Non ho mai scritto recensioni. Ho cominciato il libro delle signorine Eterobasiche con la speranza di poter ridere durante un mio viaggio di un’ora e venti passando per il casello di Carisio. Si intitola Romanzo di un Maschio (Einaudi Stile Libero) che suona quasi come un romanzo criminale. Il libro delle ragazze romane però è una notizia importante, motivo per cui questo articolo spero esca dopo la chiusura della borsa di Milano. La narrazione è costruita sulle colonne della vita dei Maschi Bianchi Cisgender Etero Basici, legati da un unico filo ariano: le vacanze estive a Mykonos. Il tutto è un pot-pourri di battute scadute («Borsa di Michel Kors e stivali texani fino al ginocchio»; «È finita la pacchia»; «Spero tanto che la mia prossima fidanzata sappia cucinare, non ne posso più di donne handicappate») e scadenti («Avevo detto a mia sorella, Silvia, di acchittarsi decentemente, almeno per stasera, e invece s’è dovuta vestire di nuovo da lesbica»; «…due tette giganti…»; «Lo sapevo che non dovevo fidarmi di una persona che pesa più di novanta chili»;) confezionate da un piattume linguistico camuffato da linguaggio di strada («Le vedo belle imbenzinate, e se continuiamo a lavorarcele come stiamo facendo potrebbero pure regalarci un limone lesbo»; «Le ragazze vanno lì a scroccare cocktail, mercificando il proprio corpo e facendosi foto mezze nude sui motorini»; «Credo sia un ragionamento giusto e credo anche che sia davvero bello che esistano ancora persone cosi al mondo»), meta-battute (nazifemminista asociale e brufolosa, buonismo di sinistra) e buzzwords (se la chillano; gaslighting, body positivity) surgelate, pronte ad essere riscaldate all’occasione, per poi servirci questa zuppa agghiacciante di pressapochismo.
La scrittura risente infatti di questa tensione tra il linguaggio scarno e simil underground trasmesso dalle autrici e l’infiocchettamento da parte di un plotone di editor boomer con la passione per il post-strutturalismo, che finisce per produrre una prosa del tutto innaturale, artificiosa, ingessata. I luoghi comuni ricorrenti della narrazione maschioeterobasica sono piegati alle finalità del discorso, alla morale sottointesa del libro, quindi non hanno spontaneità, sono sistematici, quindi noiosissimi, perché non stupiscono più.
Il romanzo è colmo di riferimenti culturali attuali, quindi già vecchi, ma anche di atteggiamenti ormai demodé: vediamo questi maschi interrogarsi sulle scie chimiche oppure alle prese con il tentativo di arricchirsi con le criptovalute. Ragazze, poi le O-Bag e le Hogan si prendevano in giro quando Igli Tare giocava ancora nella Lazio. Ne è passata di acqua sotto al Tevere, no?
Chi sono le Eterobasiche? Le ragazze sono simpatiche il tempo di una birra, ma non vedo la necessità di scrivere un libro in cui sono state raccolte storie da ricreazione scolastica o prodotti figli di Facebook che andavano in voga nel 2013 assieme ai post “Scopri che fiore della bassa padana sei”. Sembra la brutta copia di una sceneggiatura verdoniana, prodotto della parentesi temporale che loro stesse perculano.

Una figura a loro particolarmente cara è quella della ragazza che tra maschi si mischia, quella che ha interessi che metti nella cartelletta blu. Quali precisamente poi, non saprei dire. Per esempio, si vantano con fierezza di ruttare durante le dirette nella piazza-Instagram, ma ruttare è cosa da tutti, solo che alcuni hanno la decenza di svolgere la propria attività gastro-intestinale nella solitudine domestica. Le parolacce, altro articolo fondante della Costituzione eterobasica, escono sia da rigonfiate labbra maschili che da quelle barbute femminili e poi usare esattamente il sostantivo “parolaccia” per come spesso mi è capitato di sentirle dire è un po’ come quando alla quarta elementare abbiamo letto per la prima volta la parola “sesso”. Per usare un linguaggio da E-Toro Basiche, il turpiloquio è come l’anale: è piacevole solo se fatto poco e bene. Anche la bestemmia, grazie al Signore, è assente di genere sia nel mittente, sia nel destinatario. «Noi andiamo a vedere la Lazio in Curva Nord» dichiarano sempre con una certa fierezza.
Le ragazze in curva ci sono sempre state, ma pochi ricordano Susanna e Luisa che negli anni ’70 cantavano «Eravamo lì per la curva e il Toro, per far casino come loro». Erano altri tempi e le donne – la cui emancipazione passa sicuramente anche per lo stadio – non potevano far nascere una campagna di sensibilizzazione social solo perché qualcuna aveva ricevuto uno sguardo di qualche grado più ammiccante del solito o perché l’operaio le aveva fatto catcalling. Non potevano neanche scegliere se andare in vacanza con un orso o con un uomo, una vera barbarie.
