Capitolo estratto dal libro "Nessuno può darti la libertà" (GOG 2018) di Malcolm X. Il capitolo riprende uno dei discorsi più incisivi pronunciati in pubblico da Malcolm X, del 1964.
di Malcolm X

Signor moderatore, fratello Lomax, fratelli e sorelle, amici e nemici: perché non posso credere che tutti i presenti qui siano amici e al tempo stesso non voglio trascurare nessuno. L’argo­mento di stasera, da quel che ho capito, è La rivolta negra: che cosa verrà dopo?A mio modesto parere essa pone un preciso di­lemma: la scheda o il fucile[1].

Prima di spiegare cosa intendo dire con la scheda o il fucile, vorrei chiarire qualcosa che mi riguarda. Sono ancora musulma­no, l’Islam è ancora la mia religione. Questa è la mia fede per­sonale. Così come Adam Clayton Powell è un ministro cristiano che dirige la Chiesa Battista Abissina di New York, ma al tempo stesso partecipa alle lotte politiche per cercare di ottenere dei diritti per i neri in questo Paese, e così come il dottor Martin Luther King è un ministro cristiano ad Atlanta, in Georgia, ed è alla testa di un’altra organizzazione che combatte per i diritti civili dei neri in questo Paese; così come il reverendo Galami­son – credo che ne abbiate sentito parlare – è un altro ministro cristiano di New York che si è profondamente impegnato nel boicottaggio scolastico per combattere la segregazione nell’istru­zione, ebbene, anch’io sono un ministro, non un ministro cristia­no ma un ministro musulmano e credo nell’azione su tutti i fronti con tutti i mezzi necessari.

Sebbene io sia ancora musulmano, non sono venuto qui stase­ra a parlare della mia religione o a cercare di cambiare la vostra religione. Non sono venuto qui per discutere di ciò che ci divide perché è tempo di cancellare i nostri disaccordi e di renderci conto che abbiamo tutti lo stesso problema, un problema comune, un problema che vi costringerà a vivere in questo inferno sia che siate battisti, metodisti, musulmani o nazionalisti. Non importa se siete colti o analfabeti, se abitate in zone eleganti o nel ghetto, siete tutti nello stesso inferno, proprio come me. Sia­mo tutti sulla stessa barca e stiamo subendo questo inferno dallo stesso uomo: l’uomo bianco. Tutti noi abbiamo sofferto qui, in questo Paese, l’oppressione politica, lo sfruttamento economico, e la degradazione sociale per opera dell’uomo bianco.

Adesso, dire queste cose non significa dire che siamo contro i bianchi in quanto tali, significa che siamo contro lo sfruttamen­to, contro la degradazione e contro l’oppressione. E se l’uomo bianco non ci vuole contro di lui, allora la smetta di opprimerci, di sfruttarci e di degradarci. Indipendentemente dal fatto che siamo musulmani, cristiani, nazionalisti, agnostici o atei, dobbia­mo prima di tutto imparare a dimenticare le nostre differenze. Se tra di noi ci sono delle divergenze, discutiamone in privato e quando ci mostriamo in pubblico non accapigliamoci tra di noi prima di aver finito di discutere con l’uomo bianco. Se il defunto presidente Kennedy riuscì a incontrarsi con Krusciov e scambia­re del grano, noi abbiamo certamente molte più cose in comune tra di noi di quante Kennedy e Krusciov ne avessero tra di loro.

