È un’insolita e universale avversione quella che riscuotono queste cassette del demonio. Ma verrebbe invece da riflettere più sulla natura profonda del turismo, piuttosto che sulle sue appendici visibili

Gli urbanisti all’avanguardia, la notte, sognano. Come del resto sognano tutti quanti. Sognano i neolaureati architetti, i dottorandi, i paesaggisti, i borsisti del comune, gli iscritti alla società geografica. Nei loro sogni c’è sempre, sembrerebbe, un’aria di utopia, di novità, declinata però a seconda della loro ascendenza politica: se nutrono passioni di destra e amano Le Corbusier la novità urbanistica sarà un elemento di smartificazzione della città, come i lampioni-wifi o i semafori regolabili a seconda del traffico, oppure, se al contrario sono urbanisti di sinistra e hanno scaffali ieni di libri di Eluthèra e Quodlibet, sognano sogni di politiche dal basso, citizen-science, riappropriazione degli spazi da parte di chi li abita (e quindi chi discende dagli stranieri che di quegli stessi spazi se ne sono appropriati in un passato ormai immemorabile).

Più interessanti dei sogni dell’avanguardia urbanistica però, sono gli incubi, anch’essi si differenziati in base alle preferenze politiche: a sinistra sognano, con orrore, termovalorizzatori innestati lungo passanti autostradali che lacerano e separano periferie bucoliche dove nessuno lascia l’erba o pensa ai bambini, terrificanti e scomode panchine scaccia-barboni, piste ciclabile riasfaltate con sadismo per privilegiare il traffico delle macchine, rincari, traffico, turisti, polveri sottili, condoni, desertificazioni, amianto; a destra invece centri città invasi dai cinesi, ztl infinite, città 30 che sfociano oltre le mure, diventando province 30, regioni 30; e ancora autovelox panottici, edilizia popolare selvaggia, normative urbanistiche asfissianti. Ma da qualche tempo, in questi incubi ricorre un elemento in particolare che sembra essere indipendente dalle preferenze politiche. È la keybox, l’insopportabile e oscena scatoletta di metallo che contiene le chiavi degli appartamenti delle città d’arte con tutta probabilità affittati su airbnb, quindi con tutta probabilità ereditati da un nipote laureato in lettere e ormai stufo delle estati in free camping.

È un’insolita e universale avversione quella che riscuotono queste cassette del demonio. L’odio loro riservato ha ovviamente un valore simbolico: ricordano al passante la presenza dei famigerati turisti mordi-e-fuggi, al cui passaggio finesettimanale le tasche di alcuni si riempiono immeritatamente di soldi sudati altrove, mentre la città si svuota di spirito, di unicità, di cittadini e di calamite, per riempirsi invece di pellicole oleose di panini e bicchieri vuoti di spritz da asporto. Perciò sulle cassette di sicurezza finisce per sfogarsi tutta l’insofferenza del rincaro dei prezzi, degli affitti che costano metà degli stipendi, della mancanza di prospettive di vita, dell’insicurezza di un’economia che concepisce solo start-up e monopoli, dell’eco-ansia, della finanza al potere, della benzodiazepizzazione della serenità, e di tutto quegli altri fattori socio-economici che contribuiscono al successo di App come “Uno Bravo”.

L’odio riservato alle keybox, curiosamente però, si alimenta anche di considerazioni di natura estetica. La loro rozza materialità industriale, la loro pelle platicoso-metallica, nel vederle penzolare appese ai portoni secolari dell’Italia comunale, stona. Infastidiscono lo sguardo annoiato delle signore del centro (anch’esse dalla pelle plasticoso-metallica), unica figura mitologica che ancora si rifiuta di cedere alle lusinghe di airbnb, scegliendo, grazie a un’indomita fierezza e una probabile rendita passiva di origine poco elegante, di abitare le parti ormai più scomode e fuori mano delle città.

Ma la demonizzazione delle keybox non è dovuta soltanto al loro aspetto. Nelle idee dell’avanguardia urbanistica tagliare le cassette, letteralmente, staccarle via dai portoni o dai pali antistanti, porterà dei benefici sensibili a tutti i disagi elencati sopra. Airbnb è il demonio, il turismo è il male, e una volta risolto, l’Italia riscoprirà la grinta necessaria per fondere il proprio spirito comunale e artistico e il proprio corpo industriale e produttivo in un sinolo adatto a prosperare nell’era digitale.

