Capitolo Zero
Quando i casi della vita mi pongono di fronte a una cartuccia stereo 8 di Fausto Papetti, mi guardo intorno cercando negli altri uno sguardo di complicità. Ma il mio entusiasmo per l’importante rinvenimento di un reperto trash è puntualmente raffreddato poiché trovo sempre il nulla, la meraviglia, l’ignoranza e l’inesattezza. Spesso trovo anche una domanda: «Che cos’è il trash?».
Ogni volta che mi pongono questa domanda sono preso dal panico. Per me, che recepisco gli eventi trash non attraverso la mediazione culturale ma lungo i canali di una misteriosa telepatia, non è stato facile arrivare a dare una forma il più possibile razionale a questo universo in cui la materia più diffusa è l’irrazionalità. Temevo soprattutto che, descrivendo il trash, sarei dovuto ricorrere proprio a quelle mediazioni che, alla fine, l’avrebbero ucciso.
Di solito gli osservatori credono di raggiungere precisione e imparzialità ponendosi in orbita geostatica sull’oggetto del loro studio, avvertendo nel frattempo della loro totale non-appartenenza all’ambiente che analizzano. Io invece non mi trovo sopra, ma dentro al trash. Lo osservo e lo difendo attivamente dagli attacchi dei suoi molti nemici.
Come nasce un Giovane Salmone
Secondo il credo dei mediocri che governano la nostra estetica tutte le cose che ci circondano non possono che ricadere necessariamente in uno dei due settori contrapposti: o brutto o bello, o alto o basso, o culturale o sottoculturale, o/o. All’origine di questo desiderio di ripartizione non c’è alcuna colpa: è naturale scegliere e catalogare le cose secondo la propria sensibilità. Il torto nasce quando la sensibilità personale viene sostituita dall’imposizione del pregiudizio estetico.
Chi accetta e pratica questo comportamento manicheista rinuncia a giudicare un evento in base alla rispondenza con il proprio gusto e si dedica totalmente al pregiudicarlo in base alla sua consonanza con un canone imposto. Nel 99% dei casi quel canone è chiamato «valore culturale». Insomma, chi accetta il pregiudizio delega a terzi la formazione del proprio gusto.
Il pregiudizio estetico possiede una forza che a volte può far perdere le speranze a chi voglia combatterlo: di fronte a una persona che lo applica, la ragione non riuscirà mai a spuntarla. Se uno di questi personaggi è determinato a non voler vedere un certo film solo perché Maurizio Porro ne ha parlato male sul Corriere della Sera, nulla riuscirà mai a fargli cambiare idea. Il pregiudizio estetico è come un torrente impetuoso, inarrestabile, che con la sua forza cerca di convogliare a valle il consenso di ogni essere pensante.
Ed ecco che sulle rive di quel fiume avviene la nostra trasformazione. Siamo ritti sulla sponda e osserviamo il flusso dell’acqua. Possiamo restare lì e continuare a chiamarci osservatori, ascetici e al di fuori di ogni corrente. Possiamo gettarci in quel turbinio e farci comodamente trasportare nell’esaltazione del consenso collettivo. O infine, ed è ciò che vi invito a fare, possiamo sì gettarci in acqua ma, trasformati in Giovani Salmoni del Trash, dobbiamo essere pronti a risalire questo fiume ribollente di boria e ignoranza, dobbiamo raggiungerne le fonti e renderle aride.
Come agisce un Giovane Salmone
I Giovani Salmoni, nonostante il loro ruolo di osservatori consci e difensori del trash, sono perfettamente uguali ai trashisti, ossia a quei milioni di persone che applicano, cercano, usano e sfruttano il trash senza però rendersene assolutamente conto.
Ai Giovani Salmoni piacciono le cose brutte, basse e sottoculturali che brutte, basse e sottoculturali però non sono realmente, ma tali vengono ritenute dai misoneisti, soprattutto da quelli che vedono costantemente intaccato il proprio ruolo dominante.
Per esempio, ai Giovani Salmoni piace guardare la televisione, non solo per fare un dispetto alla scrittrice Susanna Tamaro e ai suoi lugubri conniventi, ma proprio perché a loro piace.
Ai Giovani Salmoni del Trash piace il King Bacon di Burghy: affrontare la cedevolezza del pane intriso di salsa, attraversare le foglie di insalata, il bacon che scrocchia e finalmente, a metà della polpetta di carne, far incontrare l’arcata dentaria superiore con quella inferiore e in quel momento pensare a Gualtiero Marchesi e a tutti i detrattori del fast food.
Ai Giovani Salmoni del Trash piace guardare gli edifici IACP dalle cimase vagamente postmodern stagliate contro l’azzurro del cielo, meglio se con gli occhiali da sole che fanno da polarizzatori, e fissando le loro forme e i loro colori inusuali richiamare alla memoria i testi degli architetti aggrappati al razionalismo più di quanto facciano certe signore con i loro fustini di detersivo.