Se non facciamo presto, penso che dovrete convenire con me sul fatto che saremo costretti a usare o la scheda o il fucile. Il 1964 sarà la volta dell’una o delle altre. Non è che stia per arrivare il momento: il momento è già arrivato. Il 1964 minaccia di essere l’anno più esplosivo che l’America abbia mai visto. L’an­no più esplosivo. Perché? È anche un anno politico, è l’anno in cui tutti i politici bianchi torneranno nelle comunità nere a cor­teggiare voi e me per qualche voto. È l’anno in cui tutti i politici bianchi imbroglioni verranno qui nelle nostre comunità con le loro false promesse, ad alimentare le nostre speranze di pacifica­zione, con i loro trucchi e i loro inganni, con delle false promesse che non hanno nessuna intenzione di mantenere. Con questi me­todi, loro alimentano un’insoddisfazione che potrà portare a una cosa soltanto: l’esplosione. E, ora, qui in America – mi dispiace, fratello Lomax – ha fatto la sua comparsa il tipo di uomo negro che non intende più solamente porgere l’altra guancia.

Non state a sentire quelli che vi dicono che tutte le probabili­tà sono contro di voi. Se vi arruolano nell’esercito per mandarvi in Corea a fronteggiare ottocento milioni di cinesi, e riuscite ad avere coraggio laggiù, potete essere coraggiosi anche qui. La lot­ta è più impari là che qui e se combattete qui, almeno sapete per cosa state combattendo.

Non sono un politico e neppure uno studioso di politica. A dire il vero non sono uno studioso di niente in particolare, non sono democratico né repubblicano e non mi considero neanche americano. Perché se voi e io fossimo americani non esistereb­be alcun problema. Gli ungheresi diventano americani appena scendono dalla nave; i polacchi sono già americani, gli immigrati italiani sono già americani. Tutti quelli che sono venuti dall’Eu­ropa; tutti quelli che avevano gli occhi blu sono già americani ma noi, con tutto il tempo che siamo stati qui, non lo siamo ancora.

Beh, non sono uno a cui piace farsi delle illusioni e non sono disposto a sedermi al tavolo e guardare uno che mangia, mentre il mio piatto è vuoto, e considerarmi come un commensale. Non si diventa commensali solo per il fatto di sedersi a un tavolo, lo si è solo se c’è qualcosa nel piatto. Il fatto di essere qui in America non basta a renderci americani. Il fatto di essere nati in questo Paese non basta a renderci americani. Infatti, se bastasse la na­scita per rendervi americani, non ci sarebbe bisogno di nessuna legislazione, di nessun emendamento alla Costituzione e ora non si assisterebbe all’ostruzionismo parlamentare dei provvedimen­ti sui diritti civili. Per trasformare un polacco in americano non c’è bisogno di approvare nessuna legge sui diritti civili.

No, io non sono americano. Sono uno dei ventidue milioni di neri che sono vittime dell’americanismo, uno dei ventidue milioni di neri che sono vittime della democrazia che non è altro che un’ipocrisia sotto mentite spoglie. Non vengo qui a parlarvi da americano, da patriota, non sono uno che saluta la bandiera o che la sventola a ogni occasione, no! Io vi parlo da vittima di questo sistema americano e vedo l’America con gli occhi di una vittima. Non riesco a vedere nessun sogno americano. Quello che vedo è un incubo americano.

Questi ventidue milioni di vittime si stanno svegliando; stan­no aprendo gli occhi; stanno iniziando a vedere quello che pri­ma erano soliti solo guardare; stanno diventando maturi politi­camente. Stanno realizzando che ci sono delle nuove tendenze politiche, da costa a costa, e vedendo queste nuove tendenze politiche è possibile che vedano che ogni volta che c’è un’e­lezione i risultati sono così vicini da obbligare un riconteggio delle schede.

[…]

Quindi, che cosa dobbiamo fare? Prima di tutto abbiamo bisogno di amici, di nuovi alleati. Tutta la lotta per i diritti ci­vili richiede una nuova e più vasta interpretazione. Dobbiamo considerare questa cosa dei diritti civili da una diversa angolatu­ra, sia dall’interno che dall’esterno. Per quelli di noi che hanno come filosofia il nazionalismo nero c’è un solo modo per entrare nella lotta per i diritti civili: dare a essa una nuova interpretazio­ne, perché quella vecchia ci lasciava fuori, ci escludeva del tutto. Perciò noi stiamo dando alla lotta per i diritti civili una nuova interpretazione, un’interpretazione che ci metta in condizioni di entrarne a far parte. Quanto a quelle teste vuote che sono passa­te da un compromesso all’altro, sempre pronte a parlare con la lingua di velluto e a muoversi con circospezione, non intendia­mo più permettere che continuino a comportarsi in quel modo e non intendiamo scendere a compromessi con loro.

