Estratto del libro "La gioia armata" di Alfredo M. Bonanno. Il resto del libro è disponibile online su vari siti.
di Alfredo M. Bonanno

La vita è così noiosa che non c’è
nient’altro da fare che spendere tutto
il nostro salario sull’ultimo vestito
o sull’ultima camicia.
Fratelli e sorelle, quali sono i vostri
veri desideri? Sedersi in un Drugstore,
con lo sguardo perduto nel nulla,
annoiato, bevendo un caffè senza sapore?
Oppure, forse farlo saltare in aria o bruciarlo.

The Angry Brigade

Il grande spettacolo del capitale ci ha tutti messi dentro, fino al collo. A turno, attori e spettatori. Invertiamo le parti, ora guardando a bocca aperta, ora facendoci guardare dagli altri. All’interno della carrozza di cristallo ci siamo entrati tutti, pur sapendo che si trattava di una zucca. L’illusione della fata ha ingannato la nostra coscienza critica. Adesso dobbiamo stare al gioco. Almeno fino a mezzanotte.

Miseria e fame sono ancora gli elementi propulsivi della rivoluzione. Ma il capitale sta allargando lo spettacolo. Intende fare entrare in scena nuovi attori. Il più grande spettacolo del mondo ci sbalordirà. Sempre più difficile e sempre meglio organizzato. Nuovi pagliacci si apprestano a salire sulle tribune. Nuove fiere verranno addomesticate.

I sostenitori del quantitativo, gli amanti dell’aritmetica, entreranno per primi e resteranno abbagliati dalle luci delle prime file. Si porteranno dietro le masse del bisogno e le ideologie del riscatto.

Ma quello che non potranno eliminare sarà la loro serietà. Il più grande pericolo cui andranno incontro sarà una risata. La gioia è mortale all’interno dello spettacolo del capitale. Tutto, qui, è tetro e funebre, tutto è serio e composto, tutto è razionale e programmato, proprio perché tutto è falso e illusorio.

Oltre la crisi, oltre le contraddizioni del sottosviluppo, oltre la miseria e la fame, il capitale dovrà sostenere l’ultima battaglia, quella decisiva, con la noia.

Anche il movimento rivoluzionario dovrà sostenere le sue battaglie. Non solo quelle tradizionali contro il capitale. Ma anche di nuove, contro se stesso. La noia lo attacca dal di dentro, lo incrina, lo rende asfissiante, inabitabile.

Lasciamo stare gli amanti degli spettacoli del capitale. Quelli che sono d’accordo fino in fondo a recitare la propria parte. Costoro pensano che le riforme possano realmente modificare le cose. Ma questo pensiero è più una copertura che altro. Sanno troppo bene che il cambiar delle parti è una delle regole del sistema. Aggiustando le cose un poco alla volta, si ottiene il risultato di tornare utili al capitale.

Poi c’è il movimento rivoluzionario dove non mancano quelli che attaccano a parole il potere del capitale. Costoro fanno una grande confusione, ricorrono a grosse frasi ma non impressionano più nessuno, tanto meno il capitale. Quest’ultimo li usa, sornione, per le parti più difficili del suo spettacolo. Nei momenti in cui occorre un solista, fa avanzare sulla scena uno di questi personaggi. Il risultato è accorante.

La verità è che bisogna spaccare il meccanismo spettacolare della merce, entrando nel dominio del capitale, nel centro di coordinamento, nel nucleo stesso della produzione. Pensate che meravigliosa esplosione di gioia, che grande salto creativo in avanti, che straordinario scopo “privo di scopo”.

Solo che entrare gioiosamente, con i simboli della vita, all’interno del meccanismo del capitale, è molto difficile. La lotta armata, spesso, è simbolo di morte. Non perché dona la morte ai padroni e ai loro servitori, ma perché pretende imporre le strutture del dominio della morte. Diversamente concepita, essa sarebbe veramente la gioia in azione, quando fosse capace di spezzare le condizioni strutturali imposte dallo stesso spettacolo mercantile, come, ad esempio, il partito militare, la conquista del potere, l’avanguardia.

