“Per dirla con le parole del bisogno assoluto: “Non lo fareste anche voi? Che fareste al posto mio?” Certo. Anche voi mentireste, imbrogliereste, fareste la spia, rubereste, fareste qualsiasi cosa per soddisfare quel bisogno assoluto. Perché sareste in uno stato di malattia assoluta, di possessione assoluta, nella condizione di non poter agire altrimenti.”
William S. Burroughs
Seta, porcellana e tè. La ricchezza dell’Impero Celeste si fondava su questi tre beni. Alla fine del XVIII secolo tutto il mondo voleva la porcellana, la seta e il tè prodotti in Cina. Quest’ultima, autarchica tanto spiritualmente quanto economicamente, accettava in cambio solo argento. Stive stracolme del metallo prezioso, estratto dalle miniere dell’America del Sud, venivano rapidamente svuotate al porto di Canton – l’unico approdo commerciale concesso agli occidentali – per ripartire verso Ovest, altrettanto stracolme dei tre beni di cui la Cina possedeva pressoché il monopolio mondiale. L’equilibrio economico era piuttosto fragile, se non del tutto sbilanciato a favore dell’Impero. Il Regno Unito ne soffriva in particolare; l’inedita analogia tra gli inglesi e le bevande a base di tè si apprestava a diventare tanto proverbiale quanto problematica per l’erario reale. Di anno in anno cresceva il deficit commerciale di argento nei confronti della Cina. Ad aggravare la situazione si aggiunse la perdita delle colonie americane a seguito della Rivoluzione, l’afflusso incerto delle miniere del Sud America causato dalle guerre europee, e il prestito enorme preteso dalla Compagnia delle Indie Orientali per assicurarsi il controllo dell’India. Tutto ciò aveva svuotato le casse di argento, e quel poco che restava continuava però ad affluire unidirezionalmente verso la Cina. Dopo una rovinosa ambasciata presso l’Imperatore Qianlong, dimostratosi indifferente alle meraviglie tecnologiche che l’Inghilterra prometteva in cambio dei beni di cui aveva tanto bisogno, cominciò presto per gli inglesi a delinearsi una soluzione, tanto efficiente quanto moralmente controversa. L’India, da poco conquistata, ancora non aveva rivelato al mondo il suo potenziale nella produzione di piante da tè. I suoi terreni erano però particolarmente adatti alla fioritura del papavero da oppio. Volle la contingenza che la popolazione cinese, in quel dato periodo storico, fosse particolarmente recettiva agli effetti sedativi della sostanza che si estrae dal baccello di questi papaveri, qualora essa sia fumata o ingerita. Dove non era riuscito a penetrare un commercio liberalizzato era subentrato il mercato nero – spesso l’altra faccia del primo – e l’oppio indiano, molto meno costoso e più potente di quello prodotto in Cina, si era diffuso a macchia d’olio entro i confini del Celeste Impero, seminando dipendenza, apatia e morte, e raccogliendo seta, porcellana e, soprattutto, tè, diretti verso Occidente.
Da questa situazione senza precedenti nacque un conflitto tra i due paesi, passato alla storia come la prima guerra dell’oppio (1839-1842), a cui ne seguì una seconda (1856-1860). Entrambe le guerre videro prevalere l’Inghilterra, di molto superiore nello scontro navale e dal punto di vista logistico. La Cina fu costretta, tra le altre cose, ad aprire i suoi mercati e a cedere per 150 anni l’isola brulla sulla quale si erano rifugiati gli inglesi durante il primo conflitto, Hong Kong. Per la Cina questa sconfitta segnò l’inizio del “secolo delle umiliazioni”. Svegliata bruscamente dalla realtà delle varie rivoluzioni industriali, la dinastia Qing collassò, e la Cina finì cannibalizzata e contesa tra diverse sfere d’influenza straniere.
