Della stupidità intellettuale. Appunti sparsi sull'"Educazione sentimentale" e altro.

Flaubert è uno scrittore feroce. È lo scopritore della idiozia intellettuale contro la quale azionerà in tutta la sua vita artistica una speciale e acre ironia. Ancor prima dei nostri giorni in cui l’idiozia intellettuale ha raggiunto consistenze stratosferiche (nei film, nei libri, nei programmi televisivi), Flaubert aveva previsto già nella propria epoca, nella seconda metà dell’Ottocento, l’insufflarsi nelle menti, attraverso il processo di acculturazione di massa, di dosi massicce di “médiocre“, di “poncif” (dozzinale), di quella idiozia proveniente dalla mezza cultura che il critico americano Dwight Macdonald chiamerà negli anni ’50 in America “Midcult” e che da allora si è diffuso come un blob in tutta l’infosfera.

Contro questo pericolo da egli intravisto, Flaubert, a differenza della sua amica “socialista” George Sand, si oppose, da vecchio mandarino borghese, all’istruzione popolare. Perorava di dare ai poveri il pane ma non l’istruzione. Preconizzava che con l’istruzione i saperi si sarebbero diffusi in ragione aritmetica ma la stupidità dei semicolti, degli acculturati, degli “infarinati” sarebbe cresciuta in ragione geometrica. Sarebbe diventata devastante. Era in lui, questa, un’opinione rocciosa dalla quale mai defletté, e che mise al centro della sua rappresentazione artistica: dagli influssi nefasti della lettura in Emma Bovary e presso quell’idiota scientista di Homais, fino al delirio enciclopedico dei due sublimi idioti Bouvard et Pécuchet (da ora in poi B&P, la sigla è più da idioti). Un suo chiodo fisso. Un aspetto imprescindibile della sua poetica, della sua visione[1].

L’idiozia intellettuale è il frutto avvelenato dell’Illuminismo, l’esito non previsto dell’Enciclopedia di Diderot, del sapere dispensato a tutti. Forse Flaubert esagerava, o forse non sbagliava se avesse assistito come noi all’esplosione dei deliri dei semicolti in tempi di pandemia o al delirio genuino e universale in ogni campo del sapere…

Alcuni esempi oltre quelli noti a molti lettori come i disturbi comportamentali germinati nella testa di Emma Bovary in seguito alle sue eccessive letture, possono essere tratti anche da L’educazione sentimentale (da ora in poi ES). A comprova che nel Nostro tout se tient (tutto è collegato)[2].

In ES c’è questa figurina di Rosanette con la quale il mediocre Frédéric intreccia una relazione non di secondo momento se dà luogo a un parto e alla nascita di un figlio, anche se per sbaglio. Flaubert non è cattivo con questa “lorette” (una donna di facili costumi che passa da un letto all’altro) verso la quale ha accenti delicati in più punti della narrazione, come in seguito li avrà verso la “servante” Félicité di Un cuore semplice. L’artista non se la prende quasi mai con gli umili e i semplici di cuore. Sono bêtè anche loro, certo, stupidi, idioti intrisi di bêtise, ma di un’idiozia quieta, creaturale, naturale come quella delle bestie ruminanti appunto, i bovi (da cui l’artista prende le radici dei cognomi Bovary e Bouvard), non toccati dalla bêtise irredimibile, ovvero l’idiozia superiore, quella sublime, intellettuale.

Certo la sorprende a sbadigliare davanti alle reliquie della Grande Storia durante la gita a Fontainebleu, in cui lo stesso artista si lascia andare, dopotutto, allo scoraggiamento e/o alla malinconia davanti ai fasti transeunti delle Dinastie e delle Corti, alla mestizia sottocutanea del passaggio del tempo e alla diffusa “éternelle misère de tout” (l’eterna miseria di tutto).

F. scrive: «Elle [Rosanette] avait été sensible autrefois, et même, dans une peine de cœur, avait écrit à Béranger pour en obtenir un conseil…». (Rosannette in passato aveva mostrato sensibilità, e anche, soffrendo per amore, aveva scritto a Béranger per ottenere così un consiglio) Avete letto bene: Rosanette che scrive a Béranger, un poeta che Flaubert considerava mediocre per ricevere consigli in affari di cuore! Cercate di immaginare uno scrittore o un personaggio mediocre della ribalta di oggi cui la gente minuta scriva per conforto e ispirazione. Fate voi i nomi (di cui vi prendete la responsabilità della comparazione dileggiante): Veltroni? Gramellini? Signorini? Barbara D’Urso? C’è una sottile parodia in questa scena: è il pop che dialoga col trash. Béranger è un chiodo fisso per F. la sua bestia nera. Da notare che nella Bovary, nel ritratto di Charles, c’è questa annotazione. Charles «s’enthousiasma pour Béranger, sut faire du punch et connut enfin l’amour» (si entusiasmò per Béranger, imparò come fare del punch e conobbe infine l’amore). La successione delle “esperienze” di Charles è da “grottesco triste”, un trattamento stilistico frequente in Flaubert in cui egli mischia l’Alto e il Basso per farli cozzare assieme e vedere l’effetto che fa. L’autore qui dileggia il suo personaggio perché mette in successione esperienze volgari (imparare a fare il punch) e sublimi (la frequentazione della poesia di Béranger e la prima copula).

