Che fine ha fatto il male? Il truce, il macabro, l'orrido, la trasgressione, un tempo crepe nella continuità splendete del consumo, sono state recuperati dall'estetica, e svuotati di qualsiasi valore alternativo.

Anche io, a dodici anni, ho recitato l’Ave Maria al contrario davanti allo specchio. Ma non sono stata un adolescente con una personalità estetica particolarmente oscura né ortodossa: come molti, ho avuto più fasi. Il romanticismo struggente delle medie si era tradotto in un’attitudine vagamente emo. Quando l’esistenzialismo è diventato sprezzante, c’è stato il morboso del Truceklan. Quando si è dovuto abbracciare il materialismo storico, ho rimediato un marsupio e sono andata ai cortei del liceo, e poi quando mi sono intellettualizzata è arrivato il primo indie italiano. Ma quello che conta è che in tutte queste fasi sentivo di stare di merda, o che tutto intorno era una merda. Davanti a quello specchio avevo contattato la mia parte insofferente, e le avevo giurato che non l’avrei mai dimenticata.

E poi cos’è successo? Non molto, interiormente, a dire il vero. Ma tutto quel malessere e senso di rivolta che anche la cultura mainstream aveva fino ad allora celebrato attraverso icone internazionali portavoce del sentimento del tragico, a un certo punto si è addomesticato, e all’improvviso è diventato cool bere frullati proteici, fare yoga e fare la skincare. E lo spazio per la rappresentazione del negativo si è ristretto nei margini della nostalgia e del genere. Il mondo sembrava voler diventare un grande centro di riabilitazione col culto del self care, e chi andava in motorino con la scodella si è comprato una bici a scatto fisso. Chi fumava da quando aveva dieci anni si è comprato una svapo, e le tipe pallide e anoressiche come me hanno iniziato ad andare in palestra. Di questo détournement si  è parlato molto in termini di mercato del fashion e di rappresentazione dell’immagine femminile, simbolizzato, ad esempio nella rescissione nel 2005 di un contratto da quattro milioni di sterline tra H&M e Kate Moss «a causa del suo utilizzo massiccio di cocaina. […] Non erano più benviste modelle in hangover, fanatiche, e poco professionali»[1]. Poco dopo muore Amy Winehouse, e il breakdown di Britney Spears viene presentato al mondo in modo tragicomico, così che malessere e autodistruzione possono esorcizzarsi per sempre in forma di meme. Nella mia esperienza romana piazzo quel punto di svolta con la metamorfosi di Achille Lauro, pischello maledetto di Nuovo Salario a cui il diavolo[2] aveva fatto scrivere, fino al 2012, testi che inneggiavano a malessere rivoltoso, quasi mai nichilisti. Poi nel giro di due anni il “povero Barabba” fa uscire un album dal titolo sospetto: Dio C’è (2015). Dio gli ha donato il successo, e adesso, grazie a Dio, Achille gira «su una Mustang con Angelina Jolie», e i suoi pezzi sono diventati conformisti e melensi[3].

Certo, la produzione culturale e intellettuale del male antagonista non è veramente mai svanita. Per un pubblico di massa adolescente, parte di quell’eredità può essere stata raccolta ad esempio da XXXTentacion e Lil Peep, che infatti sono morti. Da un’altra parte è passata in mano a personaggi apparentemente inassorbibili come Nick Land, il cui Illuminismo oscuro è comunque del 2013.

Nell’eventualità che io mi sia persa alcune uscite più recenti, ho chiesto a mio fratello, più piccolo, se gli venissero in mente personaggi famosi del mondo culturale, della musica o dello spettacolo, vivi e in attività, che potrebbero incarnare per le generazioni dal duemila in poi un modello di ribellione, che possano cioè fare da portavoce a un sentimento di disagio sovversivo. Mi cita Lana Del Ray e Billie Eilish, che però hanno portato soprattutto contenuti di un malessere molto interiore e romantico, e che comunque si presentano ai concerti come performer professionali. Di certo non vomitano sul palco, non si scordano i testi, e non sputano sul pubblico. Poi mi cita i Maneskin, che effettivamente sono proprio l’emblema di questo vuoto di essenza malefica: provocatori solo nell’estetica, si preoccupano di dichiarare che loro assolutamente non fanno uso di droghe. Infine mi propone la trap in generale, ma di nuovo, leggiamo alcuni testi e troviamo quasi esclusivamente uno spirito ironico e parodico e la retorica del fare i soldi e del “farcela”, nulla che parteggi veramente per un rifiuto del mondo così com’è, anzi piuttosto la volontà di starci più dentro che mai.