La crisi, ormai fuori controllo[1], del consumo di oppioidi negli Stati Uniti d’America provenienti dalla Cina sembrerebbe suggerire non solo che la Repubblica Popolare Cinese abbia imparato la lezione duramente inflitta dagli inglesi alla dinastia Qing, ma anche che la storia, a volte, sembra possedere un perverso senso dell’ironia. La Cina ha infatti scoperto di avere tra le mani un’arma formidabile nella guerra fredda che la vede opposta agli USA. Oltre all’imponente arsenale classico, tutt’ora in crescita, considerato nelle sue moderne evoluzioni tecnologiche e informatiche, la Cina dispone di una risorsa molto promettente, un’arma di depressione di massa. Si tratta di un farmaco, il fentanyl, e soprattutto di un’efficiente catena logistica che porta le sue componenti essenziali dai laboratori cinesi, passando per il Messico[2], fino alle strade delle grandi città americane. Il fentanyl è l’ennesimo capitolo del complicato rapporto tra il genere umano e gli oppiacei/oppioidi. «È cominciato tutto da un fiore che gli antichi chiamavano “il fiore della gioia”. Il papavero. Una composizione apparentemente innocente di petali sopra uno stelo alto e verde. Il classico fiore che un bambino porterebbe a sua madre, nella certezza di sentirsi dire “Oh ma che bel fiore!”»[3]. Se la morfina, estratta dal lattice dei papaveri da oppio, può ancora considerarsi un prodotto naturale, mentre l’eroina è un prodotto semi-sintetico, in quanto derivato della morfina, con il fentanyl siamo difronte a una molecola completamente sintetica, prodotta interamente in laboratorio. Ma i suoi effetti si differenziano poco da quelli delle molecole affini. Un’ondata di calore che avvolge il corpo, seguita da piacere, benessere, oblio, desensibilizzazione. Poi un lento affievolirsi degli effetti, fino al loro svanire completo, e dopo qualche ora l’astinenza, con le sue crisi dalla fenomenologia ormai ben nota al sensibilizzato pubblico occidentale. Sintetizzato negli anni ’60, solo di recente il consumo di fentanyl ha preso slancio, irrorandosi nelle periferie dell’occidente. La scheda tecnica lo descrive come un farmaco 100 volte più forte della morfina e 50 volte più forte dell’eroina. Bastano pochi milligrammi per assicurarsi un’overdose.
A determinare la novità e la popolarità di questo farmaco sono la sua accessibilità[4] e le sue modalità d’assunzione. Oltre all’ormai consueta e stigmatizzata iniezione endovenosa, sempre prevalente, il fentanyl può essere assunto anche in compresse o tramite un cerotto transdermico. Avviene ormai comunemente che sui corpi senza vita che giacciono per le strade delle periferie americane – da Skid Row a Los Angeles, fino a Kensington a Philadelphia – vengano rinvenuti questi cerotti, nelle porzioni di pelle risparmiate dalle necrosi cutanee (causate in realtà da un’altra droga molto popolare in America tra i tossicodipendenti di fentanyl, il Tranq, un anestetico veterinario a base di xilazina, sempre d’importazione cinese). Ma poco cambia. Come sintetizzava Burroughs in Pasto Nudo: “L’ago non è importante. Che la roba la sniffi, la fumi, la mangi o te la ficchi su per il culo, il risultato è lo stesso: la tossicodipendenza”. La situazione è allarmante e tutt’altro che isolata. Interi quartieri delle città più popolose d’America offrono il medesimo spettacolo raccapricciante di corpi emaciati e corrosi, spalmati al suolo od oscillanti, consumati dalla diffusione di questa sostanza. Tra di loro si nascondono, spesso inosservati e tragicamente indistinguibili, dei corpi senza vita.
Se ci volessimo dedicare alle cause di quello che ormai è, a tutti gli effetti – e soprattutto, se non quasi esclusivamente, negli Stati Uniti d’America – un fenomeno diffuso e dilagante, non si potrà correre alle solite facili conclusioni, spesso di natura morale. Nessuna sostanza può diffondersi per conto proprio. Affinché una droga monopolizzi una data epoca in un dato paese, devono sussistere determinate condizioni economiche, sociologiche, politiche e anche filosofiche. Ciascuna a suo modo rilevante. Non che il consumo di una determinata droga possa avvenire solo in un determinato periodo storico, tuttavia date le adeguate condizioni, essa può imprimersi a tal punto nell’immaginario collettivo da diventare la sineddoche di un’epoca intera. L’lsd e le sostanze allucinogene fanno immediatamente pensare alla controcultura e alla sperimentazione degli anni ’60-’70. La cocaina e l’eroina, l’una all’ottimismo l’altra al pessimismo circa il consolidarsi, negli anni ’80, dell’interpretazione neoliberista del capitalismo nelle istituzioni democratiche occidentali. Le anfetamine e l’ecstasy rimandano alla cultura post-industriale e post-storica degli anni ’90, al mondo dei rave e all’accelerazione cyberpunk di un occidente abbandonato tra le rovine del proprio idealismo. Volendo gettare il nostro sguardo, per sua natura situato storicamente, oltre i limiti del nostro tempo, bisognerà capire cosa racconta la piaga del fentanyl di quest’epoca che stiamo vivendo, se oltre alle evidenti motivazioni politiche ed economiche che ne hanno decretata la diffusione – e che ora analizzeremo – essa non offra anche una chiave di lettura dello spirito del decennio nel mezzo del quale ci troviamo.
