Se l'unica di cui ci potevamo fidare ha imboccato la strada a senso unico che già fu di Feltrinelli e Mondadori, quale alternative restano, se non chiudere tutto?

«Quanto più il mondo è inconsistente, tanto più cresce il numero di coloro che hanno da lamentarsene.
Ma anche il loro lamento è inconsistente»

Roberto Calasso, L’innominabile attuale

Roberto Calasso è morto e Feltrinelli ha il 10% di Adelphi. Dal maggio 2027 anche Mondadori avrà il suo buon 10%. Siamo giusto in tempo. Anzi siete giusto in tempo per chiudere con un lieto fine. Lo sappiamo: tutto finisce e niente dura per sempre, speravamo di finire prima noi ma non importa, è andata così. Preferiamo vederla morta e continuare a contemplarne il cadavere squisito – a leggerne il catalogo già edito – che assistere impotenti al suo pervertimento. Corruptio optimi pessima.

C’è stato un momento specifico nella mia vita di lettore inesperto in cui ho capito che Adelphi era l’unica di cui mi potevo fidare. Tutte le altre grandi case editrici, nonostante i capolavori che avevano in catalogo, potevano sempre rifilarti qualcosa di scadente. Solo Adelphi significava qualità assicurata. Non avrei mai visto su una di quelle copertine pastello il nome di una youtuber, ne ero certo. Adelphi significava cultura.

Poi bisogna essere onesti e ammettere che anche Adelphi ha pubblicato cose di minor valore letterario – anche se molte meno di tutti gli altri editori maggiori – ma il problema non è quello. Il problema non è neanche la prefazione a Narcotopia di Patrick Winn scritta da Saviano (che tra l’altro aveva già prefatto Višera di Šalamov, nel 2010, quando Calasso era ancora vivo e in retti sensi) ma il problema sono tutte le altre che temiamo arriveranno. Guardiamo con terrore al giorno in cui Adelphi pubblicherà un romanzo di Saviano. No, non stiamo dicendo che auguriamo a Saviano di finire in mano ai Casalesi, stiamo semplicemente dicendo che Saviano scrive male. Qualunque sia la valenza politica e civile dell’uomo Saviano, lo riteniamo come scrittore mediocre e come studioso irrilevante. Stiamo dicendo che se Adelphi pubblicasse un romanzo di Saviano vedremmo irreversibilmente intaccata quella garanzia di qualità, il mantenimento di quegli standard, che fino a oggi hanno caratterizzato la casa editrice.

Quando la prosa italiana era viva e vegeta – e il serpente della lingua cambiava pelle non nella pagina Facebook di Vera Gheno, ma sotto la penna di Landolfi o Ceronetti – Adelphi pubblicava pagine del genere: «Per l’italiano, il fatto di non essere in galera è semplicemente un segno che da noi lo Stato non funziona. E come potrebbe funzionare, avendo dei cittadini come lui? L’italiano libero è semplicemente un italiano che l’ha fatta franca». Chi parla è un Manganelli affatto ironico. Davvero vogliamo affiancare all’autore di Mammifero italiano e Dall’inferno i paladini della giustizia a buon mercato, gli inclusivi rigorosamente inclementi e intolleranti? Chi lo accetta senza battere ciglio, è complice – e questo ci riporta a Manganelli: «L’Italia – dove l’istituzione (la raccomandazione) fiorisce, ma che certamente non ne è il solo eden – non pare interessata ad una società giusta; essendo una società di moltissimi deboli e pochi potenti, è una società di complici»).

Nel 2015 RCS, che possedeva il 58% della casa editrice, voleva vendere al gruppo Mondadori e Calasso intervenne esercitando un’opzione per acquistare le quote detenute da RCS e impedire che il passaggio avvenisse. Adesso sua figlia, Josephine Calasso, cede a Mondadori una parte delle sue azioni. Non ci vuole un medium per capire che il padre non sarebbe d’accordo, ma Josephine Calasso posta sotto la sua foto mentre fa aperitivo la falsa citazione di Calvino, quella che dice «prendete la vita con leggerezza, che leggerezza non è superficialità, ma planare sulle cose dall’alto, non avere macigni sul cuore». Chiunque abbia letto davvero la Lezione sulla leggerezza sa che questa frase non c’è scritta, chiunque abbia mai letto Calvino dovrebbe nutrire dei seri dubbi sul fatto che potesse aver scritto una frase così banale.