E poi in un’altra intervista: «Ci piacerebbe essere maschi, però non siamo mai accettate dal gruppo». «Vamo allo stadio, famo i maschi, diciamo le parolacce»… avanguardia pura. «La gente non è abituata a vedere donne che si comportano da uomini». L’umanità è mediocre, Valeria. La maggioranza delle donne non è superiore né inferiore alla maggioranza degli uomini. Esse sono uguali. Tutte e due meritano lo stesso disprezzo. Mi auguro quanto meno che i prossimi reels, partnership con brand di creme e altre adv suscitino grazie a voi delle eroine simili a quella magnifica Caterina Sforza che, mentre sosteneva l’assedio della sua città, vedendo dall’alto delle mura il nemico minacciare la vita di suo figlio per obbligarla ad arrendersi, mostrando eroicamente il proprio sesso, gridò: «Ammazzatelo pure! Mi rimane lo stampo per farne degli altri!». Io me la immagino Cleopatra che beve sette IPA e due shots di vodka prima di incontrare l’ufficio stampa di Giulio Cesare o Giovanna d’Arco che con molto savoir-faire fa una gara di rutti con François Le Criminelle. Non Erinni, o Amazzoni, non Semiramide, Giovanna Hachette, Giuditta, Carlotta Corday o Messalina, la libertà a cui aspirano le eterobasiche è quella di poter far schifo come gli uomini, che va benissimo, ma forse ci aspettavamo qualcosa in più da 150 anni di alfabetizzazione.
Incapsulate tra due sessi, le EB sembrano soltanto in crisi di identità almeno quanto il maschio che criticano, ed è forse questa crisi che muove il loro gioco di appropriazione culturale e di decostruzione spicciola. Forse invece è solo un’invidia del pene che le porta a vivisezionarlo, o viceversa una vivisezione che alla fine le ha portate ad invidiarlo. Non lo sapremo mai, sicuramente però c’è una carenza di idee sul maschio che non siano quelle che il maschio già dice di sé, e insieme l’assenza di un elemento disturbante, tant’è che questa critica da femmine a maschi bianchi viene presa con leggerezza dagli ultimi, che non la vedono mai come una minaccia, ma come una caricatura che potrebbero farsi e che si fanno da soli, quindi anche un po’ come un’assoluzione. Alle donne, invece, confermerà i loro di pregiudizi sui maschi, compiacendole, e tutto rimarrà come prima. Perché le eterobasiche riproducono il già detto del discorso maschile, quando l’unica cosa interessante di ogni discorso è il nondetto. Salvo poi fare la solita morale sulla prigione degli stereotipi che però non risolve nulla, perché rinunciare a uno stereotipo per abbracciarne un altro, quello dei nonetero nonbasici, è appunto una nonsoluzione.
Tant’è infatti che tutta questa pantomima ha già stufato in primis le due autrici, intrappolate nei loro personaggi, motivo per cui stanno tentando in tutti i modi di uscire dal loro format e darsi un tono autoriale – da scrittrici, domani magari da conduttrici o da capi ultras.
Valeria e Maria Chiara sono alla ricerca di quel riconoscimento che in Italia inevitabilmente passa per la pubblicazione di un libro. Cosa per altro molto basica, essendo che solo nel 2022 sono stati pubblicati 86.174 libri con una tiratura di più di 198 milioni di copie per una popolazione di 60 milioni. Al netto dei biglietti dello stadio, della birra e dei Gratta e Vinci, quanti soldi vuoi che ci rimangano per i libri? Sono calcoli e statistiche che le nostre voyeuriste del sesso maschile dovevano sapere, essendo la statistica anch’essa una materia da maschio basic che studia economia. Fai un figurone se passi poi per Einaudi sancendo forse il definitivo declino della casa editrice stessa e al contempo confermando che a volte innovazione equivale a distruzione. Il viaggio continua in una sala del Salone del Libro di Torino e così l’iter dell’intellettuale da discount è compiuto. Maggior ragione – come loro stesse hanno dichiarato – se si immaginano un futuro più da autrici che da influencer.
Incontriamoci piuttosto nella Curva Nord dell’Inter, con una birra in ogni mano, dopo aver scommesso sui cavalli, ma non in una sala conferenze, non alla presentazione di un libro, non in una enoteca di vini naturali che è anche libreria, ma che vende pure magliette fatte rigorosamente con il filo della peluria di un unicorno del segno zodiacale del Sagittario cresciuto tra l’India e il Pakistan.
Vi prego, no. Basta gli intellettuali, basta gli scrittori, basta cercare di fare Cultura, basta. Continuate a fare solo quello che vi viene a fare meglio: il Nulla, che non è niente, ma almeno fa ridere e io, la prossima volta, che passerò per il casello di Carisio, voglio ridere, ridere!