In un 2025 liscio, ottimizzato, dove anche il dissenso è un prodotto da playlist, il caos implosivo o iper-attivo di questi movimenti è l’unico graffio rimasto sulla superficie di cristallo di un presente sempre più finto. Incel e Transfemministe radicali sono i punk di fine mondo, che ballano non sulle macerie, ma sul sesso dell’uomo e della donna»

Tra i primi punk vi era una frangia nichilista che non faceva un cazzo, non beveva, non si drogava, era talmente antisistema da rifiutare una contaminazione con i paradisi artificiali. Il vero punk è grazia, purezza, rozzezza sdrucita, di vestiti non esageratamente punk, quella è Vivienne Westwood, quello è come vi è stato venduto il punk.

Il “non fare un cazzo” non è apatia, ma rifiuto attivo e provocatorio di partecipare agli aspetti più ovvi e consumistici della ribellione giovanile contemporanea (anni ’70). Mentre altre controculture (hippie, psichedelia) cercavano paradisi artificiali attraverso droghe, alcol o misticismo per evadere o contestare il sistema, i primi punk rifiutavano persino queste forme di evasione e alterazione.

La loro ribellione stava proprio nella negazione assoluta: i punk non offrivano un’alternativa costruita (come le comuni hippie), ma si ponevano come vuoto, assenza, rifiuto puro (“grazia, purezza”). Il loro essere antisistema era così integrale e spinto all’estremo che respingeva qualsiasi strumento utilizzato non ritualmente, ma solo come divertimento (come l’ubriacarsi o il drogarsi) e che potesse essere visto come una forma di dipendenza, di evasione illusoria o, peggio, di commodity assimilabile dal mercato o dal “sistema” stesso.

Il loro “non fare” era quindi un atto di purezza nichilista: la contestazione più radicale possibile, che consisteva nel non partecipare nemmeno alle forme tradizionali (o commercializzate) di dissenso, rimanendo nella loro “rozzezza sdrucita” autentica e non spettacolarizzata. Era un rifiuto di essere cooptati.

Ora, benvenuti nel punk del 2025, amici miei. Non cercate creste iodate o giubbotti borchiati. Cercate occhiaie digitali e sguardi iperfocalizzati su schermi che riflettono un vuoto cosmico. Cercate tute arcobaleno olografiche e droni da sorveglianza patriarcale in miniatura.

Sì, perché l’ultimo grido della ribellione in questo pantano post-tutto ha due facce della stessa medaglia: gli Incel e le Femministe di Quinta Ondata, sono il vero punk oggi.

Gli Incel veri Punk del fallimento totale. Immaginate Johnny Rotten, ma senza energia, senza sesso, senza speranza. Solo un ronzio costante di risentimento e un’ossessione per metriche corporee decodificate da forum oscuri, esoterici, quasi stregoneschi. Sono i nuovi reietti, gli scarti della macchina dell’iper-connessione. È la loro ribellione. Un’implosione monumentale.

Non sputano in faccia al sistema, ci annegano dentro, perché il vero punk è uno spleen rabbioso e depresso.

Li trovi non più in bar maleodoranti, lì ora ci stanno i fighetti che fanno i punk perfettamente inseriti dal sistema, il loro attimo di ribellione dura il tempo dei vari step: matrimonio fallimentare, aziendetta di famiglia che sfonda il muro del suono dei debiti, start-up creativa, ritiro nella tenuta di famiglia a fare l’olio.

Il vero cyber punk sta nei “covi” digitali: Discord, Telegram, quelle cloache dove l’aria è catrame.

Ascoltano hyperpop distorto con bassi che simulano battiti con testi indie cinici. La loro estetica è un “normcore disfunzionale”: felpe grigie da 20 euro, occhi vitrei fissi su streamer che urlano teorie sul “mercato sessuale” come fossero analisi di borsa.

Il loro “fuck you” alla società è un gigantesco “fuck me” esistenziale. Sono punk perché hanno fatto del fallimento personale una trincea, una bandiera strappata.

Non vogliono cambiare il mondo, vogliono che il mondo riconosca la loro sofferenza come l’unica verità sacra. E in questo nichilismo digitale, questo rifiuto di qualsiasi logica di “riscatto” o “positività tossica”, c’è un’amara, sgradevole purezza.

