Intervista a Stefano Vaj, consigliere nazionale dell'Associazione Italiana Transumanisti (AIT), rappresentante dell'ala moderata del transumanesimo. Lontana dagli eccessi dell'accelerazionismo "di destra" o "di sinistra", la posizione di Vaj pensa il progresso dell'uomo strettamente correlato all'integrazione tecnologica.
dialogo tra Vincenzo Profeta, ed il professor Stefano Vaj.

Vincenzo Profeta: Ciao Stefano, cominciamo col dire che questa non è un’intervista ma un dialogo aperto su Google Drive, come una chat, ma presa più sul serio, visto che verrà pubblicata. Ma andiamo al sodo. So che sei un professore di diritto delle nuove tecnologie, e che hai scritto vari libri, ma se cerco Stefano Vaj su Google, viene fuori che sei anche consigliere nazionale dell’Associazione Italiana Transumanisti, come se fossi a capo di un partito. Siete un partito? 

Stefano Vaj: No, l’AIT – a lungo presieduta da Riccardo Campa, di cui oggi è a capo Giulio Prisco, e di cui io sono segretario nazionale e cofondatore – non è di sicuro un partito politico, è un’associazione culturale e metapolitica che ha per oggetto la diffusione e il dibattito delle idee transumaniste in senso ampio, e che si rivolge a tutte le famiglie politiche e filosofiche tradizionali, senza alcuna discriminazione. In questo senso però è un’iniziativa che non si preoccupa solo di “riflettere” sul mondo, ma anche di dare un (piccolo) contributo a cambiarlo. Esistono in diversi paesi veri e propri “Partiti Transumanisti”, ma anche in questo caso si tratta più che altro di iniziative “di bandiera” che mirano più a sfruttare l’occasione delle campagne elettorali per far circolare le proprie idee che a tentare di vincere davvero le elezioni. Allo stesso modo, altri transumanisti hanno addirittura fondato localmente delle “chiese”, malgrado la natura fortemente laica del movimento, magari per sfruttare il particolare regime applicabile nel paese interessato a chi si qualifichi come “confessione religiosa”. 

Ma per quello che riguarda l’AIT la posizione è chiara, e può essere verificata da chiunque sul suo sito

Nella seconda metà del Novecento un’ondata di pensiero anti-scienza e anti-techne, partita dalle vette degli ambienti filosofici, si poi è diffusa a valle diventando mainstream in quasi tutti gli spazi della cultura, del costume e dell’espressione estetica. Il nostro obiettivo è far incrociare filoni culturali diversi, analitici / continentali, illuministi / romantici, destra / sinistra, sui temi cruciali della bioetica, della biopolitica, del postumano e del senso del futuro, per ridare quota a una visione prometeica, positiva, visionaria, forte della Tecnica.

Le idee che sosteniamo sono scritte nel nostro sito e nelle nostre pubblicazioni, come Divenire. Ci rivolgiamo a chi sente entusiasmo per questo progetto e condivide i valori espressi dalla Carta dei Principi . Siamo aperti a tutti (senza distinzione di nazionalità, sesso, età, livello di istruzione, condizioni sociali, orientamento sessuale, politico o religioso e quant’altro vi venga in mente… ), ma alcune cose devono essere chiare:

1) Sia in ragione delle proprie norme statutarie, che per la fortissima l’eterogeneità politica interna, l’AIT non è e non può diventare un partito politico. Perciò tutti i tentativi di incasellare l’associazione a partire dall’uno o dall’altro dei suoi membri, noiosamente ricorrenti e comicamente contraddittori, sono svuotati da questo dato.

2) Amiamo la scienza e la libertà. Non abbiamo ossessioni di correttezza politica, non ci piacciono le personalità dogmatiche, autoritarie, perbeniste o con scarsa articolazione e flessibilità mentale: il transumanismo è innanzitutto una filosofia libertaria di ampio respiro.

3) Il transumanismo non è tecnofilia modaiola o ricerca ossessiva dell’ultimo gadget hi-tech, e tantomeno apologia del conformismo estetico o del bisogno di normalità: è sfondamento del limite, immaginazione di nuovi corpi.

Quindi attenzione! Forse sei transumanista senza saperlo (prova il nostro test) ma: se sei ossessionato dalla rispettabilità (secondo i criteri del tuo villaggio o del conformismo diffuso), se cerchi purezza ideologica e temi contaminazioni, se devi ribadire continuamente i tuoi dogmi politico-economici, se non ti interessano i dibattiti di idee … forse questo non è il posto per te“.

(V.P.) Tu ti occupi (anche) di ciò che che viene oggi definito “etica”, per esattezza di bioetica e biopolitica, mi spieghi cosa intendi per biopolitica?

(S.V.) Quanto alla “biopolitica”, si tratta della materia che esamina le scelte che coinvolgono in profondità la nostra natura, e quella dell’ambiente in cui viviamo. Alla questione ho dedicato quasi vent’anni fa un libro, Biopolitica. Il nuovo paradigma, che resta disponibile sulle principali piattaforme, è stato tradotto in inglese, e che oggi può anche  essere scaricato o letto gratuitamente all’indirizzo http://www.biopolitica.it

(V.P.) La cosa ha a che fare con il transumanismo “wet“? Di cosa si tratta, esattamente?

(S.V.) Il transumanismo “wet” è proprio quello che si occupa soprattutto degli aspetti “biologici” delle tecnologie di rilevanza transumanista: biotecnologie, ingegneria genetica, diagnosi prenatale e tecnologie retrogenetiche, crionica, longevismo, anti-aging, farmaci nootropici, etc. Si contrappone – ma solo a livello di classificazioni, beninteso non a livello ideologico – al transumanismo “hard“, che invece si interessa di tutte le questioni che hanno a che fare con informatica, telematica, intelligenza artificiale, robotica, esplorazione ed espansione spaziale, e potenziamento del corpo umano con mezzi non-biologici.

(V.P.) Che ne pensi di tutto il tecnoscetticismo? Insomma è tutto un prendere di mira il transumanesimo, sia nella sinistra tradizionalista e anarcoide che nella destra conservatrice. Insomma, ci volete davvero tutti automi controllati da intelligenze artificiali

(S.V.) Alle maledizioni “verdi”, anarcoidi, della destra conservatrice (ma anche di quella che si vuole “sociale” e “moderna”, vedi i convegni contro il transumanismo organizzati dall’ambiente di Alemanno…), della sinistra riciclatasi intorno ai diritti dell’uomo e alla decrescita, del complottismo più caricaturale, etc., si aggiungono sfortunatamente persino voci di quel che resta del dissenso populista in Italia, cui pure, politicamente, sarei per il resto più vicino che ad altro, ma pazienza. L’anti-transumanismo, dopo essere stato un argomento ristretto a pochi intellettuali, soprattutto cattolici, ma anche come Fukuyama o Habermas, è diventato un tema diffuso, che non impegna e va su tutto, buono per ogni stagione, su cui molti si sono scritti il proprio libro, senza troppi riguardi per la realtà, al punto che abbiamo postato al riguardo una piccola satira, intitolata “Il Complotto Transumanista. Il piano dell’opera“. Eppure, come dicevo, non solo i transumanisti vengono più o meno da tutte le provenienze politiche, ma sono facilmente in grado di puntare il dito su “mostri sacri” dei rispettivi ambienti, o passi delle rispettive “sacre scritture”, che suggerivano, specie nella prima metà del novecento, posizioni molto meno negative, se non apertamente entusiaste, riguardo gli sviluppi tecnoscientifici e la prospettiva che l’uomo possa “prendere in mano”, ad un livello senza precedenti, la propria evoluzione, non solo culturale e sociopolitica ma anche e propriamente antropologica. Questo infatti è quello che spesso facciamo, sforzandoci di parlare il linguaggio dell’interlocutore, non tanto o non solo per “convertirlo”, ma per spingerlo a porsi delle domande e rendere più meditate le sue scelte. Laddove oggi, per esempio, quasi tutti i nostri oppositori danno per scontato che la prospettiva ad esempio di una trasformazione postumana debba far orrore a tutte le persone normali, ma raramente si guardano dal chiarire, anche a se stessi, perché mai dovrebbe essere così. Davvero per esempio ad un Homo erectus avrebbe dovuto far orrore la trasformazione in Homo sapiens? Io penso di no, e con me lo pensano una serie di autori, correnti, movimenti, espressioni artistiche, ricerche che affondano le proprie radici nella storia vicina e lontana, e che in parte descrivo in I sentieri della tecnica. Spirito faustiano, transumanismo, futurismo.

