Questo testo-saggio va letto come un’insieme di favole. Al posto dell’Abete e del Rovo troveremo uno spazio nel quale si racconta della Realtà e della Rappresentazione che litigano tra loro. La Realtà si vanta di essere più tangibile e concreta. La Rappresentazione però dice che alla Realtà piacerebbe essere rappresentazione per non essere abbattuta dall’Immagine. […]

Questo testo-saggio va letto come un’insieme di favole. Al posto dell’Abete e del Rovo troveremo uno spazio nel quale si racconta della Realtà e della Rappresentazione che litigano tra loro. La Realtà si vanta di essere più tangibile e concreta. La Rappresentazione però dice che alla Realtà piacerebbe essere rappresentazione per non essere abbattuta dall’Immagine. Al posto de Il leone e l’asino che andavano a caccia insieme leggeremo di Tecnologia e Magia e la loro comunione d’intenti. Ci chiederemo “chi ha violato il godimento?” e parleremo di papà Capitalismo che mangia i suoi stessi figli.

Il perno di queste favole sono gli Iperdispositivi. Quando il filosofo Foucault cercava di dare un nome a un insieme di discorsi, istituzioni, regole, atti, gesti e alla rete che si stabilisce tra questi elementi trovò come calzante il termine Dispositivo: “Il dispositivo è sempre iscritto in un gioco di potere. […] Il dispositivo è appunto questo: un insieme di strategie di rapporti di forza che condizionano certi tipi di sapere e ne sono condizionati”.

Il dispositivo, in maniera paradossale e a dispetto della sua stessa natura filosofica, è stato negli anni controllato e contenuto all’interno di alcuni oggetti. Questi oggetti, gli Iperdispositivi, sono la magia, il godimento, l’immagine e la burocrazia. A intrattenere una relazione con essi è la tecnologia che accompagna l’Occidente da quando Adamo ed Eva aprirono gli occhi e entrambi si accorsero che erano nudi e cucirono delle foglie di fico e se ne fecero delle cinture. Ovvero una metafora di quando l’individuo si accorse della sua immagine e della possibilità di lavorare un oggetto e farne una tecnologica cintura.

Gli iperdispositivi sono, riassumendo, oggetti capaci di trattenere quell’insieme eterogeneo di strutture e reti e di potenziarlo, controllarlo, orientarlo.

Questa è una prefazione alle generalizzazioni dei quattro testi che verranno (uno per ogni iperdispositivo). A differenza delle favole non provate a trarne una morale, semplicemente non esiste.

Davanti alla legge c’è un guardiano. Davanti a lui viene un uomo di campagna e chiede di entrare nella legge. Ma il guardiano dice che ora non gli può concedere di entrare. L’uomo riflette e chiede se almeno potrà entrare più tardi. «Può darsi,» risponde il guardiano «ma per ora no.» Siccome la porta che conduce alla legge è aperta come sempre e il custode si fa da parte, l’uomo si china per dare un’occhiata, dalla porta, nell’interno. Quando se ne accorge, il guardiano si mette a ridere: «Se ne hai tanta voglia prova pure a entrare nonostante la mia proibizione. Bada, però: io sono potente, e sono soltanto l’infimo dei guardiani. Davanti a ogni sala sta un guardiano, uno più potente dell’altro. Già la vista del terzo non riesco a sopportarla nemmeno io». L’uomo di campagna non si aspettava tali difficoltà; la legge, pensa, dovrebbe pur essere accessibile a tutti.
Davanti alla legge, Franz Kafka

Nel racconto Oltre il Confine dello scrittore americano Cormac McCarthy i protagonisti, Billy, suo padre e suo fratello Boyd conducono una spedizione di caccia. Stanno tentando di intrappolare una lupa incinta che ha predato il bestiame vicino alla fattoria della famiglia. Quando Billy finalmente cattura l’animale, lo imbriglia e, invece di ucciderlo, decide di riportarlo sulle montagne del Messico dove crede si trovi la sua casa originale. Per far ciò abbandona la sua famiglia:

Finí di cenare e andò a letto. Boyd dormiva già. Rimase sveglio a lungo pensando alla lupa. Cercò di immaginare il mondo dalla sua prospettiva. Cercò di immaginarsela mentre correva su e giú per le montagne di notte. Si domandò se la lupa fosse davvero cosí misteriosa come aveva detto il vecchio. Cercava di immaginare che odore e che sapore avesse per lei il mondo. Si domandò se il sangue vivo di cui si saziava avesse un gusto diverso da quello ferroso che correva nel suo corpo di ragazzo. O dal sangue di Dio. La mattina seguente, prima che facesse chiaro, andò a sellare il cavallo nel buio gelido del fienile. Uscí dal cancello ancora prima che il padre si alzasse e non lo vide mai piú.1

I racconti sul vecchio West ci affascinano così tanto, perché a sedurci è quello spirito di libertà e indipendenza che di cui oggi percepiamo la mancanza. Oggi non potremmo svegliarci e non vedere più i nostri genitori. La tecnologia ce lo impedirebbe, la banca ci cercherebbe, la dogana ci bloccherebbe, un giornale scriverebbe di noi che siamo scomparsi. Tutti si attiverebbero per ritrovarci. La nostra immagine circolerebbe sui social, sarebbe appesa sui muri dei palazzi insieme a una serie di nostri dati e indicazioni sui tratti somatici. Invece in Oltre il confine Billy si alza e scompare alla volta dell’ignoto.