Ma quindi, se il senso dell’identità personale passa sempre per la sua rappresentabilità collettiva, dov’è finita quell’oscurità essenziale che aveva accompagnato la mia (e la vostra) adolescenza? Questa domanda compare tra le righe di in una striscia di vignette di Enrico Pinto pubblicata di recente su Lucy[4]: Claudia fin da piccola ama i mostri. Per cui a scuola gli altri bambini le dicono che il mostro è lei, la stramba dai gusti perversi. Un complimento, per una che ama i mostri! Ma poi la maestra le rivela che i mostri non esistono. “Quindi, non esisto?”, risponde Claudia amareggiata.

In realtà, come suggerisce la dottoressa Erica Poli, intrigante e spirituale psichiatra e conferenziera, non è proprio che gli adulti, il discorso politico, la cultura visiva, lo spettacolo, ci abbiano detto che i mostri non esistono. Piuttosto li hanno cautamente spostati al di fuori. In qualcun altro. Da qualche altra parte, dove non siamo noi. Il mostro, il male insomma, non deve identificarsi con una parte di noi, ma deve necessariamente venire da fuori. Se siamo in grado di percepirlo, è perché ci attacca, come una forza esterna da combattere. Quello stesso spostamento sull’alterità che informa il cuore del razzismo occidentale di pari passo con la narrazione di un’Europa sempre più laica e tollerante. Ma questo è un altro capitolo. Se restiamo nel campo della produzione culturale, a questo proposito Francesco Orlando, attraverso il suo approccio freudiano alla critica letteraria, parlerebbe allora di repressione (e non rimozione) delle ombre. Direbbe cioè che ogni narrazione colta nel proprio versante ufficiale e conformista, veicola tuttavia sempre istanze avverse, anche per la loro semplice assenza e omissione. E così i principi repressi non possono che ritornare in modo letterario, sotto forma di fiction. Occorre quindi saper leggere i testi alla rovescia, cogliendone la realtà deformata ma proprio perciò illuminante. Così veniva spiegata ad esempio la fioritura fra sette e novecento di descrizioni di oggetti e ambienti desueti, di storie di fantasmi e case infestate: «la letteratura delle società nelle quali predomina il modo di produzione capitalista sprigiona elenchi e raccolte di antimerci»[5]. In un mondo cioè che si industrializzava, la letteratura cercava di contro i rifiuti, le immondizie, e così, a ogni avanzamento tecnico-scientifico corrisponde, nel campo dell’arte, un ritorno del superato, in veste di irrazionale, di antifunzionale e di brutto.

Allora c’è qualcuno che ha continuato in modo oppositivo e marginale a riflettere le ombre della luce, chi vivendo negli squat, chi indossando scarpe medievali da stregaccia. Ma l’attuale ritorno di un generico immaginario gotico, dedotto dalle varie theory sulle contronarrazioni sull’identità mostruosa come per Monique Wittig, è qualcosa di più simile ad una maniera. È l’ennesima fantasia che l’Occidente della giustizia, che tutto accoglie e rispetta, ha reso carina e inoffensiva, come l’omonazionalismo attraverso l’omosessualità, o come la queerness attraverso la frociaggine. Ecco un’altra sintesi da una striscia di vignette, da Percy il buio: “Io non sono queer sono rottoinculo, anche tu sei rottoinculo?”. “La parola queer in America aveva una storia, viene da un insulto era qualcosa di disgustoso e umiliante. Qui in Europa è solo un suono, un suono davvero carino e dolce, sembra quasi un pokèmon. Pikachu, Squirtle, Queer”. “A causa della sua carineria se ne sono appropriati gli eterosessuali che vogliono darsi un tono un po’ progressista, e le aziende”. “Ma prova un po’ a sussumere ‘ROTTOINCULO’, Converse Rottoinculo edition, Mc Fish rottoinculo pride”. “Tanto più ci rendiamo disgustos* tanto meno riusciranno a fare washing[6]
.