(V.P.) In uno dei tuoi scritti sostieni che non è detto che le macchine o le intelligenze artificiali possano mettersi in competizione con noi in senso darwiniano, mi dici perchè secondo te potrebbe non andare come la fantascienza immagina da anni?

(S.V.) Negli ultimi anni in effetti ho cominciato ad occuparmi di più degli aspetti inerenti all’impatto ed alle prospettive delle tecnologie informatiche e robotiche, e in coincidenza con il boom dei large language model come ChatGPT ho pubblicato un breve libretto, Artificialità intelligenti. Chi ha paura delle IA e perché, in cui cerco di rispondere in modo chiaro e succinto ai timori per esempio di chi teme di essere infilato in un bozzolo come in Matrix o inseguito per strada da un Terminator armato di fucile come nell’omonima serie televisiva e cinematografica. Non che sia poi un timore così diffuso: se la “morale ufficiale” del 90% della fantascienza è di solito tecnofoba, la stragrande maggioranza dei suoi fan è invece entusiasta di possibili sviluppi futuri che sono stati promessi per decenni e che solo oggi cominciano timidamente ad emergere, e la legge per sentirne parlare. E in realtà tutti noi abbiamo comunque una probabilità infinitamente più alta di finire male per malattie, incidenti, aggressioni umane, o banalmente per… vecchiaia, che subire la concorrenza di una IA che per definizione non è certo in competizione con noi per cibo, territorio, partner sessuali o altro. Ma la grancassa della “minaccia per la razza umana” viene suonata – oltre appunto per il pregiudizio morale contrario a qualsiasi (ulteriore) trasformazione della Umanità 2024, versione per alcuni già finale e perfetta… – da chi in realtà ha interessi precisi a prevenire e controllare gli sviluppi della tecnologia in questione. Di chi si tratta? Sul lato commerciale/corporativo abbiamo innanzitutto l’oligopolio GAFAM (Google, Apple, Facebook, Microsoft), in primissima linea a chiedere “regolamentazioni” impossibili da affrontare per società più piccole o peggio per startup indipendenti. Sul lato politico ed internazionale, soprattutto le cancellerie occidentali, a loro volta impegnate a prevenire, con embarghi tecnologici, sanzioni, addirittura interruzioni di programmi di ricerca condivisi, che si moltiplichino i soggetti con accesso a sistemi la cui importanza decisiva, più ancora che militare, è economica e culturale (per esempio, per ciò che riguarda il controllo della narrazione mediatica su scala globale). In altri termini: è certamente possibile sviluppare una intelligenza artificiale che si comporti in modo “umano”, nel senso di avere analoghe ambizioni. Ma, oltre al fatto che la cosa dovrebbe essere deliberata, perché nessun grado di intelligenza genera automaticamente motivazioni simili a quelle create dalla nostra storia evolutiva, una IA di questo tipo in sostanza non avrebbe nulla di diverso, né in bene, né in male, da un sistema di pari potenza … con un essere umano alla tastiera.

(V.P.) Sì ma, insomma, molto spesso l’uomo ha usato ed usa la tecnica, per uccidere, schiavizzare, umiliare, annichilire, controllare; mi dici la ragione per vederla in maniera positiva?

(S.V.) Naturalmente. In questo, le tecnologie transumaniste non fanno nessuna differenza rispetto all’osso usato come clava dall’ominide ancestrale nel prologo al film 2001 Odissea nello spazio. Anzi, un rischio particolarmente preoccupante dal punto di vista transumanista è che come nel Brave New World di Huxley la tecnologia venga monopolizzata ed usata… dagli avversari della tecnologia stessa, o almeno del suo (ulteriore) sviluppo e diffusione. Anzi, al di là delle fantasie relative a ritorni a modi di vita stile Amish (fantasie incompatibili per esempio con la sopravvivenza della maggior parte della popolazione attuale), questo è un esito pressoché scontato delle idee anti-transumaniste. Per paradosso, è stato notato che l’unico modo per prevenire davvero ulteriori sviluppi su intelligenze artificiali, interfacce neurali, etc., non importa che siano creati da un gruppo di hacker in una cantina o da un centro ricerche in uno “stato-canaglia”, sarebbe creare un governo poliziesco mondiale che impianti a tutti un chip nel cervello, così che una gigantesca intelligenza artificiale centralizzata possa controllare ed evitare in tempo reale che qualcuno agisca in tale direzione. E’ ovvio che ciò realizzerebbe esattamente ciò che ci viene rappresentato come il pericolo da evitare. Ma la cosa sarebbe di scarsa consolazione per chi sarebbe costretto a vivere in un mondo distopico di questo genere, senza neppure l’opportunità di scappare altrove.

(V.P.) Sì, ma quale sarebbe l’etica da adottare, l’Homo erectus non aveva il controllo sulla propria evoluzione diciamo, insomma, dove ci dovremmo fermare se mai lo avessimo, se non viene il meteorite, o l’apocalisse? Perché concorderai con me che può succedere di tutto, chi decide che questa cosa che i transumanisti dicono sia inevitabile evoluzione, sia realmente evoluzione? E realmente inevitabile?

(S.V.) Per citare un cliché tratto da un noto fumetto, “da grandi poteri discendono grandi responsabilità”. Ora, beninteso esistono persone ed autori che si definiscono transumanisti che hanno una visione oggettivista e relativamente convenzionale dell’etica, ma personalmente parto da un principio che è innegabilmente ed assolutamente centrale nella mentalità dell’ambiente, che è quello della autodeterminazione. Questo concetto implica anche che comunità umane (o postumane) diverse possano continuare, come è sempre successo nella storia, ad aderire a sistemi di valori diversi, di propria scelta, e in divenire. E la cosa implica che l’evoluzione – che in termini scientifici significa semplicemente trasformazione, e non implica nessun giudizio sulla desiderabilità della sua direzione – possa prendere direzioni diverse e multiple, tanto più in quanto sia destinata sempre più ad essere diretta da preferenze esplicite degli interessati. Ora, questo non significa affatto essere a livello personale e politico indifferenti agli esiti delle relative scelte. Per esempio, parlando del famoso episodio americano in cui dei genitori nati-sordi hanno chiesto esplicitamente di selezionare tra i loro embrioni quelli con la stessa caratteristica, in quanto suppostamente necessaria per integrarsi appieno nella comunità dei nati-sordi e prima ancora nella loro famiglia, io sono assolutamente contrario al punto di vista che considera un “potenziamento” quella che per me invece è una menomazione, e che propongo sia considerata come tale almeno all’interno della società in cui vivo. Ma quello che sarà inevitabile è appunto che chi per esempio osteggia l’uso della tecnologia in una direzione piuttosto che in un’altra debba convincere chi gli sta vicino che è meglio, che so, avere le ali anziché le branchie. Perché la possibilità di avere le une o le altre ci sarà, rendendo letteralmente veri anche i miti relativi ad esseri chimerici, etc.