Anzitutto, come è potuto accadere, dopo l’enorme sforzo concertato dei paesi occidentali contro la diffusione dell’eroina, dopo efficacissime campagne di sensibilizzazione sulla sostanza e demonizzazione dei consumatori, che ancora una volta gli USA si trovino a fare i conti con la diffusione fuori-controllo degli oppioidi? La questione sembrava risolta una volta per tutte. Certamente il consumo in occidente non è mai sparito del tutto. Fino a qualche decennio fa sembrava però confortantemente confinato entro delle nicchie di emarginazione, nella maggior parte dei casi prive della visibilità necessaria a rendere il loro disagio privato motivo di riflessione pubblica. Ma già dalla fine degli anni ’90 si metteva in moto il primo ingranaggio della complessa macchina che ha portato al disastro attuale: la prescrizione scellerata dell’ossicodone da parte dei medici americani. L’ossicodone, commercializzato negli Stati Uniti come “OxyContin”, brevettato dalla casa farmaceutica Purdue Pharma, di proprietà della famiglia Sackler, è un oppioide più blando dell’eroina, nato come suo sostituto più gestibile. La Purdue, saggiamente istruita dai consulenti di McKinsey & Co [5], si è spesa con devozione nei primi anni ’90 in una campagna volta a ridurre il timore del rischio di dipendenza associata al consumo dei derivati dell’oppio, dal nome “Partners against Pain”[6]. L’enorme successo di tale campagna è ormai universalmente riconosciuto come il fattore scatenante della prima ondata nell’epidemia degli oppioidi degli Stati Uniti, alla quale sarebbero seguite altre tre ondate, la quarta essendo quella tutt’ora in corso[7]. Se la proverbiale spregiudicata avidità dei Big Pharma ha gettato le basi per quella che è ad oggi la principale causa di morte dei giovani americani,[8] gli alti tassi di povertà, di disuguaglianza economica, di disoccupazione, di dissesto del mercato del lavoro, oltre alla diminuzione media del capitale sociale, l’inaccessibilità dei servizi sanitari e un alto tassi di isolamento sociale[9] hanno fatto il resto. Difronte a questo tipo di problemi il fentanyl, come tutti gli altri oppioidi, offre un conforto temporaneo quanto nefasto, svuotandoli “di ogni angoscia, li trasporta in un’altra zona, una zona teorica e indolore, sorprendente, fertile e amorale. Non sei più grottescamente coinvolto nel divenire.”[10]
Ma limitarsi alla considerazione degli aspetti economici e sociologici della questione non rende giustizia alla complessità del problema, che è anche di natura politica. Come abbiamo già visto, la tratta pacifica degli stupefacenti disegna un triangolo ai cui vertici troviamo Cina, USA e Messico. Senza ridimensionare le responsabilità di quest’ultimo – all’interno dei cui confini i cartelli del narcotraffico sintetizzano fentanyl a partire dai componenti essenziali cinesi[11], per poi spedirlo nelle piazze di spaccio americane – la questione diventa eminentemente politica se si considerano gli interessi che oppongono gli Stati Uniti alla Repubblica Popolare Cinese. Si peccherebbe di una sproporzionata e irragionevole malizia nel pensare che il governo di Pechino abbia, da principio, ingegnosamente architettato il tutto, programmando la diffusione della tossicodipendenza in una porzione rilevante della popolazione americana, per approfittare della conseguente crisi. Ma non meno irragionevole e sproporzionato sarebbe il giudizio per cui le autorità cinesi considerino irrilevante il vantaggio strategico che offre loro avere, in questo caso, la siringa dalla parte del manico. Un resoconto del 2015, ovvero in un periodo in cui la diffusione di oppioidi ancora non aveva raggiunto gli attuali livelli allarmanti, calcolava il costo dell’epidemia per il governo federale degli Stati Uniti, stimandolo circa in 500 miliardi di dollari[12]. Nel settembre 2019, l’allora presidente americano Donald Trump ha emesso un ordine esecutivo per bloccare le spedizioni di fentanyl dirette verso gli Stati Uniti, affermando che il governo cinese non aveva fatto abbastanza per fermare il contrabbando di fentanyl prodotto in Cina.[13] Più di recente invece, durante il bilaterale tra Joe Biden e il suo omologo cinese Xi Jinping (novembre 2023) la crisi del fentanyl ha fatto da leva in favore delle pretese del governo di Pechino, che ha così incassato la revoca delle sanzioni contro l’Istituto di medicina forense del ministero della pubblica sicurezza cinese, accusato di complicità nella copertura degli abusi dei diritti umani, a danno degli uiguri, nella regione dello Xinjiang[14].
