Articolo uscito sul numero 18 del Bestiario "Sempre tossico è l'amore".

Esistono quattro forme d’amore, legate ai quattro elementi. Nessuna di queste può prescindere dal desiderio di dare la morte alla persona amata.

Una generale incomprensione circa la natura dell’amore porta a credere che si ami il pieno, che si ami la vita, le qualità, i predicati, ciò che l’altro ci dà, invece di quello che ci toglie, invece del vuoto. Non esiste una qualità che possa realmente essere oggetto d’amore; i mattatori o le donne di successo, le personalità forti o gli spiriti coinvolgenti allettano solo le fantasie degli amanti immaturi. Di fatto non esiste una virtù, un attributo o una qualità che, oggetto d’amore, in un dato lasso di tempo non si trasformi in fonte d’odio e di disprezzo. Le qualità, gli attributi, le virtù ambiscono a una stabilità inconciliabile con il divenire irrequieto del desiderio amoroso. Se ci si trova ad amare in tal maniera ci si scopre col passare degli anni a tollerare, nella migliore delle ipotesi, quel che un tempo ci aveva ammaliato, e la fiamma dell’amore si ravviva solo se, in società, rubiamo dagli occhi degli altri il fascino che un tempo ci aveva abbagliato, o scaviamo nei ricordi per confermare quel sentimento che ormai ha più il tenore di una clausola di un contratto che di una viva seduzione.

È una stanca rappresentazione quella che evita di confrontarsi con ciò che da sempre suggerisce l’universale desiderio di dare la morte alla persona amata. Non si può amare davvero qualcuno se in qualche misura non si sente il bisogno insopprimibile di togliergli la vita, con una violenza commisurata alla passione del sentimento. L’amore si realizza solo se a lenire le pene di un cuore infetto dall’amore non è il possesso della persona amata, o la sicurezza di averla a fianco per una durata che un’immaginazione esuberante pretende eterna. Esso si realizza, l’amore ha luogo, solo se la felicità di chi ama – ovvero un suo compiaciuto e sereno perseverare nell’esistenza –  sarebbe possibile solo se la persona amata sparisse del tutto, o meglio ancora non fosse mai esistita. Di qui, per chi concede alla propria follia amorosa di esprimersi senza mediazione, nasce l’impulso a fare a pezzi il corpo amato, nella speranza mal riposta che al dissolversi della carne sia assolta pure la condanna ad amare.

Delle quattro forme di amore, legate ai quattro elementi, ciascuna è connessa in un modo o nell’altro con il dono di morte.

L’amore di terra, il più semplice, per animi meno nobili, è sempre sull’orlo di trasformarsi in massacro. Si uccide qui per un eccesso di possesso, in direzione opposta a quel nulla che la morte potrebbe portare in consegna. Non si uccide per costringere l’amante nel nulla – l’unico luogo all’altezza del suo mistero – ma per portarlo a sé, per possederlo a pieno, per annientarne l’imprevedibilità. L’opera di morte, nell’amore di terra, è prerogativa delle bestie. Ciò che rende la persona amata tale – la sua libertà, il mistero della sua presenza – è intollerabile per principio. Un’indole tellurica è sempre a rischio di liberare lo sfogo che trasforma un amplesso amoroso nelle carezze di un animale, e se la cosa accade di rado è per quella minima attitudine all’autocontrollo che l’educazione e il costume (e il sistema carcerario) oggigiorno prevedono. Quella stessa attitudine viene meno (quasi esclusivamente negli uomini) nel momento in cui una delle due parti unilateralmente tronca il rapporto, riaffermando quella stessa libertà che è fonte e oggetto dell’amore. Nell’offuscamento della coscienza che questo strappo produce si libera quel desiderio di morte, solo a lungo sopresso ma mai del tutto escluso. L’amore si riafferma così nella sua natura più pura, colorando le pagine di cronaca.

Scena tratta da Rocco e i suoi fratelli di Luchino Visconti

L’amore d’acqua è l’amore coniugale, piatto, assecondante, quotidiano; come l’acqua riempie i volumi e accoglie la commistione, così questo amore si adagia, si accontenta. Solo un’acritica illusione può credere che questo genere d’amore non sia del tutto compromesso con la morte. Una morte che si accoglie nella quotidianità, seppure perennemente differita. Dell’altro, in un amore di questo genere, se ne mortifica la vitalità, costringendolo in un compromesso a rinunciare a tutto ciò che caratterizza l’esuberanza del suo desiderio; lo si confina nella versione più spenta – e mortifera – della sua esistenza. Poi certo, ci si tiene compagnia e si dividono le spese del mutuo, ma ad animare il talamo nuziale non è altro che la furia omicida costretta al compromesso della convivenza, distillata a piccole dosi di veleno quotidiano; è il desiderio di dare la morte al proprio coniuge e vedergli vivere quella stessa morte che egli dispensa.

Scena tratta da Divorzio all’italiana di Pietro Germi

L’amore di fuoco è evidentemente connesso con il desiderio sacrificale dell’opera di morte. L’estasi amorosa confina con l’istinto omicida e se ne alimenta. Ai lettori di Bataille la cosa risulterà del tutto ovvia, ma in fondo chiunque abbia spinto un qualche genere di passione oltre la forma meccanica della sua messa in scena, non avrà non potuto percepire come, al limite dell’estasi e del coinvolgimento, il nulla della morte chiami a sé gli amanti, parlando con voce profonda senza dire niente. Il fuoco tuttavia consuma consumandosi; nella passione di questo tipo, la vita che si strappa alla persona amata porta con sé nell’abisso l’unica speranza di chi dà la morte di accedere a qualcosa come un fuori, un’alternativa. Sprofondando nella morte, l’altro priva l’amante dell’unico dono che poteva elargirgli, quello di dargli a sua volta la morte. La cenere fredda di un amore di fuoco portato al limite della morte sparge nel vento un’unica consapevolezza: che il destino dell’uomo è quello di essere una supplica senza risposta

L’amore di aria si adagia nel vuoto e gioca tra la piena presenza che rapisce e l’immediata sparizione. È la forma più alta, l’unica in cui il desiderio non può essere condotto all’assassinio perché vive di quel nulla che la morte serve solo a evocare. È l’amore della pura presenza fugace, così presente da non poter essere rap-presentato senza tradimento. È l’unica forma eterna, che non conosce dissoluzione o invecchiamento, perché dell’altro si ama non questa o quell’altra qualità, ma il nulla che sottende alla sua presenza, il suo mistero non mistificato, ma accolto come tale. Solo in questo genere d’amore il desiderio di dare la morte svanisce, perché essa, la morte, è la condizione stessa del rapporto. È il suicidio-omicidio (il kamikaze è anzitutto un tifone di natura divina per i giapponesi) che coinvolge gli amanti quasi come se, una volta dissoltosi, resti ad aleggiare solo quel nulla, di modo che a stento si potrebbe dire che qualcosa come un rapporto ha avuto luogo. Eppure, se vi ci si abbandona, spariscono le rigidità e le storture delle identità e dei rapporti e resta solo l’incontro dei corpi, e il loro amore, il cui compimento coincide con l’immediata dissoluzione.

Scena tratta da Ultimo tango a Parigi di Bernardo Bertolucci

La brutalità del delitto d’amore – la contraddizione che lacera chi lo compie e la pena che infligge a chi lo subisce e ai suoi cari – per uno sguardo sufficientemente cinico e disumano, potrebbe annoverarsi tra le file delle opere delle belle arti.