(V.P.) Va bene non credi ad esoterismi, religioni, leggende, ma voi stessi esaltate il mito prometeico, a quello ci credete da bravi cyberpagani?

(S.V.) Vediamo. Per me il mito è “l’immagine che un popolo e una cultura si danno del suo passato e delle sue origini in funzione dell’avvenire che vuole crearsi”. In questo senso, constato – non “credo” -, che i miti esistono, e sono persuaso che continueranno positivamente ad esistere e plasmare la nostra storia. Ho semmai una personale ostilità verso le religioni monoteiste, che trovo connotate da un lato dal dualismo, ovvero l’idea che la natura e il mondo non sarebbero parole per indicare tutto ciò che esiste, ma bensì esisterebbe una dimensione “metafisica”, in ultima analisi più importante della realtà in cui viviamo, e decisiva; dall’altro da una confusione tra mondo mitico e mondo empirico, che appunto richiede una “fede” nella verità empirica di certi fatti storici, narrazioni, miracoli, fenomeni soprannaturali, etc., – laddove invece la distinzione era chiarissima per esempio ad un greco dell’età di Pericle, come spiega bene per esempio Paul Veyne in I greci hanno creduto ai loro miti?, in una prospettiva in cui la superstizione certamente esisteva, ma nessuno si aspettava di incontrare Apollo in carne ed ossa al mercato, o si chiedeva quanti anni prima, e dove esattamente, Prometeo avesse donato il fuoco agli uomini. Questi due punti, e parlo qui a titolo personale, ma anche sulla falsariga di posizioni condivise da molti nel campo transumanista, hanno creato da un lato oscurantismo anti-scienza, dall’altro diffidenza e rifiuto nei confronti della tecnica, in quanto usurpazione di “poteri” riservati ad una divinità extra-mondana e destinati ad alterare la sua “perfetta” creazione data una volta per tutte.

(V.P.) Che ne pensi del fatto che una branca del satanismo, è letteralmente tecno-entusiasta, infatti esiste il cyber-satanismo, per voi è indifferente? Siete laici e basta? Perché, come dici tu stesso, i movimenti transumanisti hanno in altre nazioni connotati, massonici, religiosi, ed anche satanici ed esoterici, tipo i raeliani, siete sicuri che anche voi non fate strani riti?

(S.V.) Il transumanismo in effetti non è una “chiesa”, nel senso in cui lo è quella per antonomasia, ovvero la chiesa cattolica, con dogmi, gerarchie, confini precisi, portavoce, ortodossie, etc. Nessuno detiene un “marchio di fabbrica” e può ragionevolmente impedire a chiunque lo voglia di usare la parola per autodefinirsi – benché ci sia qualcuno che tenti assurdamente di farlo, perché l’intolleranza e l’allergia al pluralismo e il bisogno di “paletti” sono purtroppo ben radicati nella cultura occidentale e molti hanno difficoltà a liberarsene anche una volta che pensano di essere diventati completamente “laici”. Io in tutti coloro che rivendicano tale appartenenza – tra cui, come in tutti i movimenti relativamente nuovi, rivoluzionari, e minoritari, i lunatici sono certamente sovrarappresentati, come era appunto il caso del cristianesimo dei primi secoli – cerco soprattutto di cogliere gli elementi in comune. Sulla base di questi, è poi naturale e fisiologico che venga aperto un dibattito in cui venga misurata la coerenza di certe varianti rispetto a principi pacificamente condivisi. Per esempio, se uno è letteralmente cybersatanista, e non solo come “provocazione letteraria”, è quasi ovvio fargli notare che sebbene si atteggi ad anticristiano, e se anche sceglie di tenere per l'”altra squadra”, in realtà accetta in blocco l’universo e la narrazione biblica, come potrebbe fare qualcuno che odiasse ciò che rappresentano l’Uomo Ragno o i Fantastici Quattro ma credesse che il mondo corrisponda veramente all’universo della Marvel. Similmente, rispetto a certe forme di transumanismo “moderato” e “umanista” che cercano di gettare ponti verso il mainstream e di rendersi accettabili agli occhi degli avversari, è altrettanto facile far loro notare che per una vaga tecnofilia che d’altronde rifiuta l’idea di una trasformazione postumana, il termine transumanismo è inappropriato e inutilmente confusionario, perché la parola stessa suggerisce un transito, una trasformazione, di cui l’umano è il punto di partenza e il punto di arrivo è per definizione qualcosa di successivo e diverso; così che qualsiasi vero transumanismo non può che essere postumanista. Altra questione infine è quella di coloro cui viene affibbiato il termine da ludditi e bioconservatori, ma che non si considerano affatto transumanisti loro, e che ben pochi dei transumanisti considerano “dei nostri”, come Klaus Schwab o Yuval Noah Harari.

(V.P.) Da quello che scrivi, Klaus Schwab, tanto temuto da complottisti, tecnoscettici ed antisistema vari, sarebbe un vostro nemico, o meglio esiste un sistema anti-transumanista?

(S.V.) L’unica cosa positiva che si può dire di Schwab e del giro di Davos è che non si cullano nel sogno di un ritorno alle capanne, né ritengono che la punizione divina sia presto destinata ad abbattersi sull’uomo per aver profanato i limiti ad esso imposti da Dio o dalla natura. Ciò detto, siamo nell’ambito di posizioni che vedono le trasformazioni tecnologiche in corso come qualcosa da limitarecontrollare ed usare per rafforzare un potere universale opposto all’autodeterminazione individuale e soprattutto collettiva, quella per intenderci che appartiene a comunità popolari effettivamente sovrane. Ciò in particolare proseguendo in un’opera di ristrutturazione ed omologazione planetaria che riduca i rischi di “destabilizzazione”, ivi compresi quelli che la diffusione sociale ed internazionale di ulteriori sviluppi tecnologici – oltre che ovviamente culturali, economici, politici, demografici, etc. – potrebbe comportare. Questo tipo di “gattopardismo tecnologico” (“bisogna che tutto cambi perché nulla cambi”) è essenzialmente il contrario di ciò che viene ritenuto desiderabile dal transumanista medio, poco importa la sua formazione ideologica o le sue inclinazioni personali. Nel caso di Harari, come di molti intellettuali, questa posizione si accompagna ad un certo pessimismo e preoccupazione, vedi ad esempio la sua posizione sul rischio che un large language model possa scrivere sacre scritture più persuasive della Bibbia (!). La cosa genera due equivoci simmetrici: il primo, quello alimentato soprattutto da complottisti di vario tipo, che estrapola delle previsioni che lui in effetti presenta come denunce e preoccupazioni come se fossero parte invece dei suoi auspici e programmi; il secondo, quello che le previsioni stesse corrispondano in effetti ad un qualche desiderio o progetto transumanista.

(V.P.) Che ne dici dei continui proclami ad effetto sulle IA che raggiungono e superano l’uomo, di aziende del Web tipo Google e giganti vari della Silicon Valley? Sono speculazioni intellettuali e finanziarie, sono una bolla, avremo mai un HAL 9000 che si suiciderà?