È doveroso quindi non lasciarsi sedurre dalle facili conclusioni. Il fentanyl sta piegando l’America, come l’oppio aveva piegato la Cina al tempo dell’eponima guerra. Gli interessi coinvolti e le cause sono molteplici e di diversa natura. Finora abbiamo considerato principalmente i fattori esogeni: motivazioni economiche, condizioni sociali, interessi politici. Ma che ne è del popolo americano? Quale forza endogena sta trascinando la popolazione della prima potenza mondiale nel vortice della tossicodipendenza? E in che modo il parallelo con ciò che è avvenuto due secoli fa tra la Cina e un’altra potenza occidentale e anglofona, all’apice del suo prestigio, può esserci d’aiuto nella comprensione?
Lo si è già detto, ogni epoca ha la sua narcosi di riferimento. Una gioventù ottimista e piena di speranze ricorre agli psichedelici, allo squarcio introspettivo che essi provocano; un’arrogante maturità sente il richiamo della cocaina, della tracotante volontà di potenza che infonde; una civiltà aggrappata alle proprie rovine è esposta all’abissale libidine per l’impermanenza, all’estasi dello squallore – ciò che in fondo offrono le anfetamine e gli stimolanti sintetici affini. Qual è allora la Stimmung dell’oppiomane, dell’eroinomane[15], del tossicodipendente di fentanyl?
Il popolo cinese del XVIII secolo si percepiva al centro del mondo. L’imperatore Qianlong, figlio del paradiso, ricevendo l’impaziente e altezzoso ambasciatore inglese, pensava di trovarsi al cospetto di un suddito del suo impero. Accolse i prodotti occidentali senza interesse, considerandoli alla stregua di insoliti tributi. I cinesi percepivano i propri valori, costumi e rituali come se fossero al di fuori del tempo, radicati nell’eternità. I mercanti e i viaggiatori inglesi, ai loro occhi, valevano quanto il peso delle stive delle loro navi, stracolme di argento. Di anno in anno doveva dunque acuirsi l’incongruenza tra il valore etereo e supposto dei cinesi, e il potere concreto ed evidente degli occidentali. Il Celeste Impero era al tramonto. Al capo opposto della via della seta, il materialismo e la rivoluzione industriale stavano forgiando valori nuovi, ben più all’altezza dei tempi a venire. Cosciente o meno di ciò, il popolo cinese, destinato all’osservanza di valori scaduti, era anch’esso al tramonto, e con ciò esposto alla seduzione dell’inebetante narcosi e del benessere posticcio che solo l’oppio sa offrire, poiché assicura “un’immobilità senza peso, uno stupore di farfalla che si distingue dalla rigidità catatonica; e lontanissimo, al di sotto di essa, dispiega il fondo, un fondo che non assorbe più stupidamente tutte le differenze, ma le lascia germogliare e risplendere come tanti eventi minimi, distanziati, ridenti ed eterni”[16].
Il popolo americano si trova oggi in una condizione non molto dissimile. Benché l’economia, la superiorità navale e un maggiore cinismo diplomatico scongiurino ancora la fine dell’impero americano, l’innegabile percezione diffusa è che il vento stia cambiando. I valori americani come il progressismo democratico, il capitalismo liberale, la libera impresa individuale potrebbero non essere all’altezza del tempo che viene. Valga come prova di ciò la sclerotica polarizzazione delle posizioni politiche, con i progressisti e conservatori che si accusano reciprocamente del disastro in corso[17]. È tipica la tendenza di chi, temendo la propria irrilevanza, si radicalizza con fanatismo in ciò che percepisce come la propria identità e i propri valori. Se una parte degli americani segue questo schema, la restante ha scelto, sicuramente influenzata dalle cause esogene di cui sopra, la via dell’oblio. Gli oppioidi sono la droga del nichilismo in atto, del disastro in corso, della catastrofe che silenziosamente dimette un impero, con i suoi valori, per fare spazio a quello successivo, più all’altezza delle esigenze dell’epoca che viene. Si diffondono come una piaga ovunque la vita non sappia offrire di meglio, laddove le condizioni materiali dell’esistenza rendano palese lo squilibrio tra ciò che si pretende di essere e ciò che invece semplicemente si è. La crisi del fentanyl, nonostante le sue morti e il suo peso economico, oltre al trauma indotto in una generazione intera, è ancora reversibile; l’impero americano è ancora ben saldo. Esso dovrà saper leggere però, tra le righe di questa crisi all’apparenza marginale, l’annuncio di un vento che cambia e che, sgombrando l’orizzonte, rivela allo sguardo le prime luci del tramonto.
