L'inchiesta di fanpage sulla gioventù meloniana dirada un po' di nebbia, ma non rivela alcunché. Piuttosto che concentrarci sulle braccia tese e gli slogan fascisti, dovremmo convergere le forze e concentrarci sulle sostanza, e non la forma, di questo governo, e le pratiche che la rivelano, come il trasferimento dei CPR in Albania.

L’entourage del governo Meloni è composto di fascisti. Ma non ci è servito fanpage per capirlo. Sarebbe a dir poco deludente la coscienza politica di chi avesse avuto bisogno di questa inchiesta per giungere all’evidente conclusione che chi ha militato in passato nel Fronte della Gioventù oggi non si fa problemi a tendere il braccio in privato. La strategia di defascistizzazione apparente della Meloni è reale e concreta, ovvero sui dossier che contano il governo si sta comportando esattamente come qualsiasi altra espressione legislativa del paese avrebbe fatto. Ma sul piano dello spirito del partito la questione è ben diversa.

      
Chiunque abbia fatto esperienza dell’humus culturale italiano, a partire dalle scuole e dalle università, vedendo le immagini dell’inchiesta (commentata con quella voce sensazionalistica che suppone una soglia di attenzione media degli spettatori di circa 20 secondi) avrà ottenuto al massimo la timida soddisfazione di vedere confermato un sospetto più che fondato. Non sono i Sieg Heil, i petti alti e il cuore nero, a rendere quel partito un covo di nazisti. Non è Sangiuliano che afferma che il suo libro preferito è il Tramonto dell’occidente (chissà se lo ha letto davvero poi, è comunque un tomo impegnativo). Questo tipo di ambiguità ricercata, che ammicca a una parte dell’elettorato mentre fa infuriare quella opposta, è pensata precisamente per dirigere le forze critiche verso un obiettivo illusorio. Abbiamo visto le loro giovanili (e alcuni dirigenti) cingersi gli avambracci, li abbiamo visti inneggiare a sua eccellenza BM. E ora? Pensiamo davvero che chiunque li abbia votati si ricrederà? Che qualcuno fosse sinceramente convinto di aver portato al governo dei trozkisti? Certo il loro gioco dell’ambiguità perde un po’ di consistenza, ma in sostanza cambia poco. Il governo è saldo, le braccia, nel privato, rimarranno tese; faranno solo un po’ più di attenzione.      

L’inchiesta di Fanpage alla fine dimostra tutt’altro. Rivela quanto lo stesso entourage della gioventù meloniana sia preoccupato affinché nessuno faccia mostra in pubblico delle proprie passioni nostalgiche; possiamo perciò tranquillamente immaginare che direttive simili circolino anche nel partito dei “grandi”. Meloni proviene da quel mondo là, dalle giovanili dei partiti postfascisti. È del tutto impensabile che le dinamiche della gioventù meloniana di colloquiale consuetudine con gli slogan e le idee del fascismo e del nazismo la stupiscano realmente. È irragionevole però e in odore di complottismo pensare che la Ducetta aspetti chissà quale convergenza storica per poter instaurare una dittatura che si richiamasse esplicitamente al fascismo; sembra ben contenta così, le cose le vanno alla grande. E questo perché il potere di cui dispone FDI è già sufficiente, per Meloni e i suoi, per portare avanti alcuni dei propri obiettivi, perfettamente in linea, questi sì, con strategie preoccupanti e fasciste. Questo non vuol dire che il governo disponga di chissà quale libertà di manovra, ma che le forze democratiche di questo paese si mostrano del tutto compiacenti, in realtà, anche con le peggiori nefandezze dell’estrema destra, purché il partito che le promuove confermi la propria fedeltà atlantista. Un caso su tutti dovrebbe diradare qualsiasi dubbio: quello dei CPR in Albania.    