(S.V.) Dico che i proclami dell’aprile 2024 di OpenAI e di Meta che ChatGPT-5 e Llama 3 che saranno capaci di “ragionamento umano” sono puro hype, anche perché nessuno ha ancora definito esattamente in cosa consista tale “ragionamento”, e pure un pallottoliere per alcune operazioni è già superiore a qualsiasi essere umano. Di cosa significhi davvero “intelligenza”, e se e come possa prodursi e/o essere esibita da macchine o animali non umani o ipotetici alieni, tratto lungamente nella seconda parte del mio libro già citato, Artificialità intelligenti, e non posso ripetere tutta la relativa illustrazione qui. Per cui, tali dichiarazioni, più che avere un significato concreto, sono formule di marketing con un occhio al listino di borsa ed alla percezione dei consumatori su quanto sia cool la società che le rilascia. Ma sono dichiarazioni significative, perché se neppure i membri dell’oligopolio GAFAM riescono a trattenersi dal promettere nuovi sviluppi, dopo tutte le richieste di “moratoria” e sospensione delle ricerche, la cosa varrà il doppio per chi, come Elon Musk o il mondo dell’Open Source, non fanno parte di tale giro. E naturalmente dieci volte per la Cina, che delle “regolamentazioni” e delle cautele della zona UE comprensibilmente se ne sbatte.

(V.P.) Un po’ di gossip transumanista, che ne pensi dei diritti lgbt, della possibilità di cambiare genere sessuale etc, siete a favore?

(S.V.) Le battute sul prefisso “trans-” sono un Leitmotiv degli anti-transumanisti viscerali. In realtà, esiste certamente una parte degli ideologi LGBTQA+, legata magari a prospettive appunto ecologiste o neo-primitiviste o liberal, che aborre la tecnologia e l’idea di una trasformazione postumana. Per contro, esiste almeno un singolo esponente transessuale del movimento transumanista internazionale, ovvero Martine Rothblatt. D’altronde, le questioni gender, come sottolinea proprio chi agita la relativa questione, sono puramente culturali. La questione dell’orientamento sessuale, che si pone da sempre e continuerà presumibilmente a farlo sino a che resteremo una specie biologica e sessuata, nuovamente è irrilevante rispetto alle tematiche transumaniste. Restano le procedure di cambiamento di sesso, che in questo momento dal mio punto di vista risultano più che rudimentali e comportano di regola una perdita della capacità riproduttiva ed orgasmica delle persone coinvolte nonché altri effetti collaterali indesiderabili. Mentre di sicuro non auspico un proibizionismo al riguardo – salvo quanto per esempio possa riguardare la tutela dei minori o di chi non sia in grado di dare un consenso da adulto informato… – anche nella migliore delle ipotesi per me si tratterebbe comunque di cambiamenti puramente “orizzontali”, e che perciò a mio personale avviso non comportano in termini transumanisti nessun particolare interesse. Ma oggi, se non consideriamo un “trapianto di testa” che non è più così completamente al di fuori delle possibilità della chirurgia moderna, parliamo essenzialmente di mutilazioni sessuali. E qui è buffo come sia tradizionalisti che progressisti non paiono cogliere la somiglianza che intercorre tra le operazioni di “cambio di sesso” e pratiche tradizionali, regolarmente a suo tempo presentate come cose “nell’interesse degli interessati”, come la castrazione dei fanciulli per fornire cantanti lirici ai papi o guardiani di harem ai sultani; o la escissione femminile nello Yemen e in Sudan, ma anche nell’Africa nera; per finire con l’asportazione totale di genitali e mammelle da parte della setta russa ottocentesca degli skopzi onde “assomigliare al corpo mistico di Gesù Cristo”.

(V.P.) Che ne pensi della teoria della singolarità di Ray Kurzweil, e del suo principio di superamento della morte e della vecchiaia, sono cose realistiche? La singolarità non contrasta con la vostra teoria dell’autodeterminazione?

(S.V.) Vediamo. La “singolarità tecnologica” è un termine inventato da Vernor Vinge, uno scrittore americano appena scomparso, e fa riferimento, in analogia alle singolarità cosmologiche in cui “crollano” le equazioni della fisica contemporanea, ad un punto nel futuro in cui i nostri strumenti predittivi cessano di funzionare e danno soluzioni assurde. Alcuni, tra cui io, non vedono tale singolarità come un momento dato destinato a prodursi una volta per tutte, sulla falsariga del giudizio universale cristiano o dell’avvento del comunismo realizzato, ma un punto che si sposta nel tempo, una sorta di orizzonte verso cui cammini, ma che per definizione è destinato a spostarsi costantemente in avanti. Altri, come Kurzweil, hanno una visione più “escatologica” della cosa, e la identificano come il momento in cui l’intelligenza artificiale supererà quella di tutte le intelligenze umane combinate, consentendo così un’accelerazione esponenziale dei progressi tecno-scientifici. Un’altra differenza tra me e Kurzweil è che lui pensa che tale processo sia nel bene e nel male ineludibile – e in questo senso, sì, restituisce un determinismo storico che risulta in contrasto con l’idea che l’avvenire non è scritto da nessuna parte, e che l’uomo resta libero di fronte ad esso. Cosa, tra l’altro, che renderebbe in sostanza inutile la lotta per realizzare un futuro già scontato – anche qui, come è stato notato anche per cristianesimo e comunismo, con effetti indubbiamente “smobilitanti” per i relativi simpatizzanti. Rispetto a questo, la mia obiezione è che se anche fosse vero che gli sviluppi che personalmente riteniamo desiderabili sono destinati a prodursi comunque, lottare per provocarli di sicuro male non fa; e se per caso, come invece penso io, non sono affatto assicurati, agire per promuoverli diventa cruciale. Nella storia sono stati certamente più i periodi di stagnazione e regresso dei periodi di progresso tumultuoso, cfr. ad esempio la “falsa partenza” verificatasi alla fine dell’antichità e descritta in La rivoluzione dimenticata di Lucio Russo. Ma pensiamo a come la NASA in un paio di generazioni abbia perso la tecnologia non per portare l’uomo sulla Luna, ma anche solo sulla Stazione Spaziale Internazionale, come ben nota Giulio Prisco in Meditazioni futuriste sul volo spaziale.

(V.P.) Tornando alla speculazione finanziaria, ed alla bolla di cui molte multinazionali stanno approfittando, pochi anni fa Zuckerberg ha lanciato Meta, promettendo visori, manopole, un’intera realtà virtuale, ma è cambiato solo il nome ed il simbolo della sua azienda, qualche possibilità di mettere un abbraccino, nuovi social, ma non mi pare ci sia stato questo grande balzo nella realtà virtuale, tu sostieni ci sia stato un balzo verso la realtà aumentata? Io non lo vedo neanche lì il balzo, mi faresti un esempio pratico che non sia la rete e lo smatphone di come la realtà aumentata incida nel quotidiano?

(S.V.) Meta ha puntato paradossalmente su un ripescaggio di un modello che era stato “ucciso” anche, se non proprio, da Facebook, quello di Second Life. Ora, mentre il mondo del virtuale è prezioso, in termini di comunicazione, educazione, gioco, addestramento (si pensi ai simulatori di volo), etc., esiste anche un rischio secondo me che il virtuale prenda il posto di progressi, esperienze ed imprese reali nel mondo reale. Come notava già molti anni fa Guillaume Faye, alla fine del secolo il cittadino occidentale ha visto un progresso incredibile delle astronavi… nei videogame, nei film e nelle serie televisive. E intanto che la vera tecnologia aerospaziale concretamente accessibile era stagnante o in regressione (si pensi al ritiro dei Concorde, che ancora oggi non sono stati sostituiti da nessun altro supersonico civile: possiamo incontrare qualcuno che sta New York in videoconferenza, ma se vogliamo incontrarci di persona abbiamo bisogno del doppio del tempo che era necessario negli anni ottanta…). E la gente comincia ad accorgersi di ciò. Per cui, questo clamoroso errore di strategia di Meta – che è venuto ad aggravare il declino delle sue piattaforme dovuto anche ad una censura e a “regole della comunità” sempre più stringenti, cui d’altronde è corrisposto la loro esclusione da numerosi paesi fuori dal sistema occidentale – aveva provocato un notevole appannamento delle prospettive dell’azienda, cui l’avvento dell’intelligenza artificiale rischiava di dare il colpo di grazia. Nello sforzo di restare rilevante, Zuckerberg ha reagito mettendo in Open Source la sua tecnologia IA, ovvero Llama; cosa per cui si è stato trattato da pazzo e da irresponsabile dal Senato americano. Ma ormai naturalmente i buoi sono (utilmente) fuori dalla stalla.