Flaubert ritornerà spesso, anche in ES e altrove, su questo poeta francese, allora celebre, da lui ritenuto mediocre. In una lettera a L. de Cormenin (7 giu 1844) scriverà «On dirait que nous ne sommes faits que pour supporter une certaine dose de beau; un peu plus nous fatigue. Voilà pourquoi les natures médiocres préfèrent la vue d’un fleuve à celle de l’Océan, et pourquoi il y a tant de gens qui proclament Béranger le premier poète français». (Si direbbe che non siamo fatti che per sopportare una piccola dose di bellezza; qualcosina in più e ci affatichiamo. Ecco perché le nature mediocri preferiscono la vista di una fiume a quella dell’oceano, e perché c’è così tanta gente che proclama Béranger il primo poeta francese). Ma è alla Colet (27 sett 1846) che preciserà il suo pensiero: «Tu voudrais me faire connaître Béranger ; je le désire aussi. C’est une grande nature qui me touche. Mais il y a, je parle de ses oeuvres, un malheur immense, c’est la classe de ses admirateurs. Il y a des génies énormes qui n’ont qu’un défaut, qu’un vice, c’est d’être sentis surtout par les esprits vulgaires, par les coeurs à poésie facile. Béranger, depuis trente ans, défraye les amours d’étudiants et les rêves sensuels des commis voyageurs. Je sais bien que ce n’est [pas] pour eux qu’il écrit ; mais c’est surtout ces gens-là qui le sentent. D’ailleurs on a beau dire, la popularité, qui semble élargir le génie, le vulgarise, parce que le vrai Beau n’est pas pour la masse, surtout en France» (Tu vorresti farmi conoscere Béranger; lo vorrei anch’io. È un grande natura che mi commuove. Ma c’è, e parlo delle sue opere, un malessere immenso, ed è la classe dei suoi ammiratori. Ci sono geni enormi che hanno un solo difetto, un solo vizio, che è quello di essere sentiti soprattutto da menti volgari, da cuori di facile poesia. Per trent’anni, Béranger è stato oggetto di romanzi studenteschi e di sogni sensuali di commessi viaggiatori. So bene che non è per loro che scrive, ma è soprattutto questa gente che lo sente. Inoltre, la popolarità, che sembra elargire il genio, lo volgarizza, perché la vera bellezza non è per le masse, soprattutto in Francia).

La sentenza è definitiva. Il Bello non è fatto per le masse. Flaubert segna il distacco definitivo delle due entità. Da allora sarà così nell’epoca della riproducibilità tecnica. Flaubert segna la data di inizio di un fenomeno che da allora sarà dilagante. È la nascita del “demotico” di cui scriverà Hobsbawm nel Secolo breve. Non è a caso che F. inventerà per il suo Arnoux il titolo della sua rivista L’Art industriel, che riecheggia il titolo del saggio di Sainte-Beuve (del 1839) che per primo aveva segnalato il fenomeno La littérature industrielle, ossia un ossimoro nella sua visione artistica (se è Arte non può essere Industriale), e una forma sottile e sintetica di dileggio così frequente in lui.


[1] Detestava il sentimentalismo facile ma anche l’illusionismo intellettuale. Intendo dire che ci sono DUE forme di bovarismo (“se concevoir autre qu’il n’est“, secondo la formula di de Gaultier) in Flaubert. Un bovarismo sentimentale e uno intellettuale, ma entrambi trovano una fonte di alimentazione nella lettura di libri. Di Emma è noto il rapporto distorcente sulla sua personalità scaturito dalla lettura dei libri. La stessa cosa succede a Rosanette che scrive a Béranger (che evidentemente ha letto) per avere suggerimenti e conforto alle sue affres sentimentali. E d’altra parte cosa faceva l’estremista socialista Sénécal? Leggeva! E come? Ecco la frase di F. «et il cherchait dans les livres de quoi justifier ses rêves» (e cercava nei libri come giustificare i suoi sogni). Puro bovarismo intellettuale! Per entrambi F. nutre in fondo disprezzo intellettuale e comunque questo rapporto distorcente coi libri troverà completamento artistico e apoteosi sinistra nei due lettori compulsivi B&P.

[2] Tout se tient. Flaubert, lo si scorda spesso, è un artista sommo, ma anche uno scrittore “intellettuale”. In ES questo secondo Flaubert è in pieno splendore, e ancor più lo sarà in B&P. Ma man mano che procede in questo itinerario passa dall’esplorazione del cuore (Emma) a quella del cervello e cuore (Frédéric) a quella del cervello solamente (B&P). Escludo il Flaubert orientalista in questa analisi, perché nell’Oriente Flaubert orienta (bisticcio volontario) il sogno e la rêverie. Lì in Oriente non c’è dissidio, tutto è immediato e non mediato, è natura non civiltà, e se è civiltà è civiltà morta, ha il fascino delle cose morte. Alberto Cento [Il realismo documentario dell’Éducation sentimentale] scrive una frase significativa: « A Salammbô concedeva tutto ciò che negava a Emma». Nell’Oriente Flaubert era fuori di sé e dunque non vedeva contraddizioni e insufficienze. Era quando tornava da questo sogno purpureo e gemmato che si sentiva costretto a vivere in un mondo e tra gente che lo stomacavano. Odiava il presente e i suoi abitanti e adorava il passato, l’Oriente e la storia come una forma di stordimento dell’io. Il suo oppio. Da qui molti contrasti e ironie. C’è molta ironia da disagio in lui… l’ironia dell’adattamento dell’ideale nel reale o piuttosto di una caduta rovinosa dell’ideale nel banale quotidiano. Come non amarlo?