faceva storie su storie dalla VIP lounge con modelle e bottiglie di Clicquot, oggi scrive poemetti sull’ipocrisia del jet set. Salmo, che ha venduto decine di migliaia di biglietti a prezzi da concerto degli U2, ora si ritira “a cercare l’essenziale”: il podcast pilotato, il platino prenotato.

È il classico giochetto: prima ti arricchisci sfruttando un’immagine, poi la demonizzi per sembrare profondo. E non importa se tutto questo è ipocrita e un po’ finto, come le tette di una di Uomini e Donne e la verginità della Comi (beata ragazza, ti seguo sempre). Insomma, ‘sti rapper hanno fatto soldi a palate con il materialismo più becero. Ora che sono sazi, fanno i puri. Lo diceva pure De André. E i fan ci cascano, credendo che sia “evoluzione” e non l’ennesima strategia di marketing.

Se davvero odiassero il sistema, avrebbero mollato tutto vent’anni fa. Lo ha fatto Kaos One, dedicandosi totalmente all’underground che lo stesso Salmo cita con un feat nell’ultimo album. Ma nel sistema, dopo averci nuotato dentro, si finisce un po’ a fare i santoni ben pagati.

Alla fine è tutto un teatro. Prima recitavi il gangster. Poi reciti l’eremita illuminato, o il guru maledetto. Domani, chissà: magari il politico alternativo (sempre con la villa in Sardegna e il conto alle Cayman).
E il pubblico continua a crederci, perché anche loro sognano di poter un giorno “lasciare tutto”… ma solo dopo aver fatto i soldi, ovvio.

Si è passati dal “spacco tutto” al “medito tutto” senza mai perdere un colpo. Noi paghiamo il biglietto, scrolliamo le storie e ci beviamo ogni stronzata. Che evolusssione, ragasssi. Che evolusssione… Invece Kanye West è il rapper quarantenne in crisi più fico. Sa ancora flexare soldi come ai vecchi tempi, dice stronzate politicamente scorrette, si fa il verso da solo e rimane un genio. Ha cambiato la musica anche dopo la svolta cristiana e moralista. Ha sposato la Kardashian, sempre più nuda.

Guardatelo: ha bisogno di attenzione costante, come tutti gli artisti maledetti, miseri, involuti, vuoti.
Vuole essere nella parte, al centro dell’attenzione, ancora amato o odiato. Rubare il microfono e ubriacarsi cantando alla tua bella. Essere il guru e, volendolo, fare la finta davanti alla porta. Essere un minchione, ma essere artista, anche a costo di sembrare un clown. Come i veri artisti falliti. Vuole essere patetico. La crisi spirituale gli ha fatto produrre ancora dischi belli, e pure Papa Leone se li ascolta e ne è fan.

Dice: “Dio mi ha parlato. Ho fondato una chiesa.” E vende felpe con la svastica a 200 dollari.
Ha scoperto che la fede in qualcosa ti salva. Ed è anche un ottimo business, soprattutto se mischiata al branding.

La caduta libera nell’antisemitismo e nel suprematismo (ma ironicamente, da nero) è potenzialmente molto creativa per il mondo rap. Lo mette in crisi definitivamente, dal punto di vista concettuale. “Gli ebrei controllano tutto. Anzi, amo Hitler. Anzi, sono un suprematista bianco (anche se sono nero).” Insomma, non me ne fotte un cazzo. Sto sperimentando oltre il linguaggio e gli stereotipi rap. Non sono pazzo: è marketing della sfiga. Siamo tutti incel di qualcosa senza autonominarci incel. Siamo sfigati dentro. E ve lo vendo.

https://twitter.com/kanyewest?lang=ca

Anche Eminem ha trovato un modo di essere quarantenne e rapper, ma non tutti lo hanno apprezzato in Italia: The Death of Slim Shady. Tradotto, per chi ha fatto il classico: colpo di grazia. Che, visti gli ultimi dischi, suona più come “auto-eutanasia artistica”. Il problema? Eminem ha 52 anni. Che, nel rap, è un po’ come essere al circo ed esibirsi con le foche. Ma ha senso, a quest’età, rappare ancora a mitraglia come se fosse il 2002? Farlo senza sembrare tuo zio napoletano ubriaco al karaoke, che canta Tupac con la cravatta in testa.

E poi, anche se è ancora un funambolo del verso, e sei, come si dice tra i “giovani”, figo e spacchi con rime e allitterazioni… chi lo capisce più? I boomer sono stanchi, i millennial disillusi, e la generazione Zoomer zoomereggia. Eminem si è chiesto se ha senso combattere i mostri che lui stesso ha generato. Perché oggi ci sono milioni di Slim Shady: più volgari, più disturbanti, più “virali”, in tutti i TikTok del mondo.

E allora, ha senso ancora dissare qualcuno? Ha senso ancora prendersela con tutti e tutto, ma prima di tutto con se stessi? Ha senso se, tecnicamente, arrivi a mixare te stesso giovane con te stesso vecchio, dissandoti in loop e in multitraccia, e te ne fotti, e sei ancora la star, senza fare il guru, senza fare un disco dove dici che sei psicopatico… ancora psicopatico come una volta. Lo sei, e basta: psicopatico. Hai affrontato il ridicolo. Hai ucciso il rap.