Non c'è nulla che tira più, nelle librerie o nei cinema, della rivoluzione. Le migliori menti del nostro secolo sono state sedotte e cooptate dalla società dello spettacolo, hanno svenduto il proprio pensiero, introducendolo nella macchina del successo, depotenziandolo, offrendolo in sacrificio a editori e produttori pronti a devolverlo al potere dominante e alla società dei consumi.
Estratti del libro "Regola il tuo passo su quello delle tempeste" (GOG 2023)

L’industria culturale, che nell’era della piccola-borghesia-planetaria vive principalmente di cinema ed editoria, è insieme (e paradossalmente) sia l’arma più potente per la rivoluzione sia il mezzo più efficiente per la riproduzione di sé del potere costituito. Questo paradosso si fa lampante nei libri o nei film che sembrano criticare il mondo in cui ci è toccato esistere, che promuovono atteggiamenti apparentemente controculturali, ma ricevono poi il successo al botteghino, e i posti in vetrina nelle librerie. Per ogni biglietto strappato, per ogni copia venduta viene meno la loro carica eversiva, il messaggio promosso perde di consistenza rivoluzionaria e finisce integrato nel disilluso discorso dominante. Perché il mezzo tramite il quale si affida al mondo un messaggio non è mai esso stesso privo di contenuto, ma promuove e accoglie tutto l’apparato che gli permette di esistere.

È quel paradosso che qui abbiamo più volte sottolineato dei sedicenti editori indipendenti che sopravvivono grazie ai sussidi statali, al PNRR, a Resto al Sud. Un messaggio finirà sempre per essere svilito dal proprio mezzo e dall’insieme di circostanze che ne permettono la diffusione. Ed è per questo che il potere, oggi, ha imparato a promuovere le proprie critiche, a premiare i propri detrattori.

Così è successo a Fight Club, libro e film, presto integrati nella cultura di massa e memizzati, ridotti ad artefatti nostalgici di un mondo fuori dal capitalismo che questi stessi prodotti hanno reso ancora più lontano e inaccessibile. Ma anche a V per Vendetta, Matrix, Triangle of Sadness (e tutti quel filone di black humor scandinavo) e chi più ne ha più ne metta.

Ma allora come mantenere e la carica eversiva di un messaggio e la possibilità della sua diffusione? Ci limitiamo a riportare le parole di Mario Perniola nel suo ultimo-primo libro, Regola il tuo passo su quello delle tempeste:

“La scrittura e la stampa sono state le armi di battaglia della borghesia nella sua lotta contro l’ancien régime e non possono essere adoperate impunemente per altre battaglie. Ogni tentativo di rivolgerle ingenuamente contro il potere borghese è destinato a fallire. Lo scritto rivoluzionario oscilla tra l’impotenza e il successo editoriale; la sua diffusione non è per nulla garanzia di efficacia, ma paradossalmente la migliore repressione, lo svilimento, l’eliminazione di ogni pericolosità. Il medium di cui si vale, la forma merce che riveste, il prestigio sociale dello scrittore come «uomo positivo», prevalgono sul suo contenuto che diventa un mero pretesto, un fattore di moda culturale e di competizione mondana. Il ruolo di rivoluzionario libresco e la carriera di impiegato statale non sono per nulla inconciliabili, anzi vanno nello stesso senso.

La censura, l’intolleranza teorica, le persecuzioni «ideologiche» sono avanzi feudali che la borghesia ha ereditato dall’ancien régime: in piena età borghese a nessuno più importa di cosa il singolo scriva. Le fantasie sul carattere corruttore e maledetto dei libri sono un residuo del passato pre-borghese: non per nulla oggi sono coltivate soltanto dalle vecchie zie di provincia, dai magistrati nevrotici e dai surrealisti. Massima tolleranza vuol dire massima indifferenza e massima sicurezza.

Che cosa resta al rivoluzionario antiborghese, stretto tra l’inesistenza dell’insurrezione e l’impotenza della scrittura, del cinema e degli altri media tradizionali? Non gli resta che il détournement, ossia l’uso rovesciato e stravolto dei media, delle forme, delle istituzioni irrimediabilmente compromessi: «le due leggi fondamentali del détournement – scrive Debord – sono la perdita di importanza, che va fino alla perdita del suo senso primitivo, di ogni singolo elemento détourné; e nello stesso tempo, l’organizzazione di un altro insieme significante che conferisce ad ogni elemento la sua nuova portata». Se per la cultura borghese la storia si svolge secondo una legge di cronico ritardo per cui il contenuto apparente di un medium è il medium precedente, per il rivoluzionario è vero il contrario: egli agisce in una situazione di anticipo, per cui il contenuto della sua opera appartiene al futuro e porta in sé la critica della propria formulazione e del medium a cui si affida. Mentre la mediazione borghese è vittima inconsapevole del ritardo, la mediazione rivoluzionaria si fonda sulla più lucida coscienza dell’anticipo e non può mai prescindere da essa, pena il decadere nell’apologia dell’esistente.

La considerazione rivoluzionaria del medium in se stesso non lo eternizza affatto, ma anzi lo storicizza, storicizzando nel contempo se stessa, senza perciò restare paralizzata dal dato di fatto. Tuttavia il détournement non è una soluzione stabile e definitiva; è uno sforzo continuo, una tensione, una lotta destinata a protrarsi indefinitamente; è il movimento stesso della creazione che non può mai offrire il prodotto all’altrui contemplazione passiva, ma deve sempre ritornare su di esso, sui significati, sulle interpretazioni, sui fraintendimenti che esso genera per evitare che la società borghese lo recuperi e ne stravolga il senso a proprio vantaggio. L’essenziale dell’opera si svolge così al di fuori dell’opera e la sua divulgazione è soltanto l’inizio del processo che la conduce alla sua realizzazione pratica.