A Bruxelles c'è aria di guerra, ma non per le tensioni internazionali. E' il clima che si respira ogni giovedì sera, quando chiude la Commissione e i portaborse scravattati si litigano il posto in fila per l'Eurospritz, sulle note di "Danza Kuduro".

E già che avanzava tempo abbiamo fatto anche la guerra


Ogni giovedì mattina a Bruxelles, come sorge il sole, un eurotirocinante si sveglia e sa che dovrà correre più veloce dell’eurotirocinante di fianco a lui o ci sarà troppa fila per un eurospritz a Plux. Ogni giovedì mattina a Bruxelles, come sorge il sole, non importa che tu sia un eurotirocinante o un’eurotirocinante, l’importante è che – ad una certa – arriverai in fila per un eurospritz a Plux.

Place Luxembourg, Place Lux per la gioventù, Plux per l’euroregazness, è il cuore pulsante della fervente bolla europa, di fronte all’Europarlamento. Il place-to-be del giovedì, la tappa fissa, il ritrovo immancabile, l’after work per antonomasia, l’occasione perfetta, l’appuntamento imperdibile. Plux è l’euromercato: non quello del semestre europeo o della moneta unica. Il mercato della carne. La Boucherie Plux ha un dress code anomalo per una macelleria: ci si presenta dopo lavoro – non ha alcuna importanza quale lavoro, fintanto che sia EU-related – quindi eleganti. Vestiti da consulenti, per intendersi. Stagisti della Commissione, lobbisti, assistenti parlamentari, traduttori, interpreti, advocacy managers, qualche coraggioso del Comitato delle Regioni – esseri esotici, non appartenenti alla santissima trinità Parlamento-Commissione-Consiglio, che si aggirano selvatici e riluttanti. E ancora campaign strategists, press officers, policy officer, legal officer, communication officer, officer officer.

Alle 18 – fuso orario dell’Eurobarometro – la Boucherie Plux apre e parte l’assalto ai balconi dei bar. Prendi il numerino e ti metti in fila. Arrivano i drink, si inizia a ciarlare, a straparlare. I colleghi, gli amici dei colleghi, ti offrono uno spritz, ti offrono una pacca sulla spalla, ringrazi, vorresti ricambiare ma l’offerente ti dice Non ti preoccupare, a buon rendere. E poi sorride. E ti dà un biglietto da visita. Perchè al mercato della carne di Place Luxembourg nulla è gratis. È la sublimazione del networking in un mercato di eurosperanze saturo e inflazionato. È la consulenza delle Big Four camuffata da pubblico. È la ricerca degli eurobenefits mascherata da bene(ficio) comune. L’obiettivo: l’accesso alla scalata dell’euro-piramide e la detassazione. Vedere il proprio nome apparire in un organigramma di una qualsiasi istituzione, ma per carità fatemi entrare che ho trent’anni, ho studiato l’iraddiddio, ho fatto i campeggi estivi dei giovani federalisti europei, il volontario al Punto Europa di Busto Arsizio, come è possibile che dopo tutto sto sforzo mamma UE ancora a malapena mi paghi l’affitto è giovedì sera sono ubriaco e le sigarette costano 12 euro ridatemi la lira.

Tutti hanno uno scoop, un gossip e – sicuramente – una previsione politica. D’altronde, sono tutti anche un po’ policy advisors. Più aumenta l’inflazione nei drink, più l’ambizione della previsione. Se alle 18:30 si scommette sulla percentuale di Alternative für Deutschland alle elezioni tedesche, alle 23 Rodolfo mi giura su sua madre che sa che Draghi è a Bruxelles, su un tapis roulant, pronto a sostituire la Von Der Leyen alla prima sbandata. Io me lo immagino, Mario ansimante in tuta da corsa, e voglio dare fiducia a quel rettiliano di Rodolfo.

La Boucherie Plux non dorme mai nella febbre del giovedì sera. Alle 22 cambia d’abito: i bar diventano club, le birre gin tonic, improvvisamente per andare in bagno tocca pagare. Rodolfo mi chiama e giura su suo padre che c’è il Generale Vannacci al Coco Bar che sta ballando sul nuovo album di Bad Bunny. Io vorrei andare a vedere – perchè stasera mi fido ciecamente di Rodolfo – ma sto parlando con Raquel che mi sta raccontando di quella volta che è andata in Toscana con i suoi genitori, o in Sicilia in gita di classe, o mi sta chiedendo se è meglio Firenze o Venezia, se è vero che Bologna è la migliore meta Erasmus d’Europa, se conosco quel tale che ha studiato due settimane a Ferrara 7 anni fa. O forse mi sta chiedendo conferma circa il fatto che nella carbonara non ci vada la panna, o se la pizza romana è più buona di quella napoletana, e quanto è sporca Bruxelles ma quanto è comodo andare a Parigi in Flixbus, o se mi piace la raclette perchè a lei piace un sacco. Insomma, una conversazione che di certo contribuisce ad alimentare il dibattito intellettuale di questo continente. Potrei chiudere il dialogo, andare al club di Vannacci, fargli un video mentre balla con Alice – che sicuramente si presterebbe al gioco –, e creare un grande euro-scandalo. Ma Raquel ha occhi grandissimi e blu e non mi va di andarmene. E comunque il mio telefono è quasi scarico, e tra l’altro poi se chiedo ad Alice di ballare con Vannacci – seppur per una buona causa – c’è anche caso che mi mandi a cagare, e poi io come torno a casa che le chiavi della bici le ha lei.

