Estratti del libro di Furio Jesi "Spartakus: simbologia della rivolta" (Bollati Boringhieri 2022). Una città diviene accessibile nella sua totalità, respira come un unico organismo, solo nell'istante della rivolta, quando l'insieme delle lotte quotidiane e individuali si somma in un'unica insurrezione, e l'anima sommersa della città torna in superficie.
di Furio Jesi

In meno di una settimana, la rivolta scelta quale programma dalla maggioranza dei delegati al congresso dello Spartakusbund con il rifiuto a partecipare alle elezioni, era divenuta immediata realtà. Diciamo rivolta e non rivoluzione, in base alla distinzione cui già abbiamo accennato. La parola rivoluzione designa correttamente tutto il complesso di azioni a lunga e a breve scadenza che sono compiute da chi è cosciente di voler mutare nel tempo storico una situazione politica, sociale, economica, ed elabora i propri piani tattici e strategici considerando costantemente nel tempo storico i rapporti di causa e di effetto, nella più lunga prospettiva possibile.

Il 1° gennaio 1919 Rosa Luxemburg aveva precisato: «Ho cercato di dimostrarvi che la rivoluzione del 9 novembre era innanzitutto politica, mentre essa deve ancora divenire essenzialmente una rivoluzione economica. […] La storia rende il nostro compito più difficile di quello delle rivoluzioni borghesi, quando era sufficiente rovesciare il potere centrale e collocare là qualche uomo o qualche decina di uomini nuovi. Dal basso, noi dobbiamo lavorare; e ciò corrisponde esattamente al carattere di massa della nostra rivoluzione, i cui scopi mirano alle fondamenta stesse della struttura sociale… In basso, ove il singolo padrone affronta il suo schiavo salariato; in basso, ove tutti gli organi esecutivi del potere politico di classe affrontano gli oggetti di tale potere, le masse, là noi dobbiamo passo passo strappare a chi li detiene gli strumenti del potere e prenderli nelle nostre mani».

Ogni rivolta si può invece descrivere come una sospensione del tempo storico. La maggior parte di coloro che partecipano a una rivolta scelgono di impegnare la propria individualità in un’azione di cui non sanno né possono prevedere le conseguenze. Al momento dello scontro, solo una ristretta minoranza è cosciente dell’intero disegno strategico in cui tale scontro si colloca (seppure tale disegno esiste) come di una precisa, anche se ipotetica, concatenazione di cause e di effetti. Nello scontro della rivolta si decantano le componenti simboliche dell’ideologia che ha messo in moto la strategia, e solo quelle sono davvero percepite dai combattenti. L ’avversario del momento diviene veramente il nemico, il fucile o il bastone o la catena di bicicletta divengono veramente l’arma, la vittoria del momento – parziale o totale – diviene veramente, di per se stessa, un atto giusto e buono per la difesa della libertà, la difesa della propria classe, l’egemonia della propria classe.

Ogni rivolta è battaglia, ma una battaglia cui si è scelto deliberatamente di partecipare. L’istante della rivolta determina la fulminea autorealizzazione e oggettivazione di sé quale parte di una collettività. La battaglia fra bene e male, fra sopravvivenza e morte, fra riuscita e fallimento, in cui ciascuno ogni giorno è individualmente impegnato, si identifica con la battaglia di tutta la collettività: tutti hanno le medesime armi, tutti affrontano i medesimi ostacoli, il medesimo nemico. Tutti sperimentano l’epifania dei medesimi simboli: lo spazio individuale di ciascuno, dominato dai propri simboli personali, il rifugio dal tempo storico che ciascuno ritrova nella propria simbologia e nella propria mitologia individuali, si ampliano divenendo lo spazio simbolico comune a un’intera collettività, il rifugio dal tempo storico in cui un’intera collettività trova scampo.

Ogni rivolta è circoscritta da precisi confini nel tempo storico e nello spazio storico. Prima di essa e dopo di essa si stendono la terra di nessuno e la durata della vita di ognuno nelle quali si compiono ininterrotte battaglie individuali. Il concetto di rivoluzione permanente rivela – anziché un’interrotta durata della rivolta nel tempo storico – la volontà di potere in ogni momento sospendere il tempo storico per trovare collettivo rifugio nello spazio e nel tempo simbolici della rivolta.

Fino a un istante prima dello scontro o comunque dell’azione programmata con cui inizia la rivolta, il rivoltoso potenziale vive nella sua casa o magari nel suo rifugio, spesso con i suoi familiari; e per quanto quella residenza e quell’ambiente possano essere provvisori, precari, condizionati dalla rivolta imminente, fino a quando la rivolta non principia essi sono la sede di una battaglia individua­le, più o meno solitaria, che continua a essere la stessa dei giorni in cui la rivolta non si preannunciava imminente: la battaglia individuale fra bene e male, fra sopravvivenza e morte, fra riuscita e fallimento. Il sonno prima della rivolta – posto che la rivolta incominci all’alba! – potrà anche essere quieto come quello del principe di Condé, ma non possiede la quiete paradossale dell’istante dello scontro. Nel migliore dei casi, è un’ora di tregua per l’individuo che si è addormentato senza cessare di sentirsi tale.

Si può amare una città, si possono riconoscere le sue case e le sue strade nelle proprie più remote o più care memorie; ma solo nell’ora della rivolta la città è sentita veramente come la propria città: propria, poiché dell’io e al tempo stesso degli «altri»; propria, poiché campo di una battaglia che si è scelta e che la collettività ha scelto; propria, poiché spazio circoscritto in cui il tempo storico è sospeso e in cui ogni atto vale di per se stesso, nelle sue conseguenze assolutamente immediate. Ci si appropria di una città fuggendo o avanzando nell’alternarsi delle cariche, molto più che giocando da bambini per le sue strade o passeggiandovi più tardi con una ragazza. Nell’ora della rivolta non si è più soli nella città.

Ma quando la rivolta è trascorsa, indipendentemente dal suo esito ognuno torna ad essere individuo in una società migliore, peggiore o uguale a quella di prima. Quando è finito lo scontro – si può essere in prigione, o in un nascondiglio, o tranquillamente a casa propria -, ricominciano le individuali battaglie quotidiane. Se il tempo storico non è ulteriormente sospeso in circostanze e per ragioni che possono anche non essere quelle della rivolta, si torna a valutare ogni avvenimento e ogni azione in base alle sue conseguenze certe o presunte.