Tony Effe è il nostro specchio, il nostro abisso, è l’anticamera di un senso più aderente alla vita, più barbaro, quello che sempre ritorna dopo anni di civilizzazione, di scuola dell’obbligo, di Fabio Fazio, anche di fronte al sole nero del disincanto.

È davvero curioso osservare come la cultura italiana si dibatta tra nostalgie del passato e patetici tentativi di reinventare se stessa, finendo per inciampare sempre nello stesso cliché. L’attualità è una merda, su questo non ci piove. Ma è proprio nella sua miseria che possiamo trovare una chiave per interpretare il nostro tempo. E questa chiave, sorprendentemente, è Tony Effe. Il rapper romano fighetto, ex Dark Polo Gang, il miracolato capace di incarnare lo spirito della destra post-berlusconiana depressoide.

Berlusconi è stato un genio, questo gli va riconosciuto. Ha creato un’estetica e una retorica che hanno dominato il paese per decenni. Oggi, però, tutto ciò che rimane è un vuoto di senso, un populismo sterile, incapace di proporre valori autentici. E qui entra in gioco Tony: il dio stupido, lovecraftiano, che rappresenta l’apoteosi del nulla e proprio per questo finirà per richiedere e creare una struttura, un’architettura di significato. Tony Effe è il vate dell’anti-intellettualismo, l’Orfeo della distrazione di massa. È un simbolo del successo pur non avendo nessuna dote particolare, come la maggior parte delle pop star di oggi, ma a differenza loro non cerca neanche di inventarsene una.

In una recente intervista sminuisce il basso reddito del padre, seimila euro al mese, perché “con sei k a Roma non ci fai niente”. Si proclama figlio della strada, ma è più probabile che abbia visto la strada solo dal finestrino di una macchina sportiva. Eppure è proprio questo il punto: Tony Effe è l’esaltazione del paradosso. Non ha bisogno di credibilità, perché il suo pubblico è già disincantato. Non vende valori, vende desiderio, il desiderio è periferia, il desiderio fa paura, il desiderio fa figli, quelli che non si fanno più in questo paese.

Ed è qui che destra e sinistra dovrebbero prendere appunti. Altro che colonnelli moralisti come Vannacci, che mascherano il conservatorismo dietro un’etica perniciosa e da parrocchia, quella sì davvero perversa, mentre la sinistra libertaria si perde tra le grinfie censuratrici delle nazi-femministe. Tony Effe è autentico nella sua falsità, sincero nel suo cinismo, perché in fondo vuole la famiglia pure lui. Basta ascoltare le sue dichiarazioni, parla di casa, playstation ed allenamenti, della sua voglia di avere un figlio, altro che droghe e sticchio e samba.

Questo è solo il messaggio accessorio del suo discorso, ma è un messaggio finto, alieno anche a se stesso, una forma di auto-sabotaggio. E funziona. Perché? Perché è l’unica cosa che risuona rumorosa e trasgressiva in un mondo svuotato di ogni altra promessa di senso, dove Tony Effe finirà per esorcizzare tutto. Basta con il femminismo alla Freeda di Elodie e con l’etica pretesca di Povia, non interessano più a nessuno. La vera rivoluzione, oggi, è quella di essere fieramente ipocriti. Smettere di censurare, smettere di vendere valori precotti, smettere di cercare una rispettabilità che nessuno chiede. Lasciateci il caos, lasciateci la libertà di non avere senso, di contraddirci fino all’inverosimile, perché abbiamo stilato troppe regole, abbiamo scritto troppe leggi, abbiamo allestito troppi tabù e la nostra libertà si contrae ogni giorno che passa: mentre Tony è una garanzia di libertà. Mettete Tony Effe a Sanremo, o fatelo Ministro del Nulla. Chi se ne frega, il suo anti-messaggio tornerà, tra due anni arriverà un altro Tony: abbiamo avuto anni di cantautori, sole cuore e amore, e donne cannoni, e siamo diventati sterili ed a crescita zero, e De Gregori fa la pubblicità dell’Eni che manco è più italiana – questa è l’ipocrisia liberticida, non liberatrice.

Non ci interessa una destra che parli di Dio, patria e famiglia. Non ci interessa una sinistra che parli di uguaglianza e body-shaming, ci interessano quelle forze che riescano ad essere veramente cattive, veramente maledette. Che non si nascondano dietro i fasulli valori dell’etica del lavoro o del progresso, ma che puntino ad un sano impero che gestisca il processo irreversibile di decadenza. Che abbraccino il disastro, perché il disastro è l’unica cosa che ci è rimasta, perché ad analizzare quel disastro bene, ci trovi un grande desiderio di struttura. Lo sappiamo: l’intelligenza artificiale ci cambierà il pannolone, la crescita economica è un miraggio, e i pochi figli che nascono saranno condannati a un mondo di pilloline e diagnosi psicologiche precoci e posticce in scuole da quattro soldi. Ma forse è proprio questa la nostra occasione. Se tutto è merda, allora tanto vale celebrarla. Tony Effe è il nostro poeta del declino, il nostro Virgilio nel girone dell’inutilità contemporanea.

Quindi fate pure. Scopate, ballate, credete in qualcosa, ma che sia vostro, che sia la costruzione di qualcosa, perché noi boomer vi demoliremo sempre ragazzi, questo paese è nostro e siamo noi che lo abbiamo cariato. Non cercate rifugio nei santini intellettuali o nei conservatori travestiti da rivoluzionari. Cercate la vostra fede intestinale, magari scorreggiona, ma che sia puro istinto. Perché l’unica certezza è che il peggio vince sempre. E forse, in quel peggio, possiamo trovare una nuova forma di libertà senza qualunquismo.

Tony Effe non è un genio, non è eterno, passerà. Ma forse una bandiera vuota da riempire è quello che serve, quella di chi non promette nulla, ma ci restituisce tutto, un cantante che canta il vuoto, può creare solo il pieno, perché i cantautori che cantavano il pieno, hanno creato il vuoto: Tony è il nostro specchio, il nostro abisso, è l’anticamera di un senso più aderente alla vita, più barbaro, quello che sempre ritorna dopo anni di civilizzazione, di scuola dell’obbligo, di Fabio Fazio, anche di fronte al sole nero del disincanto.