    
I CPR sono il luogo fisico in cui si concentrano il massimo delle contraddizioni che convivono nello spirito europeo. Sono i centri di permanenza per i rimpatri, gli ex CIA, ex CPT, ex CPTA; gli si cambia nome quasi ogni volta che cambia il ministro dell’Interno. Seppure a tutti gli effetti i CPR sono delle carceri, ovvero luoghi di detenzione di corpi e privazione della libertà di movimento, essi non godono della stessa visibilità delle strutture di detenzione regolare, già peraltro di norma fatiscenti e malfunzionanti. I detenuti che vi soggiornano, sono nominalmente degli ospiti temporanei dello Stato, poiché sulla carta non hanno commesso alcun crimine; il reato di cui sono imputati, introdotto nel 2009, è quello di immigrazione clandestina, la quale non prevede la detenzione, ma una sanzione amministrativa; una multa, perciò, seppure molto onerosa (soprattutto per chi è stato costretto a ricorrere all’immigrazione clandestina). All’interno del CPR però, non essendo questo luogo un carcere effettivo, non vengono garantiti neppure i diritti che si riservano agli ergastolani. A discrezione della direzione vengono tolti ai detenuti i cellulari, l’assistenza sanitaria è pressoché ridotta alla fornitura di psicofarmaci per contenere le crisi depressive e di solitudine, il contatto con l’esterno è severamente limitato, non esistono libere uscite, non esistono visite da fuori. Non sono tutelate neppure le procedure minime di garanzia, come quella che prevede la possibilità di un parlamentare di visitare un carcere, persino quello duro del 41-bis, per accertarsi che la detenzione non violi i diritti umani o la costituzione (entrambe gli ordinamenti sono peraltro comunque violati dal 41-bis e dalla pratica del carcere ostativo).       

Questa è solo la condizione legislativa di partenza dei CPR. Ovviamente poi, per consuetudine nazionale, essi sono gestiti con la più indifferente disumanità. Le infiltrazioni mafiose ne sono la principale fonte di sostentamento economico. Chi ha avuto la fortuna di uscirne (perché alcuni vi stazionano anche senza essere poi rimpatriati, li si condanna preventivamente a un soggiorno all’inferno per sbrigare con più calma la loro pratica) racconta di condizioni igieniche fatiscenti, cibo scaduto, continue e ripetute malversazioni da parte del personale. Non stupirà perciò che i tentativi di suicidi e di evasioni dei detenuti sono all’ordine del giorno; l’amministrazione dei CPR però risponde prontamente alle problematiche, alzando sempre di più le mura che li circondano e aumentando le dosi di psicofarmaci.

 

Tutto ciò però non ha molto a che fare solo con il governo Meloni, queste pratiche hanno una storia lunga; l’amministrazione di questi luoghi è stata confermata pressoché da ogni forza parlamentare che oggi siede alla Camera. Stupisce perciò come lo scandalo per le braccia tese dei giovani meloniani possa conciliarsi con il finanziamento e la ratifica delle costruzioni di vari lager sparsi per il territorio nazionale. Ma ciò che rende peculiare il governo di destra oggi al potere, e su cui dovrebbero dirigersi l’attenzione e le inchieste antifasciste, è la volontà, molto discussa, ma di cui ad oggi ancora non si è data una spiegazione ufficiale, di dislocare i CPR in altri paesi, come l’Albania (che ha acconsentito subito di buon grado nella speranza di ottenere uno sponsor per entrare nell’UE). Le motivazioni ufficiali che vengono date per questo primo trasferimento – peraltro già in profondo ritardo rispetto ai piani – sono le seguenti: “[L’accordo] si pone sostanzialmente tre obiettivi: contrastare il traffico di esseri umani, prevenire i flussi migratori illegali e accogliere solamente chi ha davvero diritto alla protezione internazionale” (Giorgia Meloni, conferenza stampa del 6 novembre 2023). Non si capisce in quale modo la pratica dovrebbe risultare più semplice da sbrigare in Albania. O almeno non se ne può ammettere la vera motivazione, che forse è ignara alla stessa dirigenza di FDI ma ne rivela lo spirito, che, non per riduzione di complessità, ma per assenza di termini migliori, va definita nazista

Scritta sul muro del CPR di Ponte Galeria del 22enne Ousmane Sylla, morto suicida all’interno del centro, con la quale chiede di spedire le proprie spoglie alla madre.

