Introduzione del libro di Nathalie Heinich "L'ideologia vendicativa" (GOG 2024)
Dall'introduzione del libro "L'ideologia vendicativa" (GOG 2024)

Il 17 febbraio 2023, il Daily Telegraph ha rivelato che Puffin Book, la casa editrice dell’autore britannico per ragazzi Roald Dahl, ha preso l’iniziativa di ripubblicare i suoi libri con modifiche sostanziali, consistenti nell’attenuare o eliminare termini che potrebbero essere percepiti come molesti, offensivi o discriminatori, ad esempio fat (“grasso”), white (“bianco”, che diventa “pallido”), o mother and father (“madre e padre”, che viene modificato in “genitori”).

Cosa c’entra questo, ci si potrebbe domandare, con il woke, oggetto di questo saggio? I suoi difensori si sono affrettati a negare che questa vicenda – un po’ imbarazzante, trattandosi di caviardage, se non addirittura di censura – abbia il benché minimo legame con le tematiche woke. Così, secondo la scrittrice britannica Joanne Harris, i sensitivity readers («lettori sensibili»1) «non hanno nulla a che vedere con le brigate woke o con gli agenti della cancel culture che i media conservatori stigmatizzano», perché «aggiornare un libro per assicurarsi che sia ancora vendibile non è censura, è business»2; ma una motivazione commerciale non impedisce in alcun modo che l’atto corrisponda ai dettami del pensiero woke, ossia l’evitamento sistematico di qualsiasi espressione che possa essere percepita come stigmatizzante per un particolare gruppo che si presume sia stato “discriminato”.

Nel linguaggio woke ecco che “padre” e “madre” possono essere trasformati in “genitori” per evitare di ferire le coppie gay, “genitori” può diventare “famiglia” per evitare di ferire una ragazza madre. Analogamente, “femmina” deve eufemisticamente essere cambiato in “donna” per evitare di scioccare i sostenitori della “gender theory”, agli occhi dei quali la differenza tra i sessi è una “costruzione sociale”, senza alcun fondamento biologico. Analogamente, “maschi e femmine” deve dirsi “bimbi” per evitare di scioccare coloro che considerano gli “stereotipi di genere” come un’odiosa espressione patriarcale. Infine, anche Rudyard Kipling deve cedere il posto a Jane Austen per evitare di urtare sia le femministe che i cittadini provenienti dal subcontinente indiano. Benvenuti a Wokeland, il paese del woke.

Questo esempio è emblematico degli eccessi di un movimento che avrebbe tutte le carte in regola per attirare simpatie per il suo impegno a favore delle vittime di discriminazione, ma che nel giro di pochi anni ha esagerato con le posizioni dogmatiche, l’imposizione di temi obbligatori e i divieti terminologici (chi, oltreoceano, pronuncia la “n-word” – “negro”, rischia l’equivalente di una scomunica). Tutto ciò ha aspetti potenzialmente totalitari, come questo saggio cercherà di dimostrare.

Questo esempio riassume effettivamente le caratteristiche del woke. La prima è l’imposizione di un rapporto interamente ideologizzato con il mondo, che pretende di non lasciare spazio a nessun’altra griglia di lettura. La seconda è la confusione tra il registro descrittivo del discorso, che ci dice ciò che è, e il registro normativo, che ci dice ciò che deve essere, unita alla sistematica sottomissione del primo al secondo. La terza è l’alleanza di questo moralismo normativo con interessi commerciali. La quarta è quella particolare forma di stupidità che è l’ignoranza della specificità della finzione, che non ha la stessa modalità di esistenza della realtà, per cui è assurdo pretendere di proteggere i più deboli dalla rappresentazione di una realtà inquietante come se li stessimo proteggendo da quella realtà stessa. La quinta è un’altra ignoranza, l’ignoranza del contesto, spesso unita alla mancanza di cultura storica, che ci porta ad applicare criteri di valutazione del presente a produzioni del passato. La sesta è il disprezzo per i diritti morali degli autori, i quali vietano qualsiasi modifica delle loro opere senza la loro autorizzazione (disprezzo favorito, si noti, dall’assenza della nozione di diritti morali nella common law britannica e americana, dove esistono soltanto i copyright, cioè i diritti che consentono di ricavare denaro dall’utilizzo delle opere).3 La settima caratteristica è il fanatismo, che impedisce ai propagandisti woke di immaginare e quindi di anticipare le reazioni negative alle loro iniziative, rendendoli a tal punto ridicoli da privarli di qualsiasi capitale di simpatia di cui potrebbero godere agli occhi dei loro sostenitori. L’ideologismo, il moralismo, l’interesse personale, l’ignoranza, il disprezzo per la creazione artistica e il fanatismo si uniscono così alla certezza di detenere il diritto di imporre il proprio punto di vista agli altri e danno vita al nuovo fermento culturale del totalitarismo woke.

