L’ultimo romanzo di Ray Banhoff è una palla in fronte, canto funebre di una generazione di trenta/quarantenni che non ha combinato un cazzo nella vita, destinata ad essere cancellata dalla storia. Non ha fatto rivoluzioni, non ha prodotto grandi libri né grande musica, non è stata all’altezza dei suoi sogni. Generazione alle periferie della storia, squallida, indifesa, e perciò magnifica.
VITA DA AUTODIDATTA di Ray Banhoff (NFC Edizioni)

Le recensioni non fanno per me, ma neanche le stroncature, semplicemente, in questo primo pezzo per il Nemico vi parlo di un vero nemico, ovvero Ray Banhoff, e vi dico: raramente ho trovato un libro che ferisce così tanto i trenta/quarantenni in Italia (che sono inspiegabilmente impegnati a farsi i pompini da soli). Ray Banhoff scrive un romanzo fiume, Vita da autodidatta (Nfc edizioni), dove sevizia la generazione x y z e bla bla bla, attraverso il lungo monologo del protagonista, una specie di gigolò perdente, un loser alla Beck anni Novanta, che ci fece una canzone manifesto, ovvero l’idea del perdente che ha cultura, del nullofobico uomo della strada, che ha lo stile fico che non ti aspetti, con le sue scelte culturali estreme, le suo foto squallide tra le case di periferia di provincia, nella stupenda fanzine/newsletter Bengala, che già da tempo gira per il web, ma andiamo al sodo, alla figa o alle puppe come direbbe lui, io che sono siciliano dico allo sticchio, eh si qui al Nemico proponiamo pure dialetti volgari, perché siamo il nemico, mica cazzi, dalla fondina tiriamo fuori la pistola che ferisce i semicolti come il personaggio di questo libro, che si autodefinisce nemico di se stesso, uccideteci pure voi, fateci causa, siamo ignoranti, amorali e suca!

Forse siamo perdenti di successo come Raybanoff, non si sa, saremo adolescenti eterni, come la generazione trenta/quaranta, che ha perso, non è riuscita a migliorare le sue condizioni di vita, non ha fatto nessuna rivolta, non ha cambiato nulla nella musica e nell’arte, ha solo remixato, e chiama tutto questo postmoderno, una generazione di conservatori che non darà mai un futuro migliore a figli e nipoti, per chi li fa i figli, i nipoti etc etc fate voi. Insomma Ray crea questo personaggio anonimo anni Novanta, questo scrittore fallito, sessuomane, claustrofobico, fissato, autistico, intriso di cultura pop e cultura alta, ma anche sveglio, veloce, poetico, profondamente triste, con una scrittura tra Bukowski, Houllebecq e Unabomber, un manifesto politico di Forza Nuova con la fica, forse è lui questo medioman insurrezionalista, forse no, non si sa, non è importate, non ci interessa capirlo, delira Ray, la sua trama si è spezzata, a tratti è poesia, poi diario, poi sociologia, poi satira, in quel di Pistoia, o come la chiama lui Tristoia, e niente il libro sta li come un pezzo di carne sanguinolenta che urla vendetta dalla periferia della bella Italia, non certo di quella brutta o da Scampia, non c’è neanche la trap a redimere, solo rancore spedito come un siluro nello spazio del web, che galleggia su Amazon, come una vera bomba ad orologeria in un supermarket universale, pronta ad esplodere tra le mani di un bambino o di una suora, l’odio per il consumismo, la libertà promessa e poi mancata. Il sesso sempre all’insù, a cazzo dritto, come una barra di condanna a morte in pizzeria, dove il godimento è solo morire, la piccola morte dei francesi, in un’eterna condanna che urla vita-morte, senza redenzione. Un tormento in un’Italia infernale, in una realtà ipersessuata, che crea vere e proprie caste di scapoli e ammogliati, come in un Ugo Fantozzi, però epico e cavalleresco in un atto d’accusa agli intellettuali, allo Stato, alla civiltà che vomita tutto, come il personaggio di Ray che soffre, si tormenta, ma almeno non è un borghese, scava l’anima, il cuore, è un outsider, all’inferno, vuole un amico con cui sognare la rivoluzione machista, far saltare tutto il sistema che lo opprime, e prende sto Oscar mezzo fighetto, mezzo dandy, lo vuole complice-amico, perché siamo soli come cani nel buio, «e scrivere è come una puttana cattiva, ci fa sentire alla deriva» insomma ad Oscar gli rapisce la fidanzata, è a lei a cui vuole sparare una palla in fronte, poi finale a sorpresa. Ma chi se ne fotte della trama, leggetelo! Rimane che Ray Banhoff scrive parole brucianti, triste ammettere di essere un fallito, ma questo permette altissimi gradi di lucidità liberatoria.

È colpa del fatto che non ci hanno insegnato a parlare con i nostri genitori? Chi lo sa, quindi dobbiamo pagare uno che ci ascolta, e ci dice di andare a parlare con i nostri genitori? Non lo sappiamo, non lo sapremo mai, non saremo rivoluzionari ma avremo qualche buona penna, la psicologia è al pari della speculazione online, ti vende sogni di guarigioni impossibili come arricchimenti istantanei. Benedetto Croce diceva che la psicologia era un’americanata. Il guru online ti promette la rinuncia al lavoro, mentre chatGPT fa i soldi per noi, scrolli ed una 15enne balla col culo rifatto di fuori, una generazione con i sogni ai Caraibi siamo, ma le chiappe sul divano, supercazzole viventi, si salvi chi può, Dio o Cthulhu protegga i giocatori di biliardino, il ragù la domenica, la fidanzata per chi ce l’ha, le partite di calcetto, i baretti anonimi, la curva Sud, perché siamo teneri, siamo romantici, che scenda l’oblio sull’Occidente, perché diciamoci la verità, la tv è troppo bella, il cellulare è troppo fico, il gesto infinito, la distrazione eterna, incantati come in un monologo delirante di David Foster Wallace, io non resisto non mene fotte un cazzo di Israele, si fotta l’ambiente, gli animali si estinguano, la crisi, le riforme, non possiamo farci un cazzo.