Sono la distorsione finale del sogno capitalista dell’individuo: atomi isolati che implodono in silenzio, che illuminano un’esistenza disperata, nel buio romantico della loro stanzetta.

Le Femministe di Quinta Ondata: sono invece cyberpunk con il vibro controllo remoto. Esplodono dall’altro lato dello specchio. Se gli Incel sono implosione, queste sono iper-esplosione pura; i loro ideali non trovano spazio nel variegato carro dei gay-pride, sono pirateria pura.

Hanno lasciato alle spalle le battaglie per il voto, per l’aborto, per il lavoro, per i diritti. La Quinta Onda naviga nel post-umano, nel digitale, nel micro-aggressivo dell’infinitamente piccolo.

La loro ribellione è un tribunale costante di codice e bio-hacking, ed hateraggio a chi le contraddice su Instagram. Vestono tute adattive ed aderenti, hanno capelli che cambiano colore in base al livello di “male gaze” percepito nell’ambiente. I loro meeting non sono in centri sociali, i gay-pride, ma in metaversi criptati, i loro sogni sono droni-sentinella che proiettano ologrammi di vulve giganti a scansione laser che rilevano “energia maschile cis non-consensuale”.

La loro musica è generata da IA addestrate su testi di Audre Lorde e Donatella Rettore con mix di rap maschilita e manuali di ingegneria genetica. Il loro “fuck you” è un algoritmo: identificano, classificano, cancellano brani e film maschilisti, li reinterpretano. Con la stessa ferocia sarcastica con cui i punk sputavano, loro de-platformano, sono psicotiche, utopicamente incantevoli, ma brutte e pelosette.

È una guerriglia del significato, combattuta con hashtag esplosivi e meme che sono granate semantiche di nulla puro. Due tribù, apparentemente nemiche ma in realtà complementari. Hanno l’ossessione per la purezza, qualcosa che li scorpora dal dato reale, dalla genetica, dalla cultura, da tutto. Gli Incel venerano la purezza del loro fallimento, intoccabile, incomprensibile ai “chad” e ai “normie”. Sono l’ignoto, il fallimento è un caos cosmico, un Infinite Jest, reiterato dal loro nume tutelare Michel Houellebecq.

Le Femministe di Quinta Ondata lottano per la purezza degli spazi (fisici e digitali), liberi da qualsiasi contaminazione tossica e di genere, liberi dalla matrice maschilista e patriarcale, anelano la macchina asessuata e pura.

Entrambi rifiutano la narrazione del “progresso” lineare. Gli Incel lo vedono come una barzelletta crudele, le Quinte Onde come una trappola patriarcale da smantellare pezzo per pezzo.

Entrambi sono profondamente, disperatamente tecnologici. Gli Incel vivono nella prigione digitale del loro risentimento; le Quinte Onde usano il digitale come arma e scudo per costruire utopie iper-controllate, nella loro eterna ossessione di osservare tutto, offendersi per tutto.

Immaginateli per un attimo insieme. Gli Incel in un angolo, a mormorare statistiche sulla lunghezza delle mascelle. Le Femministe di Quinta Ondata nell’altro, a calibrare droni per rilevare micro-aggressioni nel tono di voce. Non si parlerebbero mai. Si cancellerebbero a vicenda all’istante.

Eppure, in quel silenzio carico di odio, risuona la loro purezza, la loro grazia rozza, il loro punk maschilisto-femministoide, il loro limonare con la fine.

La loro ribellione è sterile, per forza di cose. E’ forse assurda, forse pericolosa. Sicuramente lo è la loro deriva.

Ma in un 2025 liscio, ottimizzato, dove anche il dissenso è un prodotto da playlist, il caos implosivo o iper-attivo di questi movimenti è l’unico graffio rimasto sulla superficie di cristallo di un presente sempre più finto, dove l’irrazionale, l’irregolare è una sindrome psicotica autodefinita ed autoimposta.
Sono i punk di fine mondo, che ballano non sulle macerie, ma sul sesso dell’uomo e della donna.