Se la monogamia non è più indice di fedeltà, ma di repressione e gelosia, cosa significa, al giorno d'oggi, tradire?
Racconto estratto dalla rivista

Valerio entrò nella stanza, poggiò il calice appena svuotato sulla scrivania, e con un gesto teatrale che consistette nell’allargare le braccia come davanti a una folla, annunciò: “Questa invece è la stanza delle mie malefatte.” Ginevra rise sbuffando: “Malefatte? E poi, come se non la conoscessi… sei proprio un idiota, dai non perdiamo altro tempo e: scopiamo.” “Dai sì, scopiamo.” Valerio afferrò Ginevra, e con uno schiocco di dita le slacciò il reggiseno sussurrandole all’orecchio qualcosa di indecifrabile, parole che portarono la ragazza a mordersi il labbro spezzando un sorriso malizioso: “Sei veramente un porco. Chissà a quante le dici queste cose…” , “A tante, lo sai, le conosci tutte.”

I due cominciarono a baciarsi, prima un po’ meccanicamente, poi sempre con più foga. Si spogliarono – via la camicia di lui, via la gonna e le scarpe di lei -, spostandosi verso il letto con dei passetti meccanici e indecisi, come dei capretti incastrati per le corna che si divertono a urtarsi le ginocchia a vicenda. “Cazz… il nervo.” “Scusa! E’ che non ci vedo.” Nonostante Ginevra conoscesse la stanza di Valerio, e le tapparelle fossero alzate, il buio della sera invernale, complice anche la miopia della ragazza, la portò a colpire con il fianco il comodino al lato del letto. La botta non fu niente di che, quanto bastò però a far precipitare sul pavimento una piccola cornice. “La foto di Claudia, speriamo non si sia rotta.” Disse con voce bassa, trattenuta, Valerio. Fece per chinarsi a raccoglierla, ma Ginevra lo fermò prontamente afferrandogli la fibbia: “Lascia fare a me, ve l’ho regalata io questa foto.” Con movimento sinuoso e impacciato insieme, di palloncino che si sfongia, Ginevra poggiò sul parquet un ginocchio, poi l’altro, e invece di prendere la cornice per ricollocarla nel suo posto, iniziò ad armeggiare con la cinta del ragazzo, il quale capitolò dopo qualche secondo sul letto rovesciando gli occhi estatico.

Nella stanza calò il silenzio, interrotto solo di tanto in tanto dal suono simile a quello di una grossa goccia di gelatina che precipita a ritmo cadenzato in una stanza vuota.

“Brava succhia …”

“Succhio, sì.”

“Succhia, brava. Prendi la foto di Claudia, guardala negli occhi e succhia.”

“Sì, succhio succhio.”

Improvvisamente, nella stanza attigua, ci fu un suono di chiavi alla fine del corridoio. “Ah, è Claudia… è tornata Claudia.” Disse ansimando Valerio, serrando le palpebre per non perdere la concentrazione, perché alcune cose necessitano di concentrazione anche se tutto il lavoro lo sta facendo qualcun altro, “è tornata Clha…auudia.” Questa informazione non turbò in alcun modo Ginevra, al contrario si può dire che per quanto possibile la ragazza diventò addirittura più calda e paziente, al punto da rallentare i suoi movimenti come chi non ha nessuna fretta di concludere.

Poi nel salone si sentì un tonfo, come di qualcosa che viene sbattuto a terra con rabbia, a cui seguì la voce metallica di Claudia: “Brutto stronzo… io lo ammazzo”. Dei passi decisi, come di piccole ante che vengono sbattute, si fecero sempre più vicini e minacciosi, fino a raggiungere la porta della stanza che si spalancò di colpo: “Eccoti maledetto, eccoti qua!”