Ecco l’altro nemico del movimento rivoluzionario. L’incomprensione. La chiusura davanti alle nuove condizioni del conflitto. La pretesa di imporre i modelli del passato, ormai entrati a far parte della gestione spettacolare della merce.

Il disconoscimento della nuova realtà rivoluzionaria, alimenta un disconoscimento teorico e strategico delle capacità rivoluzionarie del movimento stesso. E non importa affermare che ci sono nemici tanto vicini da rendere necessario un intervento immediato, al di là delle precisazioni interne di carattere teorico. Tutto ciò nasconde l’incapacità di affrontare la realtà nuova del movimento, l’incapacità di superare errori del passato che hanno gravi conseguenze nel presente. E questa chiusura alimenta ogni tipo di illusione politica razionalista.

Le categorie della vendetta, della guida, del partito, dell’avanguardia, della crescita quantitativa, hanno un senso solo nella dimensione della nostra società, ed è un senso che favorisce la perpetuazione del potere. Ponendosi dal punto di vista rivoluzionario, cioè dell’eliminazione totale e definitiva del potere, queste categorie cessano di avere un senso.

Movendoci nel non-luogo dell’utopia, nel capovolgimento dell’etica del lavoro, nel qui e subito della gioia realizzata, ci troviamo all’interno di una struttura del movimento che è ben lontana dalle forme storiche della sua organizzazione.

Questa struttura si modifica continuamente, sfuggendo ad ogni tentativo di cristallizzazione. La sua caratteristica è l’autorganizzazione dei produttori, sul posto di lavoro, e la contemporanea autorganizzazione delle forme di lotta per il rifiuto del lavoro. Non impadronimento dei mezzi di produzione, attraverso le organizzazioni storiche, ma rifiuto della produzione attraverso la spinta di strutture organizzative che si modificano continuamente.

Lo stesso avviene nella realtà non garantita. Le strutture emergono sulla base dell’autorganizzazione, stimolate dalla fuga dalla noia e dall’alienazione. L’inserimento di uno scopo programmato ed imposto da un’organizzazione nata e voluta al di fuori di queste strutture, significa l’uccisione del movimento, il ripristino dello spettacolo mercantile.

La maggior parte di noi è legata a questa visione dell’organizzazione rivoluzionaria. Anche gli anarchici, pur rifiutando la gestione autoritaria dell’organizzazione, non recedono dal riconoscere validità alle loro formazioni storiche. Su queste basi, tutti riconosciamo che la realtà contraddittoria del capitale, può essere attaccata con simili mezzi. Lo facciamo perché siamo convinti che questi mezzi sono legittimi, emergendo dallo stesso terreno dello scontro del capitale. Non ammettiamo che qualcuno non la pensi come noi. La nostra teoria si identifica nella pratica e nella strategia delle nostre organizzazioni.

Molte differenze ci sono tra noi e gli autoritari. Ma queste cadono davanti alla comune fede nell’organizzazione storica. Si arriverà all’anarchia attraverso l’opera di queste organizzazioni (le differenze – sostanziali – sorgono solo sul punto della metodologia di avvicinamento). Ma questa fede sta a indicare una cosa molto importante: la pretesa di tutta la nostra cultura razionalista, di spiegarsi il movimento della realtà, e di spiegarselo in modo progressivo. Questa cultura si basa sul presupposto della irreversibilità della storia e sulla capacità analitica della scienza. Tutto ciò ci consente di considerare il momento presente, come il confluire di tutti gli sforzi del passato, come il punto più alto della lotta contro il potere delle tenebre (lo sfruttamento del capitale). Così, noi saremmo, in modo assoluto, più avanzati dei nostri progenitori, capaci di elaborare e gestire una teoria e una strategia organizzativa che è il risultato della somma di tutte le esperienze passate.