Insomma, si potrebbe pensare che se qualcosa di mostruoso oggi è tanto visibile, non si tratta però di una riapparizione in veste di reflusso vitale (magari riacceso dal fatto che per una volta guerre e epidemie hanno toccato anche il nostro mondo del benessere). È tornato, invece, accompagnato dalla mano morbida dell’era-positive, per dare forma a soggetti influenzati dalle stesse rappresentazioni che di essi si danno attraverso stereotipi massmediatici, «così che alcuni principi più decisamente politici ed esistenziali finiscono per diluirsi fino quasi alla trasparenza, nel mare dell’estetica» [7]– cito da un testo che pone le stesse questioni in riferimento ai raver e all’estetica rave del ventunesimo secolo.

Non sta scritto da nessuna parte che non si possa girare vestiti di alghe e spazzatura, e allo stesso tempo ringraziare ogni mattina il sole per l’equilibrio olistico che ci dona. Tuttavia, quando faccio schifo, quando mi sento un essere abbietto e mi detesto e detesto tutti, insomma quando sono anche io un mostro che ha fatto un patto col diavolo, ecco, in questi momenti si potrebbe invece lasciar agire quella funzione dia-bolica, che distrugge certezze ed equilibri e sprigiona tutto il male della crisi. Huxley l’aveva chiamato il diritto a essere infelici: «“Insomma”, disse Mustafà Mond “lei reclama il diritto di essere infelice.” “Ebbene, sì” disse il Selvaggio in tono di sfida “io reclamo il diritto di essere infelice”»[8] ; che significa anche riconoscere nella cultura positive una richiesta di rinuncia al negativo, che ci dice che nel mondo civile non ci possiamo stare per intero, ma dobbiamo separarci da qualcosa. Dal morboso mostruoso dentro di noi, dalla solitudine, dall’assenza di senso. è successo nella medicina, nel diritto, nella politica e poi è successo attraverso il mercato, come sottolineano Lacan, Recalcati e Preciado, che descrive le società del presente come regimi farmaco-pornografici[9], perché, sicuramente, è attraverso il mercato che il regime repressivo si è rovesciato nell’imperativo neoliberista del godimento, della trasgressione, ma solo a patto della ‘forclusione’[10] delle forze antagoniste, distruttive e autodistruttive, che non riconosciamo più come stati della comune esperienza umana.

Per finirla col diavolo, è il video della dottoressa Poli J. Alcuni passaggi scelti:
«Incontrare il male vi cambierà per sempre! Come impara Faust che infatti dopo aver fatto le peggio cose insieme al diavolo viene comunque salvato. E viene salvato perché: perché quando fa le peggio cose si macchia, smette di essere in quella puerile innocenza a cui tutti agognano quando dicono frasette tipo ‘tutto è perfetto’ ‘ tutto è uno’, col sorriso, e poi si travestono da indiani, anche se sono nati a Milano, mettono il sari, e poi pregano con le mani giunte e dicono namastè. Un esempio per dire che tendiamo sempre a voler estromettere la contraddizione da noi, togliere qualcosa che ci dà l’incertezza. Quando abbiamo il dubbio e l’insicurezza, quando avremmo l’opportunità di stare vicino alle cose sconosciute.»
[…]
«Non c’è differenza tra Dio e il Diavolo […] Così tra le etimologie dei vari nomi dati al diavolo, δια-βάλλω, indica la separazione, è garante della dimensione della scissione, del dubbio. Satana invece, Sāṭān, in ebraico ‘avversario’, è l’avversario di Dio. Questione analizzata da Jung in Risposta a Giobbe […], riprendendo il libro di Giobbe, che è il libro dell’avversario per eccellenza in cui Satana va da Dio e gli dice ‘ma sei sicuro che Giobbe ti ama davvero?” Cioè instilla in Dio il dubbio. Come fa Dio avere dei dubbi? Se è Dio! E però ci casca! Com’è che Dio ha dei dubbi sul suo fido fedele e devoto servitore Giobbe? Sarà mica che Sāṭān è una parte Dio che permette la relazione tra il creatore e la creatura, che non è una relazione scontata. Il creatore necessita della creatura una volta che l’ha creata, una volta che l’ha messa fuori da sè. E serve il Diavolo, il dubbio che la riporti a lui, che si assicuri che con quella parte c’è ancora una relazione. E Giobbe, dopo che Dio gli ha tolto tutto e lo ha distrutto, gli dirà: ‘tu sei cattivo, dentro di te c’è il male’. Ovvero ricompone, ricongiunge gli opposti, nella divinità».

