Elon Musk è un ispiratissimo, a tratti geniale, provocatore. Ha un alto tasso di genialità che oscilla tra intuizioni lungimiranti e ossessioni personali paranoidi. Guarda alle stelle ma spesso inciampa sui marciapiedi.

Curtis Yarvin, conosciuto anche come Mencius Moldbug, è un pensatore imperialista che propone un’idea di elitarismo tecnologico orientata verso una sorta di “neoreazionismo”. Yarvin immagina un mondo in cui leader illuminati, supportati dalla tecnologia e dal capitale rappresentato dei CEO-imperatori, possano guidare la società verso un futuro ordinato, eliminando le inefficienze del parlamentarismo e le contraddizioni della democrazia. Yarvin è uno dei “compagni di merende” della PayPal Mafia di Elon Musk. E chi meglio di Musk incarna questa visione?

Eppure, a differenza di quello che viene raccontato, Musk non è l’anti-eroe distopico di una novella cyberpunk alla Star Wars o Dune. Non è l’Anticristo, né il salvatore libertario che condurrà lo Stato verso un’utopia antiburocratica. Elon Musk è un ispiratissimo, a tratti geniale, provocatore. Come spesso accade a figure di spicco dallo spettro autistico, ha un alto tasso di genialità che oscilla tra intuizioni lungimiranti e ossessioni personali paranoidi. La sua arma maggiore è la sfrontatezza: in un breve tour europeo, prima del famigerato gesto che ha fatto urlare allo scandalo la nostra intellighenzia che si è svegliata sovranista, ha letteralmente umiliato, nell’ordine: il tedesco Scholz, la magistratura italiana e l’élite inglese.

Musk è un uomo che guarda alle stelle ma spesso inciampa sui marciapiedi. È un sognatore allucinato, convinto che le droghe psicotrope possano migliorare il cervello umano, e forse anche il futuro. Musk è il Marinetti del 2000: nel bene e nel male, è lo Zeitgeist incarnato. Come Napoleone rappresentava il fervore rivoluzionario e l’ambizione imperiale del suo tempo, Musk incarna una civiltà occidentale divisa tra iper-tecnologismo e conflitti sociali, tra sogni di colonizzazione spaziale e trollate su Twitter (o X, come preferisce chiamarlo), distopie e balletti ai congressi.

Ma il successo di Musk non si basa solo sui risultati concreti: si fonda su una fede quasi mistica che ispira investitori di tutto il mondo. Tesla è più marketing che rivoluzione, Starlink è un monopolio folle e messianico, Neuralink una scommessa audace ma forse irrealizzabile. SpaceX? Una sinfonia di successi e rischi che potrebbe trasformarsi in un colossal epico o in un’opera incompiuta. Musk non è un dittatore tecnologico né un salvatore: è una nuova icona, un mix tra scienziato pazzo e predicatore/influencer, che incarna la polarizzazione e la crisi di un’epoca in trasformazione.

La sinistra è un’autorità materna, empatica e inclusiva; la destra, invece, rappresenta un’autorità paterna, severa e meritocratica. Sorprende come l’elettorato trumpiano sia composto da giovani appassionati di tecnologia e criptovalute, che nutrono un odio profondo verso i campus universitari woke dei privilegiati. È altrettanto significativo come Trump abbia guadagnato consensi nella comunità afroamericana grazie a un progetto, quasi “sinistrorso”, di rafforzamento delle università pubbliche.

In mezzo a tutto questo c’è il sogno che Musk sta vendendo all’America: AI e robot come strumenti per scalare la società. La Silicon Valley diventa la nuova Hollywood, incarnazione del vecchio sogno americano del “farsi da sé”, ma con l’aiuto di algoritmi e intelligenze artificiali. Questo settore riflette lo spirito americano più profondo: ambizione, innovazione e una buona dose di rischio.

Nel frattempo, l’Europa sembra ingessata dalla burocrazia, con i suoi eccessi legislativi, incapace di reggere il passo di questo iper-accelerazionismo statunitense. Il crollo dello stato sociale e della sanità universale creerà voragini difficili da colmare, mentre le dispute tra woke e anti-woke distraggono dai problemi veri.

Musk è la sintesi di queste forze in lotta. È un catalizzatore di trasformazioni epocali, una figura che amplifica sogni e ansie collettive, ma non è un mago: manca l’equilibrio per rendere la sua alchimia qualcosa di realmente stabile. È un fenomeno complesso, un’esca per scemi per alcuni, ma anche il simbolo di un’umanità che oscilla tra il sogno di Marte e le crisi del presente.

E mentre Hollywood cade, mentre l’America guarda oltre, Musk ci obbliga a confrontarci con il lato oscuro di un progresso che promette molto e rischia di dividere ancora di più. Non dobbiamo limitarci a giudicare Musk per i suoi tweet o per i suoi progetti: dobbiamo chiederci chi siamo noi, come società, e a cosa stiamo realmente assistendo. Perché Musk non è solo un uomo: è il simbolo di una nube tossica, buia, complessa, che rappresenta benissimo questo nostro tempo. Un katechon che potrebbe essere luciferino o angelico, ma che, in ogni caso, non possiamo ignorare, perché sta già dividendo l’Occidente, sta già mettendo in crisi le sue strutture simboliche, quelle di una destra che vuole conservare il pensiero magico-religioso delle tradizioni ma che vede nella tecnologia l’ultima spinta per risollevare un’economia al collasso, e quella di una sinistra che non sa più come gestire le molteplici crisi del capitalismo se non ricorrendo al capitalismo stesso. E così pure Musk contiene diverse disforie, lui che vuole colonizzare Marte eppure non esclude dalla sua visione il concetto di Dio come super intelligenza divina, che ha fatto della lotta all’establishment il suo cavallo di battaglia e che adesso si ritrova a farne parte. Siamo di fronte ad un grande riassestamento del sistema, siamo nel punto più creativo e mortifero, all’alba di un nuovo grande impero selvaggio, che inizia sempre con una caduta.