“Vi è solamente un problema filosofico veramente serio, quello del suicidio: giudicare se la vita valga o non valga la pena di essere vissuta”.
Albert Camus
Vi è un solo problema veramente serio: sapere se si avrà visibilità: l’incipit d’un nuovo Camus post-umano. Non più capire se poi la vita valga o no la pena di essere vissuta, ma un Sisifo soffocato tra il non esistere e Only Fans. Altroché suicidio, qui la certificazione d’esistenza è più sospesa d’una vita sotto la lama d’una ghigliottina.
In un sogno distopico sogno il suicidio di un narciso, il feticismo d’un piede si deprime non sapendo più quale scegliere in questo scrollare asettico d’una eterna uguale insoddisfazione. E nei mille corpi che ci fottono tutto lo stupore dagli occhi, io mi rifletto allucinato come in un paradiso artificiale nello sguardo della Comi, Michelle.
Come si sente dopo che ha smontato il set, sapendo che domani lo rimonterà di nuovo? Penso alla sua angoscia. E se è vero che on n’échappe pas à la machine, è ancor più certo che non si sfugge alla camera dell’iPhone Plus. E cosa sente Michelle? Ha il senso della morte? Si stringe al peluche della sua infanzia assassinata per sempre?
Ma forse lo spleen delle Michelle è il nostro, terribile, temibile: quello di non essere visti, essere dei nessuno. Loro sono diventati il nostro termine di paragone atroce: Chi ci vedrà? Come esistere agli occhi altrui? Sono tutti in segreto emulabili, disprezzati in pubblico ed invidiati nel privato, prostituirsi per avere l’illusione d’esistere.
Proverà noia? Tristezza? Angoscia? Cosa è che penserà Michelle quando si strucca la sera da sola allo specchio? Rifletterà sul concetto di artificio Baudelairiano? A tutti i simulacri di Baudrillard? Scriverà il suo diario intimo? Chissà se la pornografia possiede il lusso d’una intimità. Di notte, quando sola non la vede più nessuno.
O più semplicemente ci ride in faccia per avere evaso il meccanismo di produzione senza essere consapevole di esistere in un meccanismo ben più atroce d’immagine di morte? E come farà il nuovo femminismo a difenderla? Come farà Carlotta se Michelle desidera il patriarcato? Ma soprattutto cosa sente? Se sente di sentire qualcosa.
“Vincenzina e la fabbrica” cantava Jannacci, in una canzone quasi senza testo, dove ripeteva come in un meccanismo alienante: “Non c’è altro che fabbrica”. Invece a noi ci tocca cantare Michelle e OnlyFans. Ci hanno rubato non solo il romanticismo ma pure la disperazione. Chissà se Michelle lo sa cos’è il potere.
Le immagino, le Michelle d’Occidente e d’Oriente, tristi la sera, con le pantofole a forma di animale, con le loro unghie che erano un tempo un po’ volgari, popolane ma persino seducenti e ora sono artigli asettici come le loro fiche mercantili. Cosa pensano quando fanno l’amore? Dietro quelle luci c’è una verità o il buio della morte?
Avranno una smorfia automatica? Un sospiro sopito da quanti like? O come degli esperti montatori la loro sola preoccupazione sarà come allestire il set? E quindi tra le gocce di sudore démodé, in una copula asettica, l’unica cosa che faranno sarà cercare l’inquadratura perfetta in uno smartphone ormai al di là del principio del piacere.
La nostra vita per affermazione o negazione assomiglia alla loro: telefonini pornografici e/o solitudini abissali, il mercato, la dittatura della gioventù, del successo, un po’ di glitter che non fa mai male e tutti, tutto in vendita: pseudo artisti, mâitre à penser, pornoattrici casalinghe. E poi solitudini la sera con il desiderio di ammazzarsi.
Svuotati d’ogni desiderio desideriamo essere desiderati dagli stessi che non desideriamo, egoisti fino al midollo. Immotivati all’esistenza la deleghiamo a dei motivatori. Ma la più atroce verità è questa: nessuno conta più per nessuno, tutti siamo sostituibili, interscambiabili, illusi di risplendere sotto i riflettori di un onanismo collettivo.
Negli occhi di Michelle c’è il vuoto, ma io non riesco a disprezzarla, è il nostro di vuoto ch’è abissale, assoluto. In tv la Parietti le canta che per quanto noi ci crediamo assolti siamo coinvolti. Ma De Andrè e quei manganelli sessantottari la lasciano indifferente, perché lei è al di là del bene e del male. Non è Alba, ma lei, lo Zeitgeist.
Ma cosa penserà Michelle dei suoi clienti? Di chi crepa in una voragine da solo e paga per vederla in un video privato con l’illusione di possederla, e cerca di lenire una solitudine agghiacciante? Che ti chiedono Michelle? Nel case chiuse d’Occidente, cosa è che vogliono da te? E tu, ora che hai vinto l’odore di morte, cosa ti manca?
In un afflato di assurdo Camusiano pensiamo Michelle triste, come Sisifo sa che arriverà l’indomani, che dovrà accendere il cellulare, spogliarsi, inventarsi un nuovo video e sente lentamente quel cancro dell’anima forse anche peggiore del reparto di oncologia dove lavorava.
Ma a noi come Sisifo a Camus, tocca di immaginarci Michelle felice.