Per la realtà virtuale/aumentata davvero “utile”, mi pare che la leadership l’abbia presa Apple. Ma in sostanza già il navigatore stradale, che tutti abbiamo sul cellulare e che sarà prossimamente proiettato sul parabrezza dell’auto, è un programma di realtà aumentata che funziona anche senza bisogno di ricorrere ad un visore. Come per esempio la funzione che oggi sul mio cellulare Samsung mi permette di ottenere una traduzione simultanea di chi mi telefoni in una lingua che non conosco.

(V.P.) Secondo te mezzi come Internet e lo smartphone hanno migliorato la società? Non ti sembra che stiamo regredendo, piuttosto che potenziare fisico e mente? 

(S.V.) L’esempio qui sono i… druidi. Non è che i druidi non conoscessero la scrittura, la disprezzavano, specie per tutto ciò che non fosse la lista della spesa, e soprattutto paventavano – a ragione – che l’abitudine ad utilizzarla indebolisse la memoria, che era del resto anche il principale strumento professionale di bardi e aedi. Risultato? Abbiamo l’Iliade e l’Odissea, tra l’altro in versioni ragionevolmente poco rimaneggiate, perché Pisistrato le ha fatte trascrivere. I misteri dei druidi? Beh, come dice la parola restano invece un mistero, perché la relativa tradizione orale si è spezzata, e ben poco può essere ricostruito al riguardo. D’altronde, questo è applicabile assolutamente a tutto. Per esempio, la bicicletta è uno strumento che rende più efficienti i nostri spostamenti a scapito della nostra resistenza e velocità nella corsa. Il taglio cesareo consente di riprodursi a donne che potrebbero diversamente soccombere con la loro prole, e che possono trasmettere tale difficoltà alla prole stessa. Gli antibiotici fanno sì che avere un sistema immunitario efficientissimo diventi meno importante. E così via. Che fare, allora? Tornare sulle piante? 

In Biopolitica. Il nuovo paradigma noto che quel tipo di eugenetica che vorrebbe puntare sul “lasciar fare alla selezione naturale” è fuorviante. Più precisamente scrivo:

Il ricorso ad una ‘selezione naturale’, che nel caso della nostra specie appare del tutto mitica, rischia così di essere semplicemente funzionale alla creazione di popolazioni analoghe a quelle che la natura provvede in effetti a “selezionare” per i ratti, le erbacce o gli sciacalli. Un’adeguata risposta alla minaccia disgenica difficilmente potrebbe essere fatta consistere in una scelta implicita a favore di una popolazione di taglia medio-piccola, afflitta e sfigurata da carenze alimentari, malattie debilitanti e parassiti, mediocre nelle sue prestazioni psicofisiche ma capace di nutrirsi di immondizia, resistere in mezzo ad un letamaio ed infestare qualsiasi ambiente, aggressiva ma vigliacca, indiscriminatamente promiscua e stolidamente pigra, dalla socialità indebolita al limite del cannibalismo, con una vita media brevissima – scenario questo in cui pure un’ipotetica selezione ‘naturale’ umana, magari post-atomica, si esprimerebbe al meglio. Per esempio, pestilenze endemiche o innalzati livelli di inquinamento chimico, radioattivo o biologico – sempre naturalmente che fossero almeno marginalmente compatibili con la sopravvivenza della specie – accentuerebbero certo la resistenza media dei sopravvissuti a tali fattori, ma difficilmente potrebbero essere considerati come un fattore di miglioramento della salute della popolazione coinvolta.

D’altronde, quando secondo le concezioni oggi dominanti non è possibile salvare capre e cavoli, la risposta transumanista è esattamente rompere il relativo paradigma ed esigere entrambi. Nella prospettiva da me proposta nel libro citato, perciò, 

L’alternativa non è perciò tra una selezione ‘naturale’ – che sarebbe comunque… artificialmente mantenuta – da un lato, e l’abolizione dei fattori selettivi dall’altro; ma tra una programmazione cosciente e deliberata delle caratteristiche (anche) genetiche della popolazione di riferimento, e la determinazione di tali caratteristiche da parte di fattori deliberatamente incontrollati o randomizzati o comunque sottratti ad una scelta umana e politica (il mercato, gli “effetti collaterali del progresso”, la volontà divina, l’imperativo morale di un umanitarismo indiscriminato a favore dei membri di certe fasce sociali ed etniche dei paesi occidentali…)

(V.P.) Altra cosa, molto probabilmente voi transumanisti, siete dei romantici spero, insomma dei pirati pionieri e idealisti, cercate l’autoconsapevolezza, l’autodeterminazione, ma esiste un processo capitalista che si chiama accelerazionismo, che tende ad assorbire queste innovazioni tecniche, a strumentalizzare al massimo, insomma davvero vorreste un chip nel cervello, e una psicopolizia internazionale  che impedisca che qualche hacker pazzo, o a qualche paese dittatoriale di dominare il mondo?

(S.V.) Esistono due versioni dell’accelerazionismo, entrambe per altro pressoché solo americane, e che interferiscono solo marginalmente con il transumanismo. La prima, quella “di destra”, originale, di Nick Land, pensa che l’accelerazione degli sviluppi tecnoscientifici porti ad un dispiegarsi delle potenzialità per lui positive di un capitalismo che, come nelle tradizionali visioni libertarie d’oltreoceano, si ritroverebbe oggi “represso” dagli Stati, dalle regolamentazioni, dalla norma sociale, etc. La seconda, “di sinistra”, vede nell’accelerazione, ivi compreso dei cambiamenti più criticabili ed alienanti, qualcosa che farà “esplodere le contraddizioni” del capitalismo stesso, generando ribellione, etc. Entrambi tali correnti hanno vari difetti, ai miei occhi, il più grave del quale è dare per scontato che un’accelerazione sia in atto e/o che comunque sia destinata a prodursi. Laddove invece credo di aver documentato in un articolo pubblicato in DIvenire 3, nel centenario della pubblicazione del Manifesto del Futurismo, intitolato “Ritorno sul promontorio dei secoli“, che semmai il rischio cui siamo esposti è l'”uscita dalla storiaapertamente auspicata dallo stesso Fukuyama che costituisce uno dei maggiori esponenti della “resistenza anti-transumanista”. Ma vedi anche il più recente Rallentare. La fine della grande accelerazione e perché è un bene di Danny Dorling… Esiste qualche (timido) sintomo rassicurante negli ultimi due o tre anni che il suddetto rallentamento (o arresto) possa essere superato? Vero. Ma se è vero che ci sono segnali di questo tipo è proprio perché al momento non solo il tentativo di usare la tecnica per combattere la tecnica sta incontrando serie difficoltà, ma proprio perché è l’attuale dominio sul mondo delle vecchie concezioni e degli attuali centri di potere che comincia ad essere sfidato da una realtà più variegata e multipolare, in cui i vari soggetti naturalmente non possono né vogliono rinunciare a nulla che possa loro consentire di sopravvivere ed affermarsi.