Bibliografia
Brian. W., Fight, Flight, or Chill: Subcultures, Youth, and Rave into the Twenty-First Century, McGill-Queen’s University Press, 2006.
Carnwath, T., Smith, I., Heroin Century, 2022, London, Routledge.
Cashmore, E., 2019, Kardashian kultura: how celebrities changed life in the 21st century, Emerald Publishing.
Colpani, Gianmaria, 2015 “Omonazionalismo nel Belpaese?”, in G. Giuliani (a cura di), Il colore della
nazione, Firenze: Le Monnier.
Huxley, A., 1932 Il mondo nuovo, Mondadori, 1933.
Jung, C.G, 1952, Risposta a Giobbe, Bollati Boringhieri, 1992.
Orlando, F., 1993, Gli oggetti desueti nelle immagini della letteratura, Einaudi.
Poli, F. E., Il diavolo necessario, 2017 (conferenza),
https://www.youtube.com/watch?v=6um1IiSeJto&t=3078s
Praz, M., 1930, La carne, la morte e il diavolo nella letteratura romantica, Sansoni, 1996.
Preciado, Paul B., 2011 Pornotopia:Playboy.Architettura e sessualità(2010),Roma:Fandango Libri
Preciado, Paul B., 2015 Testo tossico. Sesso, droghe e biopolitiche nell’era farmaco pornografica (2008), Roma: Fandango Libri.


[1] Self Care Era, in ‘Scomodo’, 2023, https://scomodo.org/self-care-era-il-cambiamento-dello-stile-di-vitadelle-modelle-e-uno-specchio-della-societaodierna/#:~:text=L’heroin%20chic%20era%20uno,associati%20all’utilizzo%20di%20droghe.

[2] A. Lauro, Lacrimogeni, in Barabba Mixtape, 2012 «non sai cosa ho in testa, nell’orecchio mi urla un diavolo»

[3]A dire il vero, Dio C’è, in quanto album di transizione, è piuttosto conflittuale. L’imborghesimento conformista è vissuto in modo cinematografico e quindi scisso, insieme a continue reminiscenze del passato per strada «ricordati di me quando facevo gli impicci». La parabola del ladro che diventa principe (Aladino) si compie definitivamente con l’album Ragazzi Madre (2016).

[4] E. Pinto, Mostri, in ‘Lucy sulla cultura’, 2024, https://lucysullacultura.com/mostri/

[5] F. Orlando, Gli oggetti desueti nelle immagini della letteratura, Einaudi, 1993.

[6] https://www.instagram.com/p/C_C-w8bMend/?img_index=1

[7] W. Brian. Fight, Flight, or Chill: Subcultures, Youth, and Rave into the Twenty-First Century, McGill-Queen’s
University Press, 2006.

[8] Aldous Huxley, Il mondo nuovo, 1932.

[9] P. B. Preciado, Pornotopia: Playboy Architettura e sessualità (2010), Roma: Fandango Libri

[10] In psicoanalisi, meccanismo che cancella definitivamente un avvenimento, che non rientra più nella memoria
psichica.