Rendere più difficile affittare su airbnb, costringere gli affittuari a recarsi in presenza ad aprire la porta ai loro ospiti storditi dal viaggio e desensibilizzati dal rumore bianco dei trolley sul pavé, dovrebbe in qualche misura invertire la rotta fuori controllo del sovraffollamento desertificato che comporta il turismo di massa.

Ma verrebbe invece da riflettere più sulla natura profonda del turismo, piuttosto che sulle sue appendici visibili. Viene spesso dipinto come un male esterno, il turismo, un malanno che invade un paese consumandone le risorse, favorendo la corruzione comunale e l’omologazione culturale, per l’arricchimento di pochi. Piuttosto, esso andrebbe concepito come un virus opportunista, uno di quei virus che coabitano con l’organismo simbioticamente, ma diventano invece virali e latenti se le difese immunitarie dell’organismo ospite scendono al di sotto di una soglia limite, se il corpo è debole. Il turismo di per sé non è un male, come recita l’adagio che ci ripetiamo ogni volta in testa invece di prestare attenzione alle misure di sicurezza dell’hostess di Ryanair, è il suo essere la risorsa di riferimento di un’economia il dato critico. Come dice Marco D’Eramo in un’intervista al Tascabile “il turismo non è un problema di per sé, ma lo diventa quando c’è solo turismo”. Il problema non è il volere estrarre dai propri immobili ereditati una rendita passiva, e il volerlo fare nel modo più efficiente possibile, per esempio tramite le keybox, senza doversi presentare di persona. Il problema è non avere la possibilità di vivere dignitosamente facendo altro.

Chi si ritrova nella condizione di mettere la propria casa su airbnb abita quel limbo economico in cui languisce la maggior parte della popolazione, ovvero la classe media dei piccoli proprietari il cui privilegio non è autosufficiente. Il boom degli anni ’60 ha creato le condizioni per cui la maggior parte di noi si ritrova qualche piccola proprietà o attività ereditata dai nostri nonni insieme a un mare di debiti collettivi per ripagare le loro baby-pensioni e le politiche scellerate del ventennio berlusconiano. In molti perciò abbiamo, o avremo tra qualche funerale, un bacino di partenza, il quale però senza entrate costanti rischia di dissolversi nel giro di qualche anno. L’obiettivo della pianificazione urbanistica dovrebbe essere quello di rendere le città più vivibili, attrattive per chi vi porta valore, e non per chi lo estrae come i turisti o i nomadi digitali. Rendere la vita più difficile a chi affitta a breve termine, senza smantellare le cause che hanno sistematicamente portato una buona fetta della popolazione a dovervi ricorrere, avrà come conseguenza soltanto di rendere ancora meno produttiva l’unica attività economica che separa molti dal collasso, dal default economico.

Invece di liberare del tempo a chi sceglie di umiliarsi lavorativamente nel settore dell’accoglienza ai turisti, – perché tutti odiano airbnb, soprattutto chi ne deve campare – la risposta arrogante delle amministrazioni comunali, con guizzo urbanistico, è quella di costringerli a faticare inutilmente di più, senza che ciò comporti alcun vantaggio economico per nessuna delle parti coinvolte, una penitenza insomma, perché altrimenti è troppo facile. Invece di avere il coraggio di detassare progressivamente gli affitti a lungo termine, di ostacolare la speculazione edilizia dei palazzinari e dei Caltagirone di turno, pareggiando il bilancio con un proporzionale rincaro delle tasse di quelli a breve termine, fino a che la situazione non raggiunge l’equilibrio sperato, e investire in strategie ad ampio raggio, che non promuovano irrealisticamente delle soluzioni immediate e markettizabili, come il Giubileo o la grande fiera del consumo dell’oggetto ‘x’, ma che creino le condizioni per un lento rifiorire dell’economia locale e specifica, che liberino del tempo per la produzione di valore, la soluzione promossa dai comuni è invece sempre e soltanto quella più populistica e appariscente. Il problema sono le keybox, e gli airbnb, la soluzione è il mega-evento finanziato dal comune ma incassato da terzi, grazie al quale finalmente aprirà la linea di metropolitana che permetterà a chi si è dovuto spostare in periferia di tornare a lavorare in centro, arrotolando panini e preparando gli spritz da asporto per i turisti.

Ciò detto, grande stima invece per chi si muove di notte a segare le cassette via dai centri storici. L’avversione dal punto di vista comunale a chi fa airbnb è ridicola, contraddittoria e propagandistica. La rappresaglia da parte di chi ne subisce le conseguenze è però inevitabile, e legittima.