(V.P.) Lo strumento di autocontrollo quale sarebbe? La democrazia diretta? Siete consci che questo strumento è permeabile e che potrebbe essere fallimentare?

(S.V.) “Controllo” può significare due cose. Una che riguarda l’uso del freno, che può essere certamente possibile ed opportuno, ad esempio per consentire l’effettuazione nel modo più efficace di una curva, ma che ovviamente riguarda in generale un rallentamento ed un possibile arresto. La seconda riguarda l’uso del volante, che è un dispositivo che non serve a combattere il timore della velocità, o dell’accelerazione, ma ad andare nella direzione da noi preferita – e reagire al timore suddetto mollando il volante e chiudendo gli occhi raramente è una reazione proficua… Quanto a chi, come e perché, debba esercitare tale controllo, non dubito che esistano da qualche parte transumanisti che pensano che debba farlo una classe dirigente di tecnici e saggi educata ai valori di una qualche supposta morale universale che sa meglio degli altri ciò che sarebbe bene per i popoli, per gli individui, e per l’umanità, del tutto indipendentemente da ciò che ne pensino gli interessati – il che poi è il punto di vistra assolutamente dominante nel campo avverso. A mio sommesso avviso, sempre appunto rifacendoci al concetto di autodeterminazione, è invece difficile sostenere che sia completamente coerente un punto di vista transumanista che non preveda qualche forma di sovranità popolare. Ma attenzione. La prima, fondamentale, primordiale sovranità di un popolo e di una comunità politica consiste nel darsi gli ordinamenti che crede. Ed anche qui, mentre posso avere dei miei punti di vista, più o meno provvisori e dubbiosi, o al contrario convinti ed appassionati, su come organizzare una comunità politica di cui io faccia parte, il primo punto anche per chi tenga alla sorte complessiva della nostra specie e della sua diversità e ricchezza dovrebbe essere quello comunque di non mettere tutte le uova nello stesso paniere, ma di puntare sulla diversità, e sugli effetti di positiva regolazione della medesima prodotti dalla competizione tra sistemi diversi – effetti che naturalmente non si producono nel caso abbiamo a che fare con un sistema socioeconomico, politico, culturale di portata universale. 

(V.P.)  Quale è la tua posizione definitiva? insomma mi pare di capire che forse non credi nell uploding della mente, o nella criosospensione del corpo.

(S.V.) Nulla si oppone concettualmente al fatto che la personalità di qualcuno possa essere riprodotta su un supporto completamente diverso dal suo precedente corpo fisico. Tutte le relative questioni “filosofiche” sono molto ben chiarite in un libro che meriterebbe di essere tradotto, A Taxonomy and Metaphysics of Mind-Uploading Se questo rappresenti o no una “continuazione” effettiva della personalità originale o una sua “emulazione” è una questione la cui risposta è puramente… sociologica, e che non ha nulla a che fare con concetti essenzialisti, come spiego nel post “Uploading, cyborgisation, teletrasporto, rianimazione postcrio: possibilità ed identità“. Se qualcuno entra in un ipotetico teletrasporto, si trasferisce dal punto A al punto B, o viene ucciso e ricreato a destinazione? Si tratta semplicemente di due descrizioni arbitrarie di ciò che empiricamente è a tutti gli effetti lo stesso processo. Per quello che riguarda la criosospensione, sappiamo che la putrefazione o la cremazione sono processi essenzialmente irreversibili. La criosospensione presenta almeno una possibilità di rianimazione per l’interessato. Certo, la tecnologia attuale è lontana dal rendere banale e sicura la “criosospensione turistica”, ovvero quella adottata da un paziente sano per visitare, nel tempo, il nostro futuro, o, nello spazio, un altro sistema stellare evitando di di invecchiare per le migliaia di anni necessarie per raggiungerlo.

(V.P.) Se sei per il potenziamento della mente e del corpo in vita, in una realtà aumentata, non temi che tutto questo iper-potenziamento, possa creare super-eserciti, e guerre che potrebbero portare il mondo all’autodistruzione? O sono troppo pessimista? 

(S.V.) Gli effetti del progresso tecnico sulla guerra sono ambigui. Nella Bibbia, con una tecnologia non particolarmente avanzata, vediamo che la prassi coinvolge il completo sterminio della controparte (“E ora va, colpisci Amalek, votalo all’anatema con tutto ciò che possiede, sii senza pietà per lui, uccidi uomini e donne, bambini e poppanti, buoi e pecore, cammelli e asini. [Saul] prese vivo Agag re degli Amaleciti, e passò tutto il popolo a fil di spada in esecuzione dell’anatema”). Nel Rinascimento, le popolazioni civili soffrivano delle guerre, mentre le compagnie di ventura si giocavano più o meno a dadi gli esiti. Nelle guerre napoleoniche la situazione si inverte. Le “tempeste di acciaio” della prima guerra mondiale cui parla Ernst Jünger sono immani carneficine per chi è al fronte ma lasciano più o meno indenni le popolazioni civili, che invece saranno pesantemente coinvolte nella seconda, dai “bombardamenti strategici”, a cominciare da quelli atomici, alle guerre civili casa per casa in vari paesi. Oggi sappiamo che da oltre cinquant’anni siamo sotto la minaccia di un inverno nucleare, ma al tempo stesso esistono alcuni indizi che conflitti a più bassa intensità potrebbero vedere armi robotiche combattersi soprattutto l’un l’altra, con perdite umane (relativamente) limitate… Chiaramente, però, il modo per evitare con discreta sicurezza un’autodistruzione umana sarebbe diventare una specie interplanetaria.

(V.P.) So che è inutile parlare di questo con un laico illuminista convinto, ma davvero credete che rinunciare definitivamente a una dimensione spirituale e metafisica, seppur fittizia, possa creare nuove forme di bellezza? Si insomma l’arte, lo spirito, la grazia, cambieranno per sempre? Sono un passatista se voglio conservare le tradizioni? In fondo un quadro di Giotto è bello nel Trecento come nel 2024. La bellezza non cambia a mio modesto parere, eppure Giotto non era iper-potenziato, non era perfetto. Non pensi che dall’imperfezione possa nascere, se non altro, bellezza? Mentre da una potenziale perfezione non lo sappiamo.

(S.V.) Io non sono proprio universalmente considerato un “laico illuminista convinto”, né dentro né fuori il mondo transumanista. Ma faccio sicuramente una distinzione forte tra la dimensione “spirituale”, che dalle sue connotazioni antiche a quelle dell’idealismo ottocentesco e novecentesco, per giungere al senso comune della parola, ha un senso per me grosso modo positivo, e quella “metafisica”, che soprattutto dopo l’avvento del cristianesimo in Europa (ma anche sulla base di ambiguità precedenti) ha nella visione di Nietzsche e Heidegger, che faccio del tutto mia, una connotazione del tutto opposta. Ovviamente la questione non ha nulla a che fare con la legittima rivendicazione di appartenenze e tradizioni cui uno può non solo richiamarsi, ma voler portare oltre. Giotto nel Trecento era un innovatore, e sarebbe tradire la sua eredità più che restarvi fedeli se ci limitassimo oggi ad imitarlo laddove lui invece ha rivoluzionato ciò che lo precedeva. E la perfezione appunto è un ideale cui tendere per sempre, come nella tradizione dell’Umanesimo (contrapposto in questo all’umanismo), non un punto che possa essere raggiunto.