“Ehi amore… batuffolina. Sto per venire…”, disse Valerio alzandosi sui gomiti e muovendo un po’ i fianchi su e giù per facilitare la mungitura. Anche Ginevra, asciugandosi le labbra, salutò la nuova arrivata con un sorriso complice: “Ciao Claudia, come sei bella. Sei passata dal parrucchiere…?” E poi di nuovo se lo fece scivolare con delicata sensualità sulle labbra, come si fa per sigillare una sigaretta appena rollata. Claudia salutò Ginevra: “Ehm, ciao Ginni… scusami, ci puoi lasciare da soli?” Ginevra alzò la testa aggiustandosi una ciocca e continuando con la mano: “Certo, se mi dai due minuti però finisco.” “Sì, falla finire Claudia…” disse Valerio con gli occhi storti e un sorriso inebetito dal piacere.

A sentire la voce di Valerio, Claudia diventò tutta rossa, e una grossa vena le spuntò sulla fronte: “Tu stai zitto.” Poi, rivolgendosi a Ginevra: “Ginevra, forse è il caso che tu venga qui da me.” Davanti a quel viso rosso di rabbia, Ginevra diede le ultime due succhiatine rapide, poi, nonostante le suppliche di Valerio, si alzò producendo con la bocca il suono di un tappo che salta. Valerio non riuscì più a trattenere la sua frustrazione: “Claudia, siamo impazziti? Non si può interrompere un pompino così.” In tutta risposta, Claudia estrasse il telefono dalla sua borsetta con autorità micidiale: “Cos’ho? Ho che l’altro giorno non sei andato a giocare a calcetto con quel gruppo di coglioni di amici tuoi, ma sei andato a farti una bella confidata. Sì Ginni...hai capito bene. Una schifosa confidata. Con quella cessa della sua amica.” Ginevra, sorpresa dalla notizia: “Ma chi, l’amica storica? Come si chiama…” “Troia si chiama, troiona, si chiama. Ecco come si chiama: si chiama regina delle fucking troie.”

Valerio ingoiò un groppo, si alzò dal letto trastullando il sesso smunto tra le mani. “Claudia… che stai dicendo? Chi te l’ha detta questa follia? Io non mi confiderei mai con nessuna che non sia tu… dai, smettete di fare le sceme e venite qui tutte e due.” “Stai zitto uomo di merda, che ci fai più bella figura. E rimettitelo dentro, che in confronto a quello di Riccardo il tuo fa ridere. E comunque, ho le prove.” “Le prove?” Valerio sorrise stordito, incredulo. Si voltò verso Ginevra come chi cerca un sostegno, ma lei distolse lo sguardo spietata. Claudia tirò fuori il telefono dalla sua borsetta. Lo schermo illuminò la stanza buia e il volto del ragazzo, che si scoprì bianco come chi è prossimo allo svenimento: “Ecco qui, ECCO. Si sente tutto… ogni parola. Ogni tua schifosa parola è stata registrata.” Davanti agli occhi di Valerio partì un filmato.

“Guardati… uomo piccolo, esattamente come tutti gli altri. Al parco, su una panchina, a ridere, a confidarti, a giocare con un pinolo con quel mezzo sorriso incantato, a parlare delle tue paure, dei tuoi progetti, dei tuoi sogni. E qui? Oddio…” Claudia si coprì gli occhi e iniziò a singhiozzare. Vedendo la migliore amica in lacrime, Ginevra andò ad abbracciarla. Le carezzò il viso, poi le baciò affettuosamente il collo, le leccò le lacrime sulle guance. “Vieni qui…povera Claudia.” “Ginni, Ginni. Ma hai sentito che cosa le ha detto? Le ha parlato della sua infanzia, di come delle volte si sente inadeguato e insicuro. E…” Ginevra prese il telefono della sua amica e chiuse il video: “Questo è davvero troppo, basta. Perché ti devi torturare così?” Quindi si voltò verso Valerio con un sorriso sprezzante e altezzoso: “Fai schifo.” Dopodiché, con quella forza che scaturisce da una sincera amicizia femminile, accompagnò Claudia fuori dalla stanza. La porta si chiuse. Valerio, solo con se stesso, si abbracciò le ginocchia. Oscillò per circa un minuto come un cavallino a dondolo. Poi, con voce stridula, quasi infantile, gli occhi sbarrati e tristi, sussurrò: “L’ho persa, persa per sempre. Per una confidata di pochi minuti ho perso l’amore della mia vita. Sono proprio un coglione.”