Tuttavia, fortunatamente, gli ostacoli non mancano, dato che le reazioni indignate e le derisioni suscitate da questa vicenda hanno indotto l’editore inglese ad annunciare, una settimana dopo, che avrebbe commercializzato anche le versioni dell’opera non censurate.

Nel frattempo l’editore francese – Gallimard – ha annunciato che si rifiuterà di modificare la traduzione per adattarla alle richieste della censura britannica. Come un famoso villaggio gallico,4 la Francia è ancora – cercheremo di capirne i motivi – un bastione di resistenza al woke. Ma per quanto tempo ancora?
Il fenomeno noto come woke o “wokismo”, termine che potrebbe essere tradotto con “il non abbassare la guardia”5) è ormai internazionale: nato nei campus nordamericani verso la fine degli anni 2010, si è poi diffuso nel mondo della cultura, della politica e anche dell’economia; non ha tardato ad attraversare l’Atlantico per raggiungere i paesi europei. Basato sull’imperativo di un “risveglio”6 sistematico contro tutte le forme di discriminazione nei confronti delle minoranze, siano esse etniche, religiose, sessuali o di altro tipo, il suo successo è dovuto principalmente al fatto che difende cause associate al progresso e alla giustizia. Il problema è che le pone all’interno di griglie di lettura quasi esclusive per interpretare il mondo, che pretende di imporre in contesti in cui non trovano posto e che per farlo utilizza metodi che le snaturano. Recentemente importato nel vocabolario francese, il woke rimane oscuro per molti, mentre per chi vi è esposto – soprattutto all’Università e nel settore culturale – è immediatamente riconoscibile. A questo divario tra settori diversamente coinvolti si aggiunge un conflitto generazionale, in quanto il fenomeno è molto più popolare tra i giovani che tra i nati dopo la Seconda guerra mondiale, oggi noti come boomer. I boomer sono evidentemente più sensibili dei loro figli alle logiche totalitarie che, dietro le apparenze progressiste della lotta contro le discriminazioni, stanno – senza che i suoi promotori se ne rendano conto – tornando ad una posizione politica estranea alla cultura di numerosi giovani attratti da questa tendenza dall’aria innovativa: lo stalinismo e la sua propaggine maoista.

Negli Stati Uniti, il woke è considerato di sinistra perché difende le cause progressiste, mentre gli ‘anti-woke’ sono chiaramente assimilati alla destra, oppure all’estrema destra. In Francia, invece, le posizioni sono meno nette: è possibile rifiutare il woke pur aderendo alle cause che difende, ma senza accettare i mezzi – tutt’altro che democratici – utilizzati dai suoi seguaci, anche se animati dalle migliori intenzioni. Da qui la confusione che regna intorno ad esso, perché sotto la sua veste progressista, il wokismo presenta, come vedremo, le caratteristiche di un totalitarismo culturale, di un totalitarismo diffuso – di un totalitarismo senza Stato. Queste caratteristiche sono essenzialmente tre: l’identitarismo, l’ideologismo e la censura. Prenderli in esame uno dopo l’altro dovrebbe aiutare a chiarire una confusione che attualmente lacera sia le famiglie che i gruppi di amici e i collettivi dei lavoratori.7

  1. I «sensitivity readers», nuova figura professionale che da qualche tempo si affaccia al mondo dell’editoria, sono gli editor che vagliano i manoscritti con la missione di identificare passaggi che contengano stereotipi, pregiudizi o rappresentazioni che possano risultare offensivi o dispregiativi nei confronti di alcune comunità minoritarie, etniche, sessuali e culturali [N.d.T.]. ↩︎
  2. Le Monde des livres, 3 marzo 2023. ↩︎
  3. Segnaliamo che i diritti d’autore, nel caso specifico, sono detenuti dalla Roald Dahl Story Company, di cui attualmente è proprietaria Netflix. ↩︎
  4. Quello di Asterix e Obelix nel celebre fumetto Asterix di Uderzo e Goscinny [N.d.T.]. ↩︎
  5. Armand Laferrère nel suo articolo «Un mauvais vent d’outre-Atlantique» [“Un cattivo vento d’oltreoceano”. N.d.T.] (in «Commentaire», n°174, estate 2021, pp. 271-277), propone il termine francese «vigilantisme», e anche «totalitarisme vigilant» [“totalitarismo vigilante”. N.d.T.]. ↩︎
  6. Dall’inglese to wake, woke, woke: «risvegliare». ↩︎
  7. Questo saggio si basa su un numero consistente di pubblicazioni, soprattutto francesi, elencate alla fine del libro. ↩︎