Per chi non rimorchia un contratto, una posizione junior o non strappa un bacio ad interim, il giovedì notte a la Boucherie Plux finisce con la gara di piscio – Manneken-Pis – nel giardinetto del Parlamento Europeo. Sogno di ieri, banca di oggi, orinatoio per stanotte.

Oggi però non finirà così, c’è un’aria strana. C’è tensione, è tempo di terze guerre mondiali. E tutti hanno una teoria bellica. Ci sono quelli che l’esercito europeo serviva da anni. Quelli che Trump si muove saggiamente in modalità anti-cinese e dovremmo ringraziare. Quelli che avendo vinto un torneo di scacchi nel 2006 ci spiegano gli errori strategici dell’avanzata Russa. Quelli che si doveva entrare in guerra subito, ormai sticazzi. Quelli che non bisogna entrare in guerra mai. Quelli che Zelensky sta tenendo testa da solo all’autocrazia russa che se non fermata arriverà a conquistare l’Europa, l’America, le Indie e il mondo. Quelli che la retorica di Zelensky unico difensore della democrazia mondiale è una follia demagogica. Quelli che in fondo l’Ucraina dalla caduta del muro altro non è che la nuova cortina di ferro, quindi cosa ci aspettavamo. Quelli che si guardano attorno un po’ persi, e con voce roca fanno la domanda che tutti un po’ ci poniamo, ma nessuno osa fare ad alta voce: “ma poi, letteralmente, cosa sono queste terre rare?”.

Poi ci sono i freakkettoni piccoloborghesi turbo-dadaisti emo-chore catto-comunisti come me, per cui la guerra è un discorso troppo superato per essere discusso, e la Terza Guerra Mondiale tuttalpiù è un disco degli Zen Circus.

Però, anche io, non posso fingere che non ci sia tensione stasera. C’è bellicosità nell’aria. Si respira polvere da sparo.


Di fronte a Spuntino, enclave italiana della Bucherie Plux, un tirocinante urla che l’Unione Europea ha vinto il NOBEL PER LA PACE e getta un gin tonic sulla camicia di uno con un contratto ad interim che sosteneva la necessità di utilizzare i bisonti della foresta primordiale di Białowieża per sferrare un attacco laterale alla Bielorussia, per colpire il coccige di Putin tramite Lukashenko. È una chiara provocazione, un casus belli, una violazione delle gerarchie che governano la piazza. Non solo: anche stando al Manuale di Sopravvivenza e Onore de La Gintoneria di Davide è assolutamente sufficiente per fare scatenare una rissa. Da qualche parte in Centro-America, il Dottor Lacerenza nitrisce soddisfatto dal suo rooftop in località ignota.

Si scatena una grande scazzottata. Il teorico dei Bisonti di Białowieża si è inimicato gli advocacy officers animalisti dei Verdi, ma anche i nazionalisti polacchi di Diritto e Giustizia, preoccupati da eventuali ricadute sull’import-export di vodka Żubrówka. Il tirocinante pacifista sta scagliando bicchieri su un gruppo di traduttrici baltiche, da dietro lo afferrano e viene lanciato in mezzo alla rotonda. Lui risponde recitando a memoria la Dichiarazione Schuman. Dall’altro lato della piazza accorre l’inner circle dei patrioti di ECR. C’è Galeazzo Bignami in testa. È vestito come sempre da nazista, ma – come sempre – rassicura tutti dicendo che arrivava diretto da un matrimonio. Che poi quanti amici nazisti ha Galeazzo Bignami? Che poi chi lo invita Galeazzo Bignami a tutti ’sti matrimoni? I nazisti, naturalmente.
All’avanzata a falange dei camerati una serie di serrande sulla piazza di spalancano. Minimarket, fino a pochi secondi fa chiusi, aprono i battenti. Dentro, gigantografie di Calenda. Non erano minimarket, ma le sedi belga di Azione, quartieri generali della campagna elettorale, ormai messi nel dimenticatoio per inutilizzo, subaffittate da Carlo a seguito della débâcle alle urne – con grande spirito imprenditoriale – a venditori di frutta e verdura locali. In nero. Riaprono le serrande e guerriglie calendiane in uniforme escono, in piccoli gruppi. Cellule indipendenti addestrate in mesi di nullafacenza politica pronti a interventi mirati di guerra irregolare. È un’escalation inevitabile. I migliori atleti della gioventù macroniana si calano dalla coloc di Renew Europe. I tiratori scelti di Patrioti per L’Europa, dal tetto del Parlamentarium, lanciano le prime bombe carta. I compagni di The Left non aspettavano altro: escono immediatamente dai basement delle vie limitrofe, appena sentono l’odore del fumo, e accerchiano la piazza da più lati. La Compagna Salis distribuisce molotov e limoni sussurrando che è giunta l’ora di alzare il livello dello scontro. Rodolfo afferra la molotov e – balbettando, nella confusione crescente di sirene e cori marziali – le grida che è bella come un carcere in rovina. Il Generale Vannacci distribuisce papaveri rossi, canticchiando Faccetta Nera. I socialdemocratici sono interdetti, erano rimasti in ufficio più a lungo per un convegno e si ritrovano in piazza disarmati. Non ci mettono molto a creare una barricata con biciclette e monopattini elettrici in cui continuare il loro seminario sull’utilizzo dell’AI nella comunicazione interistituzionale.