 
Le posizioni sull’immigrazione possono essere diverse e svariate, ciascuna risponde a un qualche tipo di sensibilità più o meno fondata razionalmente o psicologicamente. A nostro avviso il semplice fatto che esistano delle frontiere costituisce una condizione ridicola di ipocrisia e sopraffazione, che un giorno, si spera, l’umanità considererà alla stregua della schiavitù. Ma non è sulla base di una tale convinzione che va giudicato il modo in cui il nostro paese ha deciso di affrontare la questione, perché, indipendentemente da essa, come vengono gestiti i corpi dei migranti rivela i pregiudizi e le finalità che i vari governi si pongono. Il cambio di passo, la novità di dislocare i CPR in Albania è una prerogativa tutta meloniana, è la soluzione finale all’unico problema che pongono i migranti anche nel momento in cui sono reclusi dietro mura progressivamente più alte e invalicabili sbarre di ferro, ovvero il problema di essere ciononostante dei corpi.         

Un corpo, pure se recluso, occupa una porzione di spazio. All’interno di esso può interagire con ciò che lo circonda, può essere visto e vedere, può essere ascoltato e ascoltare. All’interno del CPR si è cercato in ogni modo di impedire che i corpi venissero visti, alzando le mura e proibendo le visite (anche dei parlamentari e dei giornalisti). Ma non si è riuscito, finora, a impedire che questi corpi venissero ascoltati. Certo, ci si è provato, costruendo i CPR in punti morti delle città, spesso difficili da raggiungere, togliendo ai migranti i telefoni, privandoli dei traduttori. Non si è riuscito, tuttavia, a impedire che quei corpi facessero rumore, urlassero all’esterno, gridassero, ai pochi venuti a portare loro un po’ di solidarietà, tutto il dolore e la frustrazione della tortura illegittima a cui sono stati sottoposti. Non c’è nulla che può convincere dell’ingiustizia di quello che succede dentro i CPR più dell’amalgama di lingue diverse che valica le mura e si accorda in un solo grido disperato, rivolto all’esterno. Quando ciò non basta, poi, capita a volte, all’acme della disperazione, che i detenuti diano fuoco ai loro materassi. È un gesto profondamente simbolico. Compierlo, significa compiere un reato, significa che la propria sanzione amministrativa verrà convertita immediatamente in una condanna penale. Si viene trasferiti al carcere in direttissima; certo date le condizioni il trasferimento è da considerare una promozione, ma quanto può essere intollerabile quello che avviene dentro ai CPR se, pur di esprimere un messaggio di sofferenza all’esterno, lo si accoglie di buon grado?

Diventa così più evidente il motivo del trasferimento immotivato e dispendioso dei CPR in Albania. L’obiettivo è rendere più difficile e ostacolare la possibilità che ci si renda conto che all’interno di quel luogo, ad essere detenuti, sono dei corpi, degli esseri umani. Più lontani sono, più sarà difficile vederli e sentirli, portando loro solidarietà. Minore sarà per questo la possibilità di confrontarsi con la realtà dei CPR, con quello che all’interno vi avviene. È una variazione sul tema di quella storia dell’albero nella foresta che cade. Se, per le torture fisiche e psicologiche che ha subito, si suicida un migrante che non hai mai visto e non vedi, e di cui non hai mai sentito le grida, è morto davvero?

   
La strategia ricorda perciò molto da vicino un altro modo di gestire i corpi rendendoli oggetti, massimizzando l’efficienza della loro sparizione e minimizzando gli intoppi che comporta la loro natura corporale. Ciò preoccupa molto più dell’inchiesta di fanpage, che rimane comunque utile, ma resta sulla superficie, all’interno del gioco di specchi creato ad arte dal governo Meloni, volto a impegnare la critica sugli aspetti formali del loro partito, sulle parole d’ordine che acconsentono o meno di usare, sui riferimenti ideologici a cui si ispirano, e non converge invece l’attenzione e le forze sulle nefandezze concrete della sostanza di questo governo e forse di un intero paese, che si accontenta di dichiararsi antifascista quando sul proprio territorio costruisce, finanzia e amministra, grazie al prezioso supporto della mafia, dei campi di concentramento.