Tutti coloro che rigettano questa interpretazione, si trovano automaticamente fuori della realtà, essendo questa, per definizione, la stessa cosa della storia, del progresso, e della scienza. Chi rifiuta è antistorico, antiprogressista e antiscientifico. Condanne senza appello.

Forti di questa corazza ideologica ci rechiamo nelle piazze. Qui ci scontriamo con una realtà di lotta strutturata in modo diverso. Queste strutture agiscono sulla base di stimoli che non rientrano nel quadro delle nostre analisi. Un bel mattino, nel corso di una manifestazione pacifica, e autorizzata dalla questura, quando i poliziotti cominciano a sparare, la struttura reagisce, anche i compagni sparano, i poliziotti cadono. Anatema! La manifestazione era pacifica. Essendo scaduta nella guerriglia spicciola, deve esserci stata una provocazione. Nulla può uscire dal quadro perfetto della nostra organizzazione ideologica in quanto questa non è “una parte” della realtà, ma è “tutta” la realtà. Al di là: la pazzia e la provocazione.

Si distruggono alcuni supermarket, alcuni negozi, si saccheggiano magazzini di alimentari e armerie, si bruciano vetture di grossa cilindrata. È un attacco allo spettacolo mercantile, nelle sue forme più appariscenti. Le strutture emergenti si dispongono in quella direzione. Prendono forma improvvisamente, con un minimo indispensabile di orientamento strategico preventivo. Senza fronzoli, senza lunghe premesse analitiche, senza complesse teorie di sostegno. Attaccano. I compagni si identificano in queste strutture. Rigettano le organizzazioni dell’equilibrio del potere, dell’attesa, della morte. La loro azione è una critica concreta della posizione attendista e suicida di queste organizzazioni. Anatema! Deve esserci stata una provocazione.

Ci si stacca dai moduli tradizionali del “fare” politica. Si incide fortemente e criticamente sul movimento stesso. Si usano le armi dell’ironia. Non nel chiuso dello studio di uno scrittore. Ma in massa, per le strade. Si coinvolgono nello stesso genere di difficoltà, non solo i servi dei padroni, quelli ormai riconosciuti a livello ufficiale, ma anche le guide rivoluzionarie del lontano e del recente passato. Si mette in crisi la struttura mentale del capetto e del leader del gruppo. Anatema! La critica è legittima solo contro i padroni, e secondo le regole fissate dalla tradizione storica della lotta di classe. Chi esce fuori del seminato è un provocatore.

Ci si nausea delle riunioni, delle letture dei classici, delle inutili manifestazioni, delle discussioni teoriche che spaccano il cappello in quattro, delle distinzioni all’infinito, della monotonia e dello squallore di certe analisi politiche. A tutto ciò si preferisce fare l’amore, fumare, ascoltare la musica, camminare, dormire, ridere, giocare, uccidere i poliziotti, spezzare le gambe ai giornalisti, giustiziare i magistrati, far saltare per aria le caserme dei carabinieri. Anatema! La lotta è legittima solo quando è comprensibile per i capi della rivoluzione. In caso contrario, essendoci il rischio che questi ultimi si lascino scappare di mano la situazione, deve esserci stata una provocazione.

Sbrigati compagno, spara subito sul poliziotto, sul magistrato, sul padrone, prima che una nuova polizia te lo impedisca.

Sbrigati a dire di no, prima che una nuova repressione ti convinca che il dire di no è insensato e pazzesco e che è giusto che accetti l’ospitalità dei manicomi.

Sbrigati ad attaccare il capitale, prima che una nuova ideologia te lo renda sacro.

Sbrigati a rifiutare il lavoro, prima che qualche nuovo sofista ti dica, ancora una volta, che “il lavoro rende liberi”.

Sbrigati a giocare. Sbrigati ad armarti.