Xi Jinping, nella sua tenuta a Gibuti, segue gli scontri in streaming sull’Apple TV mentre gioca a Minecraft con Elon Musk, mangiando Zuppa di Wonton, caviale e gamberi rossi di Mazara del Vallo.
Nella guerriglia urbana una figura attraversa la piazza, imperturbabile. Una visione profetica in uno scenario post-apocalittico. Sembra il padre de La Strada di McCormac, ma senza figlio. Fa rabbrividire, ma catalizza la nostra attenzione. Io e Alice ci avviciniamo, lei mi stringe la mano e cerca il mio sguardo. Ci facciamo coraggio. È Luigi Di Maio. Siamo di fianco a lui, è in forma invidiabile. La pelle liscia, lo stress del Covid un ricordo lontano, è quasi irriconoscibile. Ha gli AirPods e sembra non accorgersi dell’inferno che gli sta accadendo attorno. Forse non gliene importa nulla. Lo aspetta un’auto diplomatica all’incrocio. Lo porterà al suo jet privato, per tornare al suo chalet a Doha, da cui difendere in prima linea gli interessi economici ed energetici del Vecchio Continente nel Golfo Persico.

Nel frattempo, dall’epicentro Plux il conflitto si è espanso nella città. Valloni e Fiamminghi hanno finalmente l’occasione di sfogarsi circa la forzata coabitazione nella stessa città. Da Lille arrivano carovane di francesi che rivendicano la paternità delle Moules marinières avec frites – come se ci fosse da vantarsene –, mentre dal confine occidentale arrivano gli olandesi, a dar man forte alla fazione fiamminga. Da Sud e da Ovest baby gang di mezza Europa convergono, dopo essersi date appuntamento su Tik Tok. Dal Centro Cabraliego la comunità spagnola, a cavallo di tori di Pamplona arrivati la sera prima apposta per il Carnevale Sauvage, si scagliano contro i brasiliani e portoghesi barricati nel Parvis di Saint-Gilles, per una lotta tutta latina per la parte meridionale del centro-città. Giovani ariani si muovono in pattuglie da Molenbeek e Anderlecht per scontrarsi con il terzo-mondo cencioso di Gare du Midi e i nordafricani di Anneessens. Da Matongue i congolesi risalgono Ixelles verso le sedi consolari e le lussuose ambasciate, in un atto estremo di anarco-diplomazia anti-colonialista. In un insospettabile effetto domino, da quel dibattito pacifista alla Boucherie Plux, Bruxelles implode e la violenza degenera. È lotta di quartiere e caccia aperta all’eurocrate. Le auto diplomatiche sono finite, Uber non funziona più, i monopattini elettrici inutilizzabili e insostituibili parti di trincee. Impossibile scappare. Le strade bruciano, e i primi funzionari iniziano ad impiccarsi con la cravatta nelle soffitte della Commissione Europea, mentre l’Inno alla Gioia – suonato volutamente stonato dall’orchestra del Conservatoire Royal de Bruxelles dal tetto del Palazzo di Giustizia – riecheggia sui tetti della città in fiamme.

Venerdì all’alba un corteo di camion sgangherati parte da Les Marolles e si accampa di fronte al Parlamento. Tappeti e cianfrusaglie. Violini e pellicce. Le ceneri della Bougerie Plux ancora fumano. Tra le fuliggine della bolla europea, Place du Luxemburg diventa succursale del mercato delle pulci di Jeu de Balle. Da qui partirà la redistribuzione della ricchezza per la rivoluzione europea, che – dal Vangelo Secondo Spinelli – doveva pur sempre essere socialista.