Insomma, ai Giovani Salmoni piace fare tante cose che le menti eccelse dell’estetica established, se conoscessero il vero senso dell’espressione, definirebbero trash. Ma a loro piacciono senza condizioni né limiti e, quello che più conta, piacciono spontaneamente. Non è mai affettazione di un gusto degenerato. Se un Giovane Salmone dice che gli piace ascoltare technorave, la drum che pompa, le urla campionate, i giri tanto banali da cadere nel campo gravitazionale del pianeta Pace—Panzeri—Pilat, lo dice perché è vero che gli piace.
I cinque pilastri del Trash
Dunque, proprio come fa un trashista, anche il Giovane Salmone si esprime liberamente nelle proprie scelte estetiche. Questa libertà di espressione del proprio gusto è uno dei cinque pilastri del trash ed è un atteggiamento condiviso da milioni di persone anti-intellettuali.
Si potrà osservare che questa è una libertà condizionata, poiché, dicono, le masse sono controllate, il loro gusto è gestito dall’alto e i loro rappresentanti non posseggono alcuna facoltà di discernimento. Ma questo non è quasi mai vero. Anzi, è vero il contrario. Sono gli intellettuali a essere rigorosamente controllati e gestiti da se stessi e dall’immagine che si sono autocostruiti. Sono gli intellettuali, vero popolo bue, a non avere alcuna facoltà di discernimento, ad accettare tutto ciò che viene porto loro con lo sviante timbro di “evento culturale” e a rifiutare platealmente il resto.
Troppo spesso si dimentica che la massa è fatta di singoli. Certo, qualcuno tenta di guidare il gusto, ci riesce benissimo e molti cadono in questa trappola, ma alla fine nessuno segue esclusivamente la strada indicata. Fate un giro per i mercati rionali, stazionale davanti alle discoteche periferiche o alle scuole pubbliche, prendete l’autobus invece del taxi e vedrete come i diversi gusti imposti vengono mescolati, alterati, personalizzati fino a essere resi irriconoscibili. La contaminazione è un altro pilastro del trash.
E se nella maggior parte dei casi le commistioni sono eseguite in maniera sconcertante o in base a giustificazioni sommarie è perché si risponde, inconsciamente, ai dettami di due ulteriori pilastri: l’incongruità e il massimalismo, ossia il rifarsi a un modello senza preoccuparsi di imitarlo perfettamente.
Un’analisi più attenta del semplice giudizio sbrigativo e quasi infastidito espresso dagli intellettuali sulle tendenze di massa dimostrerebbe come quella libertà più che condizionata è guidata. Dietro quella libertà si nasconde un’azione che costituisce la vera molla principale di tutto il comportamento trash: il copiare qualcuno. Se il fine di questi costanti tentativi di emulazione fosse il semplice emulare per la necessità di emulare, se il risultato di questo inarrestabile imitare fosse un esercito di cloni perfetti come i replicanti di Grace Jones nel video di Demolition Man, allora ci dovremmo prostrare al suolo davanti a chi tuona che siamo un branco di pecoroni. Invece questo non avviene: si imita non per il gusto sterile di imitare e confondersi con mille altri, ma per poter spiccare all’interno del proprio gruppo. Inoltre il risultato di questa emulazione non è mai simile al modello. Si tratta dunque di una emulazione fallita.
Nel noto programma di vendite a domicilio Domenica con Semeraro, trasmesso da varie Tv locali un po’ in tutta Italia, il presentatore Walter Carbone cerca di emulare Pippo Baudo, ma non potendo invitare Madonna e dovendo ripiegare su Mario Tessuto, il suo risultato è trash.
Nei suoi libri e film Alberto Bevilacqua cerca di emulare certi artisti aulici, ma innestando l’estetismo decadente sulla crapulaggine parmense, il suo risultato è trash.
Durante il TG4 Emilio Fede cerca di imitare la CNN, ma circondato da collaboratori surgelati come il tristemente celebre Paolo Brosio dal Palazzo di Giustizia di Milano, il suo risultato è trash.
Quest’ultimo pilastro, l’emulazione fallita, è dunque importantissimo e basta da solo a soddisfare ogni tentativo di spiegazione poiché, enunciandolo, è già venuta a galla la formula matematica del trash:
INTENZIONE — RISULTATO RAGGIUNTO = TRASH
Per chi ama la precisazione ecco l’emulazione fallita trasformata in una formula matematica ancor più formalizzata, ma di facile applicazione:
kS – R = T
dove:
k Una costante (intenzione, povertà di mezzi, incapacità, contaminazione, incongruità, massimalismo, ritardo ecc.) che altera lo scopo
S Scopo, cioè l’emulazione di un modello
R Risultato, ciò che si ottiene
T Trash!
Di fronte a un evento estetico si provi ad applicare questa formula. Se T è diverso da 0, si è di fronte al trash. Semplice, tanto che non pare necessaria nessuna spiegazione ulteriore. E invece non è così, per colpa di quella k. Se non ci fosse quella costante d’alterazione tutte le emulazioni sarebbero riuscite e noi ci troveremmo a vivere (meschini!) in un mondo senza trash, davvero noioso e per nulla interessante. Invece la k c’è, assume forme infinite e la sua individuazione rende appassionante lo studio dei fenomeni trash.