Analisi del testo di Looking for a man in finance, rèclame sentimentale in apparente contraddizione, che fa vibrare le orecchie e i cuori della nuova generazione femminile; grido disperato che foraggia il sogno reazionario dell’uomo cacciatore (o squalo della finanza è la stessa cosa) proprio mentre se ne dovrebbe iniziare a celebrare la scomparsa.

Looking for a man in finance. È iniziato come uno scherzo quello di Megan Boni, meglio conosciuta come @girl_on_couch, ventisettenne newyorkese. Il 30 aprile pubblica su Tiktok un testo a cappella, che recita così: «I’m looking for a man in finance. Trust fund. 6 ft 5″. Blue eyes. Finance» (Cerco un uomo che lavori nella finanza. Fondo fiduciario. 1,90 cm. Occhi azzurri. Finanza). Poteva finire lì, e invece no, l’appello della “creator” a realizzare una base per il suo testo viene accolto positivamente: nel giro di pochi giorni alcuni utenti remixano la strofa, che viene ricondivisa milioni di volte, complici influencer vari, fino a catturare l’attenzione di David Guetta, che ne arrangia la versione divenuta celebre, rendendola un tormentone, probabilmente la canzone che ci ammorberà quest’estate. Ma come è potuto accadere? Mezzo secolo di lotte femministe, rivendicazioni, manifestazioni, assemblee universitarie, seminari di bioetica, slogan, capelli blu, il corpo è mio lo gestisco io, criminalizzazioni del maschio eterobasico e alla fine il contenuto che fa il giro degli iphone delle ragazzine di mezzo mondo è quello che reclama un uomo alto 1 metro e 90 e che lavori in finanza?

Le vie della viralità sono infinite, ma non sono mai casuali: tutto ciò che l’algoritmo premia deve intercettare uno zeitgeist, un’urgenza diffusa, qualcosa che abbia a che fare con l’inconscio della vita pubblica. Ce lo vorrebbe spiegare la stessa Megan Boni, ormai cantante suo malgrado (ha firmato con la Universal Music), che in un’intervista rilasciata alla BBC dichiara: «volevo solo prendere un po’ in giro le ragazze che come me si lamentano di essere single ma poi hanno una lista di bisogni impossibili». Questa è la versione ufficiale, quella che giustifica tutto e rende l’intera operazione in fin dei conti pacifica e consolatoria. È la versione cosciente dell’autrice, scritta sulla carta velina della paura di una gogna mediatica al femminile, talmente debole e sottile che risulta facilissimo vederne in controluce il contenuto latente, quello che non si può sostenere, perché rivelerebbe alle donne il principale nemico del femminismo, e cioè loro stesse, o almeno quella parte di loro che, tutto sommato, il patriarcato lo rimpiange.

Ormai è chiaro che la parte più visibile della società, dal secondo dopoguerra in poi, si sta spontaneamente scrollando di dosso un sistema patriarcale grottesco e obsoleto, almeno da quando le donne sono entrate a tutti gli effetti nel mondo professionale, con qualche gap che però va mitigandosi. Nessun uomo sente più l’obbligo di dirsi maschilista: gli svantaggi di una simile dichiarazione hanno superato di gran lunga i vantaggi. Dalla riprovazione sociale all’impossibilità economica di mantenere un’altra persona e insieme il proprio status, dai doveri insostenibili di una virilità che ha fatto il suo corso alla fine dell’epoca bellica, gli uomini sono l’ultimo problema di chi lotta contro il sistema patriarcale, un sistema che nel maschio trova il soggetto più a disagio, e se alcuni elementi residuali ad esso ancora si richiamano grottescamente, ne confermano l’eccezione. La parabola di questo brano, invece, fa pensare che tra le donne, sotterraneamente, inconsciamente, venga covata ancora la nostalgia per l’uomo in grado di tutelarle sul piano economico, di conferire loro sicurezza, anche fisica (cercasi 1,90cm di altezza), benessere per sé e per la propria prole nel mondo grande e terribile. Un istinto (questo sì, basico) di sopravvivenza che contraddice un secolo di lotte femministe e di progressismo proprio nel momento storico in cui queste lotte sembrano essere culturalmente, mediaticamente più battagliere e vincenti. Questa canzone è un grido disperato di una generazione di ragazze che foraggiano il sogno reazionario dell’uomo cacciatore (o squalo della finanza è la stessa cosa) proprio mentre hanno finito di ucciderlo, è anche la riprova che spesso le idee sono solo idee, giuste o sbagliate che siano, e prima di esse c’è invece la vita, con i suoi richiami ancestrali, con le sue paure ataviche, che intervengono come a voler ristabilire un ordine archetipico tra i sessi.

È un’ingiustizia, un’oscenità, una volgarità soprattutto, ma, questa volta, è una parte, sicuramente non la maggioranza, ma una parte delle donne a esserne l’artefice, compiendo tra l’altro indirettamente quella stessa discriminazione e quel body shaming di cui si dicono vittime a loro volta. Sul cadavere del maschio caduto, le donne danzano al ritmo di Looking for a man in finance: una specie di rito di riesumazione, di risurrezione dei corpi. Alti almeno 1 metro e 90, si spera, altrimenti niente.