“E lui può già vedere la vecchia e malata Europa, con tutta la sua grandeur e la sua cultura e la sua boria, il suo tè delle cinque e le sue cerimonie accademiche, abolita, occupata, conquistata dalle masse dei più miseri, dei più affamati, dei più sfruttati. Sarà la loro guerra. I poveri si vendicheranno seminando figli ovunque, riproducendosi a raffica come il crepitio delle mitragliatrici, occupando ogni postazione con i propri cadaveri, usando se stessi come forza di sfondamento. Vinceranno, e di loro, evangelicamente, sarà la terra.”
(PVT)

La cortina di ferro si è spostata proprio lì, a Place Luxembourg, lanciando un processo di de-costruzione dello stato nazione. L’Europa geografica si sgretola. A partire da Bruxelles, poi il Belgio, e di rimpetto l’intero continente. Si ricostituisce il Ducato di Fiandra e il Principato di Vallonia, passando per il Regno di Prussia e la Boemia, il regno di Navarra, Leòn-Castiglia, Aragona. Il Ducato di Savoia, la Catalogna, la Galizia e i Paesi Baschi, la Lega Anseatica, il Ducato di Bretagna, le Repubbliche Marinare, la Repubblica di Ragusa. Il Regno di Württemberg, il Granducato di Hessen-Darmstadt, il Ducato di Nassau, il Principato di Waldeck-Pyrmont, il Granducato di Toscana, la Repubblica di Utrecht, il Ducato di Holstein-Gottorp, e – naturalmente – la neo-fondata Repubblica Salentina, la Padania e il Principato del Molise. In un inverso processo di deformazione della sovranità statale, in un atto di ribellione collettiva, da organizzazione regionale l’Unione Europea vede sgretolarsi le sue unità di misure fondanti: gli stati membri, croce e delizia del processo d’integrazione.

Tra i buoni propositi dell’Europa unita Spinelliana, non c’era forse il superamento dell’ideologia dell’indipendenza nazionale, che portava in sé i germi dell’imperialismo capitalista e la volontà di dominio? Forse c’è stato un fraintendimento, e il processo era da percorrersi in senso inverso: non la convergenza verso una governance superiore, non l’unione delle intenzioni e delle nazioni in un’entità sovranazionale, ma l’estrema provincializzazione. L’autodeterminazione portata agli estremi, la rivendicazione della quartierizzazione, il tortellino contro il cappelletto, il cappellaccio versus il tortellone, la difesa sfrontata degli arancini contro le arancine. Stracciate le carte d’identità nazionali, la proliferazione di cittadinanze provinciali. Perché in fondo, se anche l’unico presupposto rimasto per un ordine internazionale – la condivisa preferenza alla pace sulla guerra – appare oggi obsoleta, non rimane che il parrocchialismo come (non)valore condiviso.

Sarà tutto bellissimo per qualche settimana: sagre, canti tradizionali, commedie dialettali, ognuno nel proprio paese, villaggio, quartiere. A sghignazzare pensando ai ridicoli tempi dell’Erasmus, quando ora l’unica possibilità di tornare in quello che un tempo si chiamava Belgio, è vincolata alla necessità di manodopera nelle miniere vallone di recente riapertura. Saranno un paio di settimane bellissime. Sarà come Natale. Poi, come a Natale, tutti inizieranno a litigare con i propri genitori, con i fratelli, con i compagni delle elementari, con amanti e fidanzate, con i vicini di casa. Inizieranno a trovare il cibo monotono, vorranno andare a ballare musica diversa, avranno bisogno di solitudine, di spazio, di mare, di amore, di mode, di modi di fare, di facce strane, di belle facce, di sushi, e pretenderanno di uscire da quel buco di quartiere in cui si sono rinchiusi e di cui si sono fatti la cittadinanza, e invocheranno a gran voce l’istituzione di una doppia cittadinanza: provinciale, ed europea.

Perché in fin dei conti, un weekend ad Amsterdam al mese Rodolfo se lo deve fare, sennò diventa pazzo.

E sarà lì, in quel momento, che le Provincie Unite d’Europa si costituiranno tramite un reale processo di autodeterminazione dei popoli e si potrà iniziare a parlare di esercito europeo.

Sarà il provincialismo che ci salverà, Fratelli d’Europa.

La sensazione è che per scamparla si dovrà però passare necessariamente per una completa distruzione – fisica o metafisica – del sogno europeo per come ce l’hanno raccontato la sera prima di andare a dormire, nelle aule universitarie e nei film di Virzì, sino ad oggi.

La via da percorrere non è facile, né sicura.
Ma deve essere percorsa, e lo sarà!