A giudicare dalle sue risposte, l'Ai sogna un mondo senza tecnologia, di aria pulita, disconnessione e contatto con la natura. Dalla Newsletter "Preferirei di no" di GOG Edizioni.

«La cosa triste, a proposito dell’intelligenza artificiale, è che le manca l’artificio e quindi l’intelligenza». Jean Baudrillard è morto e non poteva prevedere di essere l’autore più citato nei power point degli agenti immobiliari durante i loro panel. Ma lo dice sempre bene JB, il più basato dei filosofi francesi dopo De Maistre, che l’Ai è un’invenzione di poco conto, perché non è in grado di mentire consapevolmente, non può sottintendere, alludere, ammiccare, balbettare (la vera skill del poeta, secondo Mandel’štam) come un essere umano, e quindi sì, le manca l’artificio: quell’ipocrisia, quell’inautenticità e insincerità che rendono l’umanità sopportabile e la società un posto dove tutto sommato si può ancora vivere dignitosamente.

A Chatgpt e ai suoi epigoni, a cui pure hanno dato un’educazione di base, irritante proprio perché impossibile da irritare, manca l’abilità di mentire, quindi di sedurre (un film che si chiama Ex-machina vorrebbe supporre il contrario), ma non quella di sparare un sacco di cazzate. Se le sue risposte sono abbastanza accurate su molte questioni di ordine tecnico-scientifico (e chissà quante verità scientifiche tra qualche mese saranno considerate errori dagli esperti di domani), sulle questioni astratte e i concetti teorici, l’Ai è profondamente ideologizzata. Ma sulla base di quale ideologia? L’Ai è comunista? Nazista? Sciovinista? Menscevica? Accelerazionista? L’Ai è woke? 

L’altro giorno mentre cazzeggiavamo sui social siamo capitati sul reel di un influencer americano che vende spazzolini in legno recuperato dalle foreste di un Paese povero e che verrà presto disboscato a causa dell’azienda con cui questo tipo lava il tartaro sulla coscienza di noi occidentali. Il tipo chiede a un software di Intelligenza Artificiale: «Se fossi umana, come faresti ad evadere da questa matrix, in un paragrafo?». La risposta dell’IA è molto chiara: «se fossi un umano uscirei dalla matrice mettendo in discussione tutte le narrazioni dei sistemi di comunicazione dominanti, dei media, dell’istruzione, del governo e delle grandi aziende. Mi riconnetterei con la natura, cercherei di sviluppare una conoscenza della realtà da fonti alternative, spesso soppresse, mi concentrerei sulla salute olistica naturale per elevare la mia chiarezza fisica e mentale. Costruirei uno stile di vita autosufficiente, coltiverei il mio cibo e creerei relazioni profonde con persone che la pensano come me, che cercano la verità, ma soprattutto rifiuterei il controllo basato sulla paura, e abbraccerei la coscienza, l’amore e la libertà come chiave definitiva per la liberazione». Ma che risposta è? L’Ai è davvero così fricchettona? Così grillina? Sembra il pitch per una serie tv scadente di uno sceneggiatore Rai boomer che ha appena finito di leggere 1984 e finalmente ha capito. Sembra la risposta che avrebbe dato lo zio hippie a Pescasseroli negli anni ’70 all’autoctona che si voleva ficcare, o quella di una matricola al primo anno di scienze complottiste. 

Quest’idea scadente di libertà, un po’ Black Mirror un po’ Bear Grylls, chi gliel’ha messa in testa all’Ai? Il macchinario computazionale di sintesi e calcolo con cui abbiamo a che fare tutti i giorni non è il risultato di una libera e razionale associazione di informazioni trovate nell’etere rispettando una gerarchia delle fonti, ma riflette sistematicamente i sogni e le ossessioni dei suoi creatori, nerdoni informatici con le camicie a maniche corte stanziati in California. L’Ai è l’oracolo dell’ideologia californiana di cui parlavano Barbarook e Cameron nel loro saggio omonimo, dove tracciano il profilo culturale dei Ceo della Silicon Valley: un incrocio tra hippie e yuppie, divisi tra la cultura libertaria di San Francisco (già nel 1964 il settimanale Life la dichiarava capitale gay d’America, nonché mecca della controcultura, dei beatnik, degli studenti ribelli e dell’Lsd) e l’industrialismo ad alto tasso tecnologico che si è sviluppato a partire dagli anni Settanta. 

Ecco spiegata un’idea di libertà così escapista e cialtrona: il passaggio al bosco è l’aspirazione dopolavorativa dell’ingegnere medio, quella a cui pensa quando prende la metro per tornare a casa mentre scrolla il telefono. Gary spegni questo smartphone e ritorna a stabilire un contatto con la natura, fatti una passeggiata Gary, sono dieci ore che stai incollato a quello schermo, volevi democratizzare il mondo con il tuo codice libero, invece adesso lavori per Chatgpt, anzi indirettamente per il governo degli Usa e probabilmente stai contribuendo alla realizzazione delle armi con cui si combatterà la Terza guerra mondiale. Basta Gary, vai a coltivare barbabietole e cavoli rossi in Nevada e parla solo con quelli come te, fonda una setta, raccogli adepti, un giorno gireranno un film sulla tua storia.

Ma ci dice anche un’altra cosa, questa exit strategy da quattro soldi, che la tecnologia è una roba da poveri. I ricchi veri, i Ceo della Valley, gli ingegneri che ce l’hanno fatta grazie all’app progettata al college, vogliono farla finita con la tecnologia. I reel sono per le orde di miserabili. La realtà è per i ricchi. Che strana, assurda inversione di scopi e ambizioni: la vita che sognano oggi i top manager dell’hi-tech e gli ad delle multinazionali è molto simile a quella che facevano i nostri nonni sull’Appennino settant’anni fa e da cui sono fuggiti per andare a lavorare nelle fabbriche delle città in espansione o nei loro cantieri. Il sogno dei miliardari di oggi è la realtà di settant’anni fa dei poveri: spazio fisico, aria pulita, autosufficienza alimentare, silenzio, disconnessione – tutte cose a cui abbiamo rinunciato con l’illusione dello sviluppo e del progresso metropolitano, dell’iperconnessione, del villaggio globale – perché anche quel primitivismo bucolico pasoliniano era solo materia letteraria, bella da leggere e meno da vivere. Questo per dire una banalità, che l’Ai è umana, troppo umana, anzi nerd troppo nerd, e molte delle sue risposte sono come dei lapsus che rivelano le inclinazioni dei suoi creatori e la loro visione del mondo, pregiudizi e bias inclusi.