In meno di una settimana, la rivolta scelta quale programma dalla maggioranza dei delegati al congresso dello Spartakusbund con il rifiuto a partecipare alle elezioni, era divenuta immediata realtà. Diciamo rivolta e non rivoluzione, in base alla distinzione cui già abbiamo accennato. La parola rivoluzione designa correttamente tutto il complesso di azioni a lunga e a breve scadenza che sono compiute da chi è cosciente di voler mutare nel tempo storico una situazione politica, sociale, economica, ed elabora i propri piani tattici e strategici considerando costantemente nel tempo storico i rapporti di causa e di effetto, nella più lunga prospettiva possibile.
Il 1° gennaio 1919 Rosa Luxemburg aveva precisato: «Ho cercato di dimostrarvi che la rivoluzione del 9 novembre era innanzitutto politica, mentre essa deve ancora divenire essenzialmente una rivoluzione economica. […] La storia rende il nostro compito più difficile di quello delle rivoluzioni borghesi, quando era sufficiente rovesciare il potere centrale e collocare là qualche uomo o qualche decina di uomini nuovi. Dal basso, noi dobbiamo lavorare; e ciò corrisponde esattamente al carattere di massa della nostra rivoluzione, i cui scopi mirano alle fondamenta stesse della struttura sociale… In basso, ove il singolo padrone affronta il suo schiavo salariato; in basso, ove tutti gli organi esecutivi del potere politico di classe affrontano gli oggetti di tale potere, le masse, là noi dobbiamo passo passo strappare a chi li detiene gli strumenti del potere e prenderli nelle nostre mani».
Ogni rivolta si può invece descrivere come una sospensione del tempo storico. La maggior parte di coloro che partecipano a una rivolta scelgono di impegnare la propria individualità in un’azione di cui non sanno né possono prevedere le conseguenze. Al momento dello scontro, solo una ristretta minoranza è cosciente dell’intero disegno strategico in cui tale scontro si colloca (seppure tale disegno esiste) come di una precisa, anche se ipotetica, concatenazione di cause e di effetti. Nello scontro della rivolta si decantano le componenti simboliche dell’ideologia che ha messo in moto la strategia, e solo quelle sono davvero percepite dai combattenti. L ’avversario del momento diviene veramente il nemico, il fucile o il bastone o la catena di bicicletta divengono veramente l’arma, la vittoria del momento – parziale o totale – diviene veramente, di per se stessa, un atto giusto e buono per la difesa della libertà, la difesa della propria classe, l’egemonia della propria classe.
Ogni rivolta è battaglia, ma una battaglia cui si è scelto deliberatamente di partecipare. L’istante della rivolta determina la fulminea autorealizzazione e oggettivazione di sé quale parte di una collettività. La battaglia fra bene e male, fra sopravvivenza e morte, fra riuscita e fallimento, in cui ciascuno ogni giorno è individualmente impegnato, si identifica con la battaglia di tutta la collettività: tutti hanno le medesime armi, tutti affrontano i medesimi ostacoli, il medesimo nemico. Tutti sperimentano l’epifania dei medesimi simboli: lo spazio individuale di ciascuno, dominato dai propri simboli personali, il rifugio dal tempo storico che ciascuno ritrova nella propria simbologia e nella propria mitologia individuali, si ampliano divenendo lo spazio simbolico comune a un’intera collettività, il rifugio dal tempo storico in cui un’intera collettività trova scampo.
Ogni rivolta è circoscritta da precisi confini nel tempo storico e nello spazio storico. Prima di essa e dopo di essa si stendono la terra di nessuno e la durata della vita di ognuno nelle quali si compiono ininterrotte battaglie individuali. Il concetto di rivoluzione permanente rivela – anziché un’interrotta durata della rivolta nel tempo storico – la volontà di potere in ogni momento sospendere il tempo storico per trovare collettivo rifugio nello spazio e nel tempo simbolici della rivolta.
Fino a un istante prima dello scontro o comunque dell’azione programmata con cui inizia la rivolta, il rivoltoso potenziale vive nella sua casa o magari nel suo rifugio, spesso con i suoi familiari; e per quanto quella residenza e quell’ambiente possano essere provvisori, precari, condizionati dalla rivolta imminente, fino a quando la rivolta non principia essi sono la sede di una battaglia individuale, più o meno solitaria, che continua a essere la stessa dei giorni in cui la rivolta non si preannunciava imminente: la battaglia individuale fra bene e male, fra sopravvivenza e morte, fra riuscita e fallimento. Il sonno prima della rivolta – posto che la rivolta incominci all’alba! – potrà anche essere quieto come quello del principe di Condé, ma non possiede la quiete paradossale dell’istante dello scontro. Nel migliore dei casi, è un’ora di tregua per l’individuo che si è addormentato senza cessare di sentirsi tale.
Si può amare una città, si possono riconoscere le sue case e le sue strade nelle proprie più remote o più care memorie; ma solo nell’ora della rivolta la città è sentita veramente come la propria città: propria, poiché dell’io e al tempo stesso degli «altri»; propria, poiché campo di una battaglia che si è scelta e che la collettività ha scelto; propria, poiché spazio circoscritto in cui il tempo storico è sospeso e in cui ogni atto vale di per se stesso, nelle sue conseguenze assolutamente immediate. Ci si appropria di una città fuggendo o avanzando nell’alternarsi delle cariche, molto più che giocando da bambini per le sue strade o passeggiandovi più tardi con una ragazza. Nell’ora della rivolta non si è più soli nella città.
Ma quando la rivolta è trascorsa, indipendentemente dal suo esito ognuno torna ad essere individuo in una società migliore, peggiore o uguale a quella di prima. Quando è finito lo scontro – si può essere in prigione, o in un nascondiglio, o tranquillamente a casa propria -, ricominciano le individuali battaglie quotidiane. Se il tempo storico non è ulteriormente sospeso in circostanze e per ragioni che possono anche non essere quelle della rivolta, si torna a valutare ogni avvenimento e ogni azione in base alle sue conseguenze certe o presunte.