Come potete ringraziare un uomo perché vi sta dando qual­cosa che è già vostro? Come potete ringraziarlo per darvi solo una parte di ciò che vi spetta? Non abbiamo fatto nessun pro­gresso perché quello che ci viene dato doveva già essere nostro da tempo. Questo non è progresso, e mi piace molto il modo in cui il fratello Lomax ha sottolineato il fatto che ci troviamo allo stesso punto in cui eravamo nel 1954. Dirò di più: non siamo neanche al punto in cui eravamo nel 1954; siamo più indietro perché c’è più segregazione oggi di quanta ce ne fosse allora. Ci sono più odio razziale, più animosità e più segregazione oggi, nel 1964, che dieci anni fa.

Dov’è il progresso? Siamo oggi in una situazione in cui fanno la loro comparsa dei giovani negri che non vogliono più sentir parlare di storielle del tipo «porgi l’altra guancia». A Jackson­ville, quelli che tiravano le bottiglie molotov erano degli adole­scenti. I negri non avevano mai fatto una cosa simile prima e ciò mostra che c’è un nuovo modo di affrontare i problemi che si sta facendo strada, un nuovo modo di pensare e una nuova strategia. Questo mese saranno le bottiglie molotov, il prossimo le bombe a mano e il prossimo ancora qualche altra cosa. Ci saranno o le schede o i fucili, o la libertà o la morte. L’unica differenza, però, tra questa e l’altra morte è che sarà reciproca. Sapete cosa voglio dire con reciproca? L’ho presa dal fratello Lomax, che l’ha ado­perata prima. Io di solito non mi servo di questi paroloni perché normalmente non ho a che fare con gente importante, ma solo con persone comuni. Credo che si possano mettere insieme tante di queste persone comuni e spazzar via tanti di quei personaggi importanti. Quelli non hanno nulla da perdere e nulla da guada­gnare e te lo fanno capire subito che, per ballare il tango, bisogna essere in due e quando si muove l’uno anche l’altro è costretto a muoversi.

I nazionalisti neri, coloro la cui filosofia è il nazionalismo nero, nel portare avanti questa nuova interpretazione del signifi­cato generale della lotta per i diritti civili, la considerano, come ha sottolineato il fratello Lomax, sinonimo dell’uguaglianza di opportunità. Beh, siamo giustificati nel ricercare diritti civili se essi significano uguaglianza di opportunità perché noi non cer­chiamo di fare altro che riscuotere gli interessi dei nostri investi­menti. I nostri padri e le nostre madri hanno investito in questo Paese il loro sudore e il loro sangue; per trecento anni abbiamo lavorato senza esser pagati, dico senza prendere neanche un sol­do di ricompensa. Senza neanche un soldo in cambio. Voi per­mettete che l’uomo bianco vada dicendo quanto è ricco questo Paese, ma non vi fermate mai a pensare come ha fatto a diventare ricco così presto. È diventato ricco perché voi lo avete reso tale.

Prendete quelli che sono presenti qui in questa sala. Come individui sono poveri, siamo tutti poveri. Il nostro salario setti­manale basta appena per vivere, ma se si mettono insieme i salari di tutti, ce n’è abbastanza per riempire parecchie ceste. È una grande ricchezza. Se si potessero mettere insieme i guadagni an­nuali di tutti quelli che sono qui oggi, si sarebbe ricchi, più ricchi degli stessi ricchi. Quando considerate ciò, pensate a come si è arricchito lo zio Sam con le ricchezze prodotte non da un pugno di neri come quelli che sono qui stasera, ma da milioni e milioni della nostra gente. Vostra madre e vostro padre, mia madre e mio padre, non lavoravano otto ore al giorno, ma da prima che faces­se giorno fino a tarda notte, e lavoravano per niente arricchendo l’uomo bianco, arricchendo lo zio Sam.