(V.P.) Da alcune cose che scrivi, mi pare che hai una certa tendenza identitaria forte, credi nelle nazioni, negli imperi, nei confini? O questa roba è passatista? 

(S.V.) Esattamente come Marinetti, credo nell'”uomo moltiplicato”, e nella ricchezza insita nella diversità del “genio” di ciascuna popolazione per l’arco della sua esistenza storica. Non credo nella globalizzazione, nella omologazione, nella entropia, e nello sforzo di imporre a tutti gli uomini – ma anche a marziani, animali o intelligenze artificiali, se mai ce ne fosse bisogno – una verità unica e un dominio dell’indifferenziato, appunto senza confini. Per cui, mentre penso che il modello europeo dello stato-nazione affermatosi a partire dalla pace di Westfalia sia largamente superato, certamente credo nella possibilità ed opportunità di sovranità multiple. Più ancora, apprezzo la diversità di popoli e culture, che non è un dato immemoriale da conservare passivamente, ma il frutto di un processo continuo di autocreazione umana. In questo le identità collettive non sono sostanzialmente diverse dalle identità individuali – che viste da vicino sono del resto altrettanto frattali e in divenire.

(V.P.) Geopoliticamente il mondo postumano come potrebbe essere?

(S.V.) Multipolare. Sino al limite della speciazione, ed oltre. Ma “geo” fa riferimento solo al “nomos della Terra” di cui parlava Carl Schmitt. Idealmente il mondo postumano dovrebbe e potrebbe conoscere un’espansione al di fuori dei confini del nostro pianeta.

(V.P.) Molte questioni etiche e politiche non te le poni, perché pensi che la tecnica supererà tutto?

(S.V.) Ma niente affatto. La tecnica è un modo per esprimere ed applicare scelte etiche e politiche su una scala sin qui inaudita. Ma la stessa cosa è successa a ben pensare con la rivoluzione neolitica, prima della quale grosso modo tutti gli uomini vivevano in condizioni e sulla base di meccanismi e regole analoghe.

(V.P.) Il fatto inconscio che l’uomo ricerchi la fede anche nel transumanesimo, non è indice che una trascendenza esiste?

(S.V.) La “fede” è un modo giudeocristiano – ivi comprese le varianti secolarizzate della stessa mentalità, che conservano la stessa esigenza di avere una garanzia metafisica della “vittoria finale”  – di porre le cose. “Non occorre sperare per intraprendere, né riuscire per perseverare”, secondo il detto di Guglielmo d’Orange. Molti transumanisti sono tali semplicemente perché le relative posizioni esprimono i loro desideri e le loro preferenze, senza alcun bisogno di avere certezze sul loro successo finale. Per loro, una sconfitta è possibile (almeno sulla scala che li coinvolge personalmente, e senza pregiudizio di ciò che sia comunque forse destinato ad accadere tra milioni di anni in una galassia lontana, lontana), per quanto deplorevole. Ragione di più per impegnarsi ad evitarla. La trascendenza della nostra condizione attuale, che è anche il titolo del film sorprendentemente transumanista Transcendence, rappresenta d’altronde l’obiettivo ultimo della loro azione.

(V.P.) L’attuale crisi di natalità dell’Europa, potrebbe essere risolta con l’eugenetica? Ho visto che hai scritto una prefazione a un libro che tratta dell’argomento.

(S.V.) L’eugenetica tradizionalmente riguarda la qualità (arbitrariamente intesa…) della prole di una certa comunità; ma una quantità che scenda al di sotto dei margini necessari per la perpetuazione delle relative linee germinali naturalmente rende la questione puramente accademica. E il fatto che nelle società europee non solo ci si riproduca ben poco, ma ci si riproduca oggi solo nel sottofondo e nei (discutibili) vertici della scala sociale, rischia ovviamente di ridurre le loro prospettive di sopravvivenza anche in termini di adattabilità e “qualità” delle nuove generazioni. La cosa, discussa appunto nel libro che citi, La scomparsa dei popoli europei di Augusto Priore, rappresenta una perdita potenziale che appare davvero tragica sia per chi ha una identificazione “identitaria” con le stirpi coinvolte, che hanno portato un contributo alla storia umana di cui credo nessuno possa negare l’interesse, sia per chi appunto semplicemente deplora la perdita di biodiversità nella nostra specie.

(V.P.)  Qual è il rapporto di un transumanista con l’ambientalismo?

(S.V.) L’idea generale del passaggio al “terzo uomo“, quello destinato a far seguito al primo uomo dell’ominazione ed al secondo uomo della rivoluzione neolitica e della nascita delle grandi culture spengleriane, è appunto che lo stesso è destinato a farsi integralmente carico del proprio ambiente, quanto meno e soprattutto terrestre. Non esiste più plausibilmente una “natura” di cui non siamo integralmente responsabili, ed un parco naturale è altrettanto “artificiale” di una centrale nucleare. Sta perciò a noi plasmare il mondo in cui vogliamo vivere, laddove l'”ambientalismo” tradizionale ha fantasie quanto al fatto che possa e debba essere ridotta la nostra “impronta ecologica”, e che si tratti in sostanza di tener giù le mani da qualcosa che in mancanza di intervento umano vivrebbe in perfetto equilibrio. Dimenticando per esempio che il 95% delle specie mai vissute sul pianeta si sono estinte prima che gli ominidi si evolvessero, e che anche se gli esseri umani si estinguessero domani non c’è assolutamente nulla che garantirebbe la sopravvivenza a quelle restanti.

(V.P.) E con la cancel culture?

(S.V.) La cancel culture è solo la estremizzazione di una prospettiva su cui ho avuto modo di esprimermi (molto negativamente) nel libro Per farla finita con la civilizzazione occidentale. Tale fenomeno infatti non mira tanto a criticare o appunto a superare aspetti eventualmente non condivisibili di un passato comune, ma ad operare su di essi una sorta di rimozione freudiana, in vista di un’ansia di purificazione che trova le sue ultime origini appunto nel fanatismo monoteista, sulla falsariga del processo che abbiamo già conosciuto in Europa nei primi secoli della nostra era – vedi ad esempio Nel nome della croce. La distruzione cristiana del mondo classico della Nixey. E come dice Santayana, “chi non vuole ricordare il proprio passato è condannato a riviverlo”. Da un punto di vista transumanista la questione a mio avviso non è mai di condannare moralmente il passato, qualunque esso sia, ma di storicizzarlo e superarlo, o più esattamente trascenderlo.

(V.P.) Che ne pensi di autori come Renè Guénon? 

(S.V.) Non ne penso molto. A fronte del progressismo e dell’ottimismo ingenuo del modernismo positivista ottocentesco, alcuni intellettuali, per spirito di contraddizione – e per trovare una propria nicchia nella parte più reazionaria della società loro contemporanea -, si sono inventati un “tradizionalismo” romantico, per per lo più a tinte cattoliche (e in tal caso con accenti molto più controriformistici che medievali o paleocristiani), ma in qualche caso come quello di Guénon con accenti esotici ed ancor più universalisti. Chi ancora oggi aderisce a questi punti di vista poco si rende conto di come sia squisitamente moderno questo stesso punto di vista, e come la sua narrativa sia costruita su una violenza misticheggiante sulle fonti che non ha nessuna plausibilità in termini filologici. Diciamo che per quello che mi riguarda questa forma di tradizionalismo sta al modernismo come i satanisti stanno ai cristiani. Tutti quanti parte di una prospettiva tragicamente anacronistica, e in opposizione puramente “dialettica” gli uni agli altri.