McCarthy racconta di gente che con pazienza infinita cerca di rimettere a posto il mondo. Di riportare le cose dove dovrebbero stare. Di correggere le impurità del destino. Che sia una lupa, o dei cavalli rubati, o un cadavere, o un bambino perduto: quello che fanno è cercare di riportarli al loro posto. E non c’è spazio per la ragionevolezza o il buon senso: è un istinto che non conosce limiti, un’ossessione incurabile. Se occorre la violenza, si usa la violenza. Se bisogna morire, si muore. Con la ferocia e l’ottusa determinazione di un giudice che deve riequilibrare i torti della sorte, gli eroi di McCarthy vivono per ricomporre il quadro sfigurato del mondo. Il Reale è una Ferita, e loro ne cercano i lembi, e inseguono la saggezza che saprebbe riunirli nella salvezza di qualche cicatrice.2

Il nostro è un mondo contrario a quello dei racconti di McCarthy, nel nostro non c’è spazio per la spontaneità, per i gesti insensati, per le ossessioni. L’Occidente contemporaneo non ha smesso di cercare i lembi della ferita, ma ha impedito questa ricerca attraverso il più spietato dei dispositivi: la burocrazia. Oggi, nessuno di noi riporterebbe indietro la Lupa. Le metterebbero un microchip con una serie infinita di dati e la chiuderebbero in un recinto. Poi ci chiederebbero di ritornare a lavoro, ovvero a compilare un’infinità di scartoffie burocratiche.

Ogni nuovo modulo o dichiarazione dei redditi da compilare, ogni foglietto pieno di cavilli da firmare pone un ulteriore lucchetto tra le sbarre che ci separano dal mondo. La burocrazia è l’esempio supremo della degenerazione delle buone intenzioni.

Nonostante i vantaggi che non bisogna mai dimenticare o mettere in discussione, è al tempo stesso ovvio che la tecnologia renda possibile e serva lo scopo di una sorveglianza costante. Anche quando i dispositivi tecnologici nascono con obiettivi diversi, alla fine vengono inghiottiti dal despotismo burocratico e rimessi in circolo come dispositivi di controllo.

I dispositivi non estraggono i dati comportamentali per migliorare il servizio offerto agli utenti, ma per far combaciare gli ads ai loro interessi, dedotti dalle tracce collaterali lasciate dal loro comportamento online. Con l’accesso senza precedenti di aziende come Google ai dati comportamentali, è stato possibile sapere che cosa un determinato individuo stesse pensando, provando e facendo in un determinato luogo e momento. Per ogni ricerca condotta attraverso il motore di ricerca di Google il sistema presenta simultaneamente una configurazione specifica di un particolare ad. I dati usati per mettere in atto questa traduzione istantanea della query in un ad, un’analisi predittiva che venne chiamata matching, compilano nuovi set di dati, chiamati user profile information, in grado di aumentare drasticamente l’accuratezza di tali previsioni. Grazie a queste informazioni non si sarebbe più dovuto tirare a indovinare cosa piace, cosa si pensa o quali siano le principali paure della popolazione; di conseguenza sarebbero drasticamente diminuiti gli sprechi del budget pubblicitario.3

Una sorta di surplus o inconscio comportamentale, nella quale il continente dei dark data della nostra vita – intenzioni, motivazioni, significati, bisogni, preferenze, desideri, umori, emozioni, inclinazioni, verità, bugie, perlopiù recondite o nascoste – viene portato alla luce perché qualcun altro possa beneficarne. Nel caso delle aziende, estrarre profitto, nel caso degli apparati burocratici e di potere, sorvegliare. Lungi dal volersi prendere cura di noi, la tecnoburocrazia serve a renderizzare la nostra identità in piccoli insiemi di dati comportamentali, da mappare e osservare.

La società in cui viviamo si è trasformata in una burocrazia di mercato, un modo di vivere in cui il valore economiche penetra in ogni aspetto dell’attività umana, nel quale le relazioni sociali sono regolate da una serie di dati economici, sanitari, amministrativi e sociali. Persino l’amore è frutto ormai della scelta di un algoritmo; il che a prima vista potrebbe sembrare poco diverso da un incontro voluto dal caso in un bar. Ma come non tutti i mali vengono per nuocere, non tutti i beni vengono per favorire. Da quando le nostre vite sono indirizzate da un algoritmo, da quando si sono aperte davanti a noi infinite possibilità, da quando la tecnologia si è promessa come astronave d’oro lanciata verso il futuro e la pubblicità ci spiega l’ultima ideologia del giorno, abbiamo scoperto un nuovo tipo di infelicità.

Ogni cosa, anche ciò che potremmo definire spontaneo, si è burocratizzato, ovvero è stato imprigionato in processi schematici, rigidi, pesanti. Si è instaurato un processo per il quale tutto, da un appuntamento su Tinder alla dichiarazione dei redditi, dal percorso universitario a un viaggio in una regione tropicale, muore nell’uguale, in rigidi schemi burocratici preimpostati.

Come nei migliori racconti di Kafka, combattere la burocrazia è impossibile. Nessuno sa chi ha redatto le regole che governano la nostra vita, né perché vanno rispettate, ma non mancherà mai chi verrà a bussarci alla porta nel caso in cui non le seguissimo pedissequamente.

  1. Oltre il confine, Cormac McCarthy, Torino, Einaudi, 1995, p. 370 ↩︎
  2. Prefazione di Alessandro Baricco alla Trilogia della frontiera. Cavalli selvaggi. Oltre il confine. Città della pianura di Cormac McCarthy, Einaudi, 2023 ↩︎
  3. Il capitalismo della sorveglianza, Il futuro dell’umanità nell’era dei nuovi poteri, Shoshana Zuboff, Luiss, 2023 ↩︎