Questo è il nostro investimento, il nostro contributo, il no­stro sangue, perché non soltanto noi abbiamo dato loro gratuita­mente la nostra fatica, ma anche il nostro sangue. Tutte le volte che l’uomo bianco chiamava il Paese alla guerra, noi siamo stati i primi a indossare l’uniforme e a morire su tutti i campi di bat­taglia dell’uomo bianco. Il nostro sacrificio è stato più grande di quelli compiuti da chi oggi gode di una posizione di privilegio in America. Il nostro contributo è stato più grande ma in cambio abbiamo ricevuto meno di tutti. Coloro la cui filosofia è il na­zionalismo nero hanno questo atteggiamento di fronte ai diritti civili: «Dateceli subito. Non aspettate l’anno prossimo. Dateceli ieri e anche così non sarebbe abbastanza presto!».

A questo punto vorrei fermarmi per sottolineare una cosa. Cercate di capire che ogni qualvolta che cercate di afferrare qual­cosa che vi appartiene, chiunque vi privi di tale diritto è un crimi­nale. Quando volete ottenere ciò che è vostro, siete nel pieno di­ritto di esigerlo e chiunque cerca di privarvene infrange la legge ed è un criminale. Questo è stato confermato dalla sentenza della Corte Suprema che ha dichiarato illegale la segregazione. Questo significa che la segregazione infrange la legge, che il segregazioni­sta viola la legge e quindi è un criminale. Non c’è altro modo per definirlo e quando voi protestate contro la segregazione, siete dalla parte della legge e la Corte Suprema è con voi.

Ora, chi è che si oppone a voi quando volete far applicare la legge? Il dipartimento di polizia stesso, con i suoi cani e i suoi manganelli. Quando voi protestate contro la segregazione, sia che si tratti delle scuole, delle zone residenziali o di qualsiasi altra cosa, avete la legge dalla vostra parte e coloro che vi si oppon­gono non la rappresentano più, ma anzi la violano e quindi non sono suoi rappresentanti. Ogni volta che manifestate contro la segregazione e qualcuno osa scagliarvi contro un cane poliziot­to, ammazzate quel cane, vi dico, ammazzatelo, ammazzate quel cane! Vi ripeto, anche se domani mi mettono in prigione, am­mazzate quel cane. Così porrete fine a questi metodi. Se i bianchi che sono qui presenti non vogliono assistere ad azioni del genere, è bene che vadano a dire al sindaco che ordini alla polizia di te­nere i cani in dipartimento. Ecco cosa dovete fare; se non lo fate voi, lo farà qualcun altro.

Se non sarete capaci di agire con fermezza, di assumere una posizione intransigente, i vostri figli cresceranno e guardandovi penseranno: «Che vergogna!». Con ciò non voglio dire che dove­te essere violenti, ma al tempo stesso che non dovete mai pratica­re la nonviolenza con chi nonviolento non è. Io sono nonviolento con quelli che lo sono con me, ma quando qualcuno usa la vio­lenza nei miei confronti, allora è come se impazzissi e non sono più responsabile delle mie azioni. Ed è così che dovrebbero di­ventare tutti i negri. Quando sapete di non infrangere la legge, di star esercitando i vostri diritti legali e morali, secondo giustizia, allora sappiate morire per quello in cui credete. Ma non morite soli, fate che la vostra morte sia reciproca. Questo è quello che si intende per uguaglianza. Occhio per occhio, dente per dente.


[1] Il gioco di parole originale è intraducibile in italiano: Ballots or Bullets (lett: schede elettorali o proiettili)