(V.P.) Secondo te non esiste nessuna forma di magia, di dio o di trascendenza spirituale, ma non pensi che tutta questa tecnica sia una forma di magia?

(S.V.)  Certamente la magia e la trascendenza o il divino esistono e forniscono rispettivamente i mezzi, e il senso, alla nostra presenza nel mondo. Potrei al riguardo citare il filosofo nietzschano e heideggeriano Giorgio Locchi, che ne parla in Definizioni, ma è ancora più agevole al riguardo invocare una notissima massima di un autore di fantascienza, Arthur C. Clarke, laddove dice “Ogni tecnologia sufficientemente avanzata è indistinguibile dalla magia“.

(V.P.)  USA e Cina attualmente sono le potenza più transumaniste del mondo, la Cina ha una popolazione sottomessa ad un tecno-socialismo di facciata, che ne garantisce un certo controllo e sviluppo, ma ne ha letteralmente cancellato la cultura umanistica e limitato la libertà d’espressione. Sono ben pochi infatti gli artisti o gli scrittori cinesi degni di nota oggi, mentre scienziati, tecnici ed ingegneri abbondano. Inoltre la sua popolazione ha uno stile di vita tremendamente omologato e che somiglia sempre di più al nostro, entrambe le potenze omologano ed opprimono, l’una con il capitalismo, l’altra attraverso il socialismo, ed entrambe inseguono il transumanesimo. Non credo che il transumanesimo utopico e idealista possa fare cambiare idea a chi da sempre specula e drena risorse a popolazioni sottosviluppate, solo per il proprio tornaconto. In questo il transumanesimo che mi hai esposto, non ricorda troppo da vicino utopie rivoluzionarie come il comunismo, il fascismo, il capitalismo del libero mercato che si autoregola?

(S.V.) Vediamo. Gli USA hanno vantato sinora una certa leadership tecnologica in vari campi, grazie anche al poderoso brain drain esercitato sull’Europa occidentale nella seconda metà del XX secolo. Ma non direi che sia un “paese transumanista”, anzi, è uno dei paesi in cui a partire dal famoso discorso davanti al caminetto di George W. Bush la reazione anti-transumanista si fa sentire in modo più vistoso. Jeremy Rifkin, Bill McKibben, Danny Dorling, il solito Francis Fukuyama, il Kass a capo del Comitato Bioetico della presidenza americana, sono esempi tipici. Ma persino ricercatori e imprenditori high-tech come Bill Joy o Craig Venter sono ideologicamente del tutto contrari a ciò che “rischia” di essere prodotto dalle loro ricerche ed attività. Semmai, è proprio la “minaccia cinese” che tiene sotto controllo la tecnofobia dei fondamentalisti religiosi o degli umanisti bio-luddisti locali, grazie al terrore di essere superati nella capacità di calcolo, nella intelligenza artificiale, nelle biotecnologie, nella corsa allo spazio, etc. La Cina, d’accordo, è la prima potenza industriale del pianeta ed oggi ha il maggior numero di paper scientifici pubblicati nelle ricerche rilevanti, e soprattutto non soffre delle ipoteche e delle remore ideologiche dominanti negli USA ed ancor più nella UE – come del resto non ne soffrono le due Coree, o, s’è per questo, Cuba che malgrado un’economia minuscola e disastrata ha vari punti di eccellenza in campo biogenetico. D’altronde, almeno secondo uno studio realizzato poco dopo l’inizio del secolo, a livello di opinione pubblica il paese più transumanista, nel senso in particolare con una minor percentuale di persone avverse a trasformazioni postumane o ad interventi radicali sul nostro ambiente, sarebbe… l’India. E qui pare difficile dubitare dell’incidenza culturale del retaggio induista, con la sua fantasmagoria mitologica di entità senza nette separazioni tra la sfera umana e quella animale e divina, giochi un ruolo.

Sul fatto che esista oggi una omologazione globalista su modelli universali e al tempo stesso idealmente statici e stagnanti, non c’è dubbio, ma questo è esattamente il contrario di ciò che abbiamo già visto rientrare negli auspici del transumanismo. 

Altra questione ancora è il minor “individualismo” del mondo cinese, in questo simile ad altre componenti estremo-orientali, che per altro non mi pare particolarmente correlato all’epoca o al regime politico, ma che è una costante della relativa etnocultura. D’altronde, una caratteristica saliente della Cina odierna, o almeno della parte controllata dalla RPC, è il fatto che stia reagendo con forza alla colonizzazione culturale occidentale; e che mentre persegue ovviamente la propria affermazione economica, politica, etc., anche a scapito di altri attori, non manifesta alcun interesse o tentazione di trasformare il resto del mondo a sua immagine e somiglianza, di annettere popolazioni non-cinesi, o di mescolarsi con esse.

Infine, sulla valenza “utopica” del transumanismo: qualsiasi filosofia “attivistica” e poco convinta che viviamo già oggi nel migliore dei mondi possibili mira a trasformarlo, e plasmarlo in conformità con le proprie idee, e magari con modelli immaginari. Ora, benché tra gli autori e le associazioni transumaniste resti tutt’altro che debellato il retaggio della mentalità secondo cui sarebbe possibile e desiderabile trovare una soluzione definitiva ed ideale a tutti i problemi, questa non è affatto un requisito per porsi in tale prospettiva, anzi. L’accettazione tragica del fatto che nuove sfide saranno eternamente destinate a riproporsi, che ogni soluzione genera un nuovo problema, e che anzi è proprio questo che dà un senso alla nostra esistenza storica, risulta secondo me al contrario il legame più importante tra le nostre radici più lontane e il futurismo più radicale.

(V.P.) In conclusione ti faresti impiantare un chip nel cervello in un mondo così? Pensi possa essere una scelta non condizionata, libera. L’uomo non ha mai inseguito il benessere comune e la libertà se non con ipocrisia fino ad oggi, una parte del mondo drena le risorse dell’altra. 

(S.V.) Tutte le scelte sono “condizionate”, e nondimeno sono scelte. Ogni progetto implica un certo grado di conflitto tra interessi diversi – benché non necessariamente al livello di ipocrisia oggi invalso. Possiamo abbracciare l’idea del suicidio, magari collettivo, o fantasie di secessione individuale ed eremitaggio sempre più problematiche in un mondo in cui non esistono più spazi con cui non interferisca la società umana; o persino di fughe in mondi virtuali dove ogni nostro desiderio personale venga realizzato e l’universo esista solo per servirci. Oppure, se pensiamo che grandezza è fatta anche dal fatto di vedere il mondo per quello che è e non per quello che vorremmo che fosse, accettare di giocare la mano che ci viene servita in funzione di ciò che siamo stati, siamo e vogliamo diventare. L’integrazione del nostro cervello con i “chip” – che a breve del resto non sarà più neppure necessario impiantare, e che si ridurranno all’equivalente di un auricolare o di un apparecchio acustico – saranno semplicemente parte del modo per essere soggetti e non oggetti della nostra storia, naturalmente per chi lo vorrà, come nel passato lo sono stati gli aghi d’osso o le lame di selce per chi ha deciso di adottarli dopo innumerevoli milioni di anni in cui nessuno li aveva mai utilizzati.

(V.P.) Grazie Stefano, chiudendo questo dialogo con chiosa ottimista, credo che le nostre generazioni debbano trovare un complesso equilibrio tra tecnica e tradizione, rendendole in qualche modo interdipendenti, è il nostro dovere generazionale e sarà estremamente difficile farlo, altrimenti la nostalgia egoica e il tecnoscetticismo da un lato, e il postumanesimo reazionario dall’altro, ci annienteranno, o meglio renderanno il futuro invivibile.