[1] Secondo i dati federali, nel 2021 l’epidemia di droga in America è stata la più letale di sempre. Più di 100.000 persone sono morte per overdose negli Stati Uniti durante un periodo di 12 mesi terminato nell’aprile 2021, secondo i dati provvisori pubblicati il 17 novembre 2021 dall’Agenzia per la Sicurezza Nazionale. US Centers for Disease Control and Prevention.
[2] Achenbach J (October 24, 2017). “Wave of addiction linked to fentanyl worsens as drugs distribution evolve”. The Washington Post.
[3] Tiffany McDaniel “Sul lato selvaggio” Atlantide 2020.
[4] Nel 2023 una dose di fentanyl a San Francisco costava intorno agli 8$ cfr. Hammond, George; Kinder, Tabby (May 18, 2023). “What if San Francisco never pulls out of its ‘doom loop’?”. Financial Times. Oltre alla convenienza economica la diffusione del fentanyl è stata agevolata anche dal fatto che, essendo sufficienti pochi milligrammi di sostanza per ricavarne una dose, il fentanyl è molto più semplice da trafugare e nascondere rispetto alle altre droghe.
[5] “McKinsey Settles for Nearly $600 Million Over Role in Opioid Crisis”. The New York Times. 3 Febbraio, 2021.
[6] Van Zee A (February 2009). “The promotion and marketing of oxycontin: commercial triumph, public health tragedy”. American Journal of Public Health. 99 (2): 221–7
[7] Ciccarone, Daniel (July 1, 2021). “The Rise of Illicit Fentanyls, Stimulants and the Fourth Wave of the Opioid Overdose Crisis”. Current Opinion in Psychiatry. 34 (4): 344–350.
[8] Stime recenti dimostrano che gli oppiodi uccidono ormai circa 100,000 americani all’anno, principalmente donne bianche non-ispaniche cfr. Deidre McPhillips (November 17, 2021). “Drug overdose deaths top 100,000 annually for the first time, driven by fentanyl, CDC data show”. CNN.
[9] Case, Anne; Deaton, Angus (March 17, 2020). Deaths of Despair and the Future of Capitalism. Princeton University Press.
[10] Alexander Trocchi, Il libro di Caino
[11] Il fentanyl illegale è comunemente prodotto in Messico e trafficato dai cartelli. Il gruppo dominante nel Nord America è il cartello messicano di Sinaloa, che è stato collegato all’80% del fentanyl sequestrato a New York. (Miroff N. (13 Novembre, 2017). “Mexican traffickers making New York a hub for lucrative — and deadly — fentanyl”. The Washington Post.)
[12] White House: True cost of opioid epidemic tops $500 billion By Associated PressNov. 20, 2017.
[13] Trump Plans Crackdown on Fentanyl Shipments from China, Others”, Bloomberg News, 10 settembre, 2019
[14] Iain Marlow “Biden-Xi Meeting Delivers Small Wins and Promises of Better Ties” Bloomberg News,13 novembre 2023.
[15] Certo, l’eroina si era già diffusa in occidente, controbilanciata, tuttavia, dalla popolarità della droga convalidante e confermante per eccellenza: la cocaina. La percezione della gravità della situazione fu inoltre acuita dal timore per l’epidemia di AIDS correlata alla tossicodipendenza da eroina.
[16] Michel Foucault Theatrum Philosphicum.
[17] Per rimanere in tema fentanyl alcune città calforniane come San Francisco e Los Angeles, storiche roccaforti progressiste, sono oggi un fentanyl den a cielo aperto, anche grazie alle leggi molto permissive promosse dalle giunte progressiste. Al tempo stesso il libero mercato e la deregolamentazione, capisaldi dei conservatori americani, hanno concesso a Purdue e McKinsey di spacciare legalmente ossicodone in lungo e in largo per il paese.