Noi non vogliamo prendercela con chi non ha letto Calvino, né tantomeno vogliamo criticare le altre case editrici perché pubblicano prodotti mediocri o addirittura insulsi: va bene così, che lo facciano. Devono farlo. Ci sono persone a cui piace leggere quelle cose e non vediamo per quale motivo dovrebbero essere private di questo piacere. Ma neanche noi vogliamo essere privati della cultura. Vogliamo che si continui a riconoscere la differenza tra intrattenimento e cultura. Non è un discorso gerarchico, non sta a noi stabilire se una cosa è meglio dell’altra, non è una questione di snobismo. Ma noi vogliamo che continuino a esistere tutte e due. Che esista l’intrattenimento, la distrazione, ma per quale motivo la cultura deve morire nel tentativo di farsi intrattenimento? Adelphi comincerà a cercare di fare soldi con tutto ciò che gravita intorno ai libri, ma che libro non è, come gli altri editori maggiori? Dopo le shopper Adelphi, che già esistono e vanno alla grande, ci toccherà vedere la serie Netflix tratta dai romanzi di Bernhard? Indosseremo le t-shirt del merchandise di Fleur Jaeggy come quello di Sally Rooney?

Ormai da tempo la cultura insegue l’intrattenimento pensando di guadagnarci qualcosa, quando è evidente che queste scelte sono solo a perdere, la diluiscono fino a farla risultare annacquata e insapore. Seguire quel mercato, soci di Adelphi, vi costringerà a rinunciare a voi stessi, che invece siete gli unici ad avere ancora interi manipoli di fedelissimi lettori desiderosi di leggere cose belle. Gruppi di Adelphiani convinti la cui devozione è nata proprio dalla consapevolezza di avere a che fare con la cultura, la bellezza e il genio. Gente smaniosa di leggere il volume mai uscito che doveva seguire il primo, sontuoso, delle prose di Hofmannsthal (L’ignoto che appare. Scritti 1891-1914) stampato nel 1991. Lettori che vorrebbero avere tra le mani la vostra edizione di un libro prezioso come Il parricidio mancato (1985) di Emanuele Severino, che continua anche da morto (o meglio: uscito dal cerchio finito dell’apparire) ad essere uno degli autori più venduti del vostro catalogo. Persone private della possibilità di leggere i libri sulla musica e la teoria della composizione di Franco Donatoni, Questo (1970) e Antecedente X (1980), ormai introvabili perché mai più ristampati. (Qual è la colpa? Voler leggere testi scritti da autori competenti in materia?). Adelphiani che si disperano per La carta è stanca (1976) e La vita apparente (1982) di Ceronetti, che sono entrambi ormai esauriti da almeno quarant’anni – e valgono quasi tutta l’opera del loro autore. E potremmo ancora citare opere come Il garbuglio di Werner Kraft (1971), Artemis Efesia di Albino Galvano (1967), Corna e lingua di Alfred Salmony (1968), segni di una parete geroglifica scheggiata, fiati sottili di lingue dimenticate.

Ve lo diciamo con amore e apprensione, perché su questa colpa (dimenticare sistematicamente i giganti, e pubblicare l’insulso) la furia dell’Onnipotente non potrà che piombarvi addosso, contro i vostri primogeniti – e noi non vogliamo che accada.

Non vogliamo veder svanire l’universo culturale di Adelphi, costruito pubblicando autori che hanno storicamente esplorato visioni diverse e soprattutto lontane dalla triste e ripetitiva banalità dell’intellighenzia italiana di oggi. Ci preoccupa vedere la coerenza intellettuale che ha definito Adelphi per decenni, eredità di Roberto Calasso, diluirsi progressivamente. Trovarci a doverlo spiegare è già un sintomo della perdita di quella direzione unica e riconoscibile. «A chi non capisce l’allusione è inutile fornire la spiegazione» (Ceronetti)

Vi chiediamo di sigillare lo stile che Adelphi ha sempre mantenuto e il modo è uno solo: chiudere. Non si può fare altro. Dal momento che non vi possiamo chiedere di riportare in vita Bobi Bazlen e Roberto Calasso vi chiediamo una cosa molto più facile: chiudete. Morti i grandi ispiratori che l’hanno creata, a Adelphi non resta che continuare per inerzia, perdendo ogni giorno qualcosa e pervertendosi ogni giorno in qualcos’altro. Risparmiateci la visione di Chiara Valerio, tronfia delle sue strampalate sciocchezze, che siede sul trono di chi ha iniettato Nietzsche nelle vene piene di sangue stantio della cultura italiana. Chiudetela! Vi imploriamo! Adelphi non ha più ragione di esistere